In due capitoli del suo noto libro “Democrazia. Il dio che ha fallito” (liberilibri), il filosofo politico anarcocapitalista Hans-Hermann Hoppe esalta il libero spostamento di manodopera a basso costo per aumentare il profitto degli imprenditori. Anche se con qualche distinguo rispetto agli altri pensatori della sua corrente…
In Italia l’argomento immigrazione conosce un interesse e quindi una trattazione ondulatori. Tra gli argomenti principali finché era ministro degli Interni il leghista Matteo Salvini, la tematica è andata scemando dopo la formazione del governo Movimento 5 stelle-Partito democratico, anche perché l’epidemia da coronavirus l’ha fatta retrocedere nella classifica delle annose emergenze del Paese.
Essa è ritornata alla ribalta nelle ultime settimane per almeno cinque motivi. Il primo è che, col ritorno dell’estate – per di più particolarmente calda e caratterizzata dal bel tempo –, i viaggi dal Nordafrica verso la penisola italiana e i relativi falsi naufragi risultano più agevoli. Il secondo è che la crisi della Tunisia ha spinto molti più cittadini di quel Paese a tentare la sorte dell’entrata in Italia. Il terzo è il notevole aumento (150% in più, cioè il doppio più un altro 50%) degli afflussi rispetto all’anno precedente dei “decreti sicurezza” del leader leghista. Il quarto s’intreccia con l’epidemia virale, la stagione turistica, lo spostamento dei migranti: parecchi presunti profughi risultano positivi al tampone Covid e la loro permanenza o spostamento presso località turistiche induce a ovvie lamentele verso il Governo centrale da parte di presidenti di Regione e sindaci del Sud e del resto d’Italia. Il quinto per alcuni episodi di fughe e violenze (vedi, ad esempio, Nigeriani positivi al Covid aggrediscono i medici del Celio e tentano di scappare dall’ospedale militare). E son tornate le polemiche tra filo immigrazionisti e anti immigrazionisti. I primi sarebbero i “buoni”: di sinistra, cattolici, terzomondisti e magari anticapitalisti. I secondi, invece, sono i “cattivi”: di destra, razzisti, xenofobi, duri a comprendere la ricchezza delle risorse umane, culturali, demografiche e sociali che arrivano da oltre il Mediterraneo.
Entro tale dibattito può essere utile inserire l’opinione sulle migrazioni di un celebre e “duro” economista tedesco, esponente della scuola austriaca e filosofo politico anarcocapitalista. Si tratta di Hans-Hermann Hoppe (Peine, 2 settembre 1949) e, in particolare, del suo libro Democrazia. Il dio che ha fallito (liberilibri, Macerata 2006, pp. 472, € 19,00; titolo originale Democracy. The God That Failed, 2001). Premettiamo che personalmente non proviamo alcuna particolare simpatia per la corrente economica anarcocapitalista o anarcoliberista (libertarianismo di destra). Essa vorrebbe eliminare quasi del tutto lo Stato, mettere in mano ai privati ogni infrastruttura e risorsa (compresi strade e fiumi!), abolire ogni forma di welfare e assistenza pubblica (dalla sanità alla previdenza sociale, dalla scuola alle pensioni), con enfatizzazione dell’individualismo, della proprietà privata, del libero mercato, ecc. Così, per tali filosofi, il mondo andrebbe meglio e il benessere si propagherebbe maggiormente. Chissà? Tuttavia, non si può nascondere l’originalità provocatoria di molte tesi e ipotesi degli intellettuali afferenti a tale pensiero.
I capitoli 7 («Libertà di immigrazione e integrazione forzata») e 8 («Libero commercio e immigrazione contingentata») della succitata pubblicazione di Hoppe sono, come si vede dai titoli, dedicati all’argomento centrale del presente articolo. E vi è espressa una chiara posizione economica a favore dello spostamento globale della manodopera e dei lavoratori per motivi non umanitari ma nettamente utilitaristici e pro capitalismo ultraliberista: «A parità di condizioni, le attività commerciali e industriali tendono a trasferirsi dove i salari sono bassi, mentre la forza lavoro tende a trasferirsi dove i salari sono più elevati. In tal modo si produce una tendenza all’uniformazione dei salari (a parità di tipo di lavoro) e alla allocazione ottimale del capitale. Un afflusso di immigranti in una data regione a salari elevati produrrà una riduzione dei salari nominali». Come si vede, il maggior sostegno ideologico alla libera migrazione di lavoratori proviene proprio dai teorici del capitalismo ultraliberista. Questo dovrebbe fare riflettere i sostenitori dell’immigrazionismo sfrenato, che pensano di opporsi allo sfruttamento capitalista, mentre, al contrario, lo incoraggiano ai danni dei lavoratori locali, annientati dall’arrivo di milioni di persone disposte a lavorare per salari molto più bassi.
«In una società anarco-capitalista non esiste un regime politico e, quindi, non vi è una distinzione netta tra “locali” (ossia cittadini del posto) e stranieri. […] I confini di stato sono quindi istituzioni “innaturali” (cioè coercitive)». Potrebbero sembrare frasi pronunciate da papa Bergoglio o da un esponente delle Ong taxi del mare. Invece sono scritte da Hoppe. Tuttavia, rispetto ad altri esponenti della corrente anarcoliberista, il filosofo tedesco è assolutamente contrario a un’immigrazione sfrenata e sregolata (leggi anche Marco Valerio Lo Prete, “La libertà di immigrare non esiste”, ilfoglio.it). Innanzitutto, egli differenzia le merci dalle persone, per le quali non vale il liberismo e quindi un governo, «per svolgere la propria funzione di tutela, dovrà fare qualcosa di più che semplicemente sorvegliare che gli eventi facciano il loro corso, perché gli individui, a differenza delle merci, sono dotati di volontà e possono migrare. Di conseguenza, i movimenti di esseri umani, a differenza dello scambio di merci, non sono per natura reciprocamente vantaggiosi perché non sempre – necessariamente e invariabilmente – sono il frutto di un accordo fra chi invia e chi riceve. Possono darsi beni in arrivo (immigrati) senza che vi sia un soggetto disposto a riceverli. In questo caso, gli immigrati sono invasori stranieri e l’immigrazione rappresenta un atto di invasione. […] Per svolgere la propria funzione primaria di protettore dei propri cittadini e delle loro proprietà, il governo di un’area caratterizzata da alti livelli salariali non può seguire una politica dell’immigrazione di laissez-faire, ma deve introdurre misure restrittive».
La convenienza per gli imprenditori di avere a disposizione manodopera a basso costo si può scontrare col desiderio degli altri cittadini di godere di una migliore qualità della vita a scapito del profitto: «La ricchezza materiale non è l’unica cosa che conta. “Benessere” e “ricchezza” sono parametri soggettivi: un individuo potrebbe preferire un livello di vita materiale più basso e una maggiore distanza dagli altri, rispetto a un livello di vita più elevato e una minor distanza dal suo prossimo». Infatti, «è proprio l’assoluta volontarietà dell’associazione e della separazione umana – ossia l’assenza di qualsiasi forma di integrazione forzata – che rende possibile avere relazioni pacifiche (ovvero di libero scambio) tra popoli distinti sotto l’aspetto culturale, razziale, etnico e religioso». Afferma saggiamente ancora Hoppe che, per attuarsi, «l’assimilazione esige che i flussi migratori siano esigui in confronto alla popolazione ospite» e che «contrariamente alle pretese del multiculturalismo, oggi tanto di moda, si può sostenere che nessuna società multiculturale – in particolare se democratica – è mai riuscita a convivere pacificamente per lungo tempo».
Lo studioso tedesco è molto chiaro, oltre il limite della durezza, parlando apertamente di politiche migratorie «di rigidissima discriminazione a favore delle qualità umane desunte da capacità personali, carattere e compatibilità culturale». Riguardo appunto quest’ultimo punto il saggista scrive che i migranti devono dimostrare «non solo la conoscenza della lingua del paese di destinazione, ma anche una generale eccellenza delle doti intellettuali e di carattere, nonché un sistema di valori compatibile con quello della società ospite». E arriva ad auspicare una «rigorosa distinzione tra “cittadini” (immigrati naturalizzati) e “residenti” privi di cittadinanza, e l’altrettanto rigorosa esclusione di questi ultimi da ogni titolo all’assistenza sociale. Ciò richiederebbe, per ottenere lo stato di residente o per la naturalizzazione, la garanzia personale di un cittadino del paese, pronto ad assicurare l’indennizzo per eventuali danni causati dall’immigrante». Crediamo che, al di là degli eccessi ideologici, la chiarezza e l’efficacia argomentativa delle tesi di Hoppe a favore del libero commercio, ma contro un’immigrazione irregolare e non voluta dai cittadini che dovrebbero ospitarla, siano degne di riflessione da parte di tutti.
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Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XV, n. 177, settembre 2020)