Qualche riflessione critica sull’operato di “re Giorgio”, a pochi giorni dall’inizio delle votazioni per eleggere il nuovo presidente della Repubblica
Stilare un bilancio del settennato di Giorgio Napolitano non è semplice, perché ne viene fuori un quadro a tinte chiaroscure, che ricorda, per alcuni versi, il mandato di Francesco Cossiga (1985-1992). Napolitano, infatti, ha mantenuto un profilo basso per un lustro (tanto da essere apostrofato da Beppe Grillo con l’epiteto di “Morfeo”), distinguendosi, invece, nell’ultimo biennio per il rinnovato vigore con cui ha saputo guidare il dibattito politico nazionale.
Lo statista campano ha fatto una carriera politica davvero brillante: leader dell’ala “migliorista” del Pci, dirigente di spicco del Pds e dei Ds, presidente della Camera (1992-94), ministro degli Interni nel primo governo di Romano Prodi, senatore a vita. Dopo l’elezione a capo dello Stato, ha dovuto gestire una delle fasi più delicate della storia repubblicana. Il suo mandato è iniziato dopo le votazioni del 2006, il cui esito incerto ha determinato la nascita dell’effimero secondo governo Prodi (cfr. La lunga notte che cambiò le sorti dell’Italia, in www.lucidamente.com). Napolitano, poi, dopo la vittoria del centrodestra alle elezioni del 2008, ha dovuto convivere con il quarto governo di Silvio Berlusconi. A detta di molti osservatori, il presidente ha interferito poco nelle scelte compiute dal Cavaliere, che, senza grossi impedimenti, è riuscito a far approvare varie leges ad personam (lodo Alfano, legittimo impedimento, decreto anticrisi, decreto incentivi, ecc.), curando così i propri interessi.
Nel novembre 2010 Napolitano ha dovuto affrontare l’impasse politica indotta dal tracollo della maggioranza di centrodestra. Dopo che le opposizioni hanno presentato due mozioni di sfiducia nei confronti del governo, il capo dello Stato – d’accordo con Gianfranco Fini (presidente della Camera) e Renato Schifani (presidente del Senato) – ne ha fatto inopinatamente slittare la discussione di circa un mese. Berlusconi, quindi, ha avuto il tempo di fare scouting e ha convinto alcuni membri dell’opposizione a passare dalla sua parte, ottenendo così la fiducia in entrambi i rami del parlamento. Siamo convinti che il rinvio del dibattito non sia stato casuale, bensì dettato dalla volontà delle tre più alte cariche istituzionali di evitare la crisi di governo e le probabili elezioni anticipate.
Verso la fine del 2011 Napolitano ha preso in mano le redini dello Stato, venendo soprannominato “re Giorgio”: in otto giorni ha saputo risolvere l’ennesima crisi politica senza sciogliere le camere (ma, a detta di molti, questa sarebbe stata la soluzione migliore), imponendo un “rimpasto” gradito ai vertici dell’Unione europea. Innanzi tutto, ha convinto il Cavaliere a dimettersi, dopo che la sua maggioranza si era sfaldata (8 novembre); poi, ha nominato senatore a vita Mario Monti, ex commissario europeo per il Mercato interno e presidente dell’Università Bocconi di Milano (9 novembre); quindi, gli ha affidato l’incarico di formare un governo “tecnico” (12 novembre); infine, ha fatto insediare il nuovo esecutivo (16 novembre). Da allora in avanti la sua voce ha vibrato con rinnovato vigore, influenzando non poco il percorso terminale della XVI legislatura e l’inizio della successiva (cfr. L’annuncio di Napolitano: «Eserciterò il mio mandato fino all’ultimo giorno», in www.corriere.it).
Il presidente, dopo le ultime elezioni politiche, ha assunto un’altra decisione controversa: non ha assegnato l’incarico di formare il governo a Pierluigi Bersani, che, pur rischiando di non ottenere la fiducia in Senato, avrebbe potuto dare l’avvio alle attività del nuovo parlamento. Con la convocazione della “commissione dei 10 saggi”, invece, Napolitano ha indicato nel “governo di larghe intese” la via da ricercare, paralizzando di fatto il funzionamento del parlamento insediatosi il 15 marzo scorso. Con una prassi istituzionale alquanto anomala, il governo Monti è rimasto in carica per l’ordinaria amministrazione, anche se il Professore è stato bocciato dagli elettori. L’Italia, però, non pare ancora in grado di uscire dalle secche postelettorali nelle quali si è arenata: spetterà, dunque, al nuovo capo dello Stato sbrogliare l’intricata matassa.
Le immagini: foto di Giorgio Napolitano (fonte: http://www.flickr.com/; autore: Francesca Minonne) e Mario Monti (fonte: http://it.wikipedia.org; autore: Zinneke).
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno VIII, n. 88, aprile 2013)