Col pretesto della lotta all’odio e alle fake news, Ue, Oms, Unesco, Wef stanno emanando documenti e provvedimenti che restringono la democrazia digitale. E perseguitano i dissidenti
Come sempre, le motivazioni sono apparentemente nobili e, come ne La lettera rubata di Edgar Allan Poe, tutto è a disposizione, sotto i nostri occhi, ma nessuno ce lo fa vedere e chi dovrebbe informarci, e farci capire, tace. Le direttiva targata Unione europea si chiama Digital Service Act (“Normativa sui servizi digitali”). È stata approvata il 19 ottobre 2022, riguarda le piattaforme digitali ed entrerà pienamente in vigore dal 17 febbraio 2024.
L’Unione europea e il suo Digital Service Act
Sul sito della Commissione europea è scritto che «La legge sui servizi digitali e la legge sui mercati digitali mirano a creare uno spazio digitale più sicuro in cui siano protetti i diritti fondamentali degli utenti e a creare condizioni di parità per le imprese». Insomma, controllo dei contenuti illegali, pubblicità trasparente e lotta alla disinformazione. Tutto giusto e splendido ed espresso con un linguaggio rassicurante, sebbene tra il buonista e il tecnocratico, il paternalistico e il rassicurante.
Il problema è che, sotto l’apparenza della tutela degli utenti di fronte all’invasiva pubblicità online, la normativa ha reso ancora più vincolanti gli obblighi delle piattaforme nel rimuovere senza se e senza ma i contenuti definiti «disinformazione». Ma chi è che li classificherà così? Non abbiamo già avuto l’esperienza che la censura si abbatte essenzialmente su chi è dissidente e non si allinea al pensiero e alle posizioni calate dall’alto e propagandate dai mass media dominanti?
In pratica, la libertà d’opinione finisce. I pensieri devono allinearsi, altrimenti scompaiono dai social network e dalla Rete.
Anche l’Onu vuole controllare i pensieri in Rete
Pure due delle più importanti agenzie dell’Onu, Unesco e Oms, si sono mosse per combattere la libertà d’informazione. L’Unesco ha lanciato le proprie Linee guida per la governance delle piattaforme digitali, che, guarda caso, somigliano molto a quelle dell’Ue. Anche questo documento è infarcito di bei propositi: «Hate speech e fake news possono divenire armi di intimidazione, ponendo a rischio le democrazie, i diritti umani e il diritto a una informazione corretta. Il documento di linee guida per piattaforme digitali democratiche, nel rispetto dei diritti umani, vuole quindi essere un supporto normativo per quanti, governi, sistemi regolatori e aziende, si trovino a trattare questa complessa e delicata materia: affrontando adeguatamente contenuti che potenzialmente possano danneggiare i diritti umani e la democrazia».
Ha detto la direttrice generale dell’ente, Audrey Azoulay: «La protezione della libertà di parola è fondamentale. Questa include la lotta alla mis/disinformazione e ai discorsi di odio online. Non possiamo consentire che internet si riempia di contenuti tossici. Abbiamo bisogno di un internet affidabile».
Un regime di sorveglianza globale
È evidente che gli insulti, l’intolleranza, la discriminazione, devono essere perseguiti sia su internet sia altrove (e il Codice penale esiste anche per questo). La questione è che stabilire che un’opinione espressa liberamente, magari con una certa energia, costituisca hate speech o fake news, abbia contenuti contrari ai diritti umani o costituisca un rischio per la democrazia, è molto soggettivo e risponde agli interessi di chi, in quel momento, detiene il Potere. Ed è questo a delineare una serie di doveri, responsabilità e ruoli per gli Stati, le piattaforme digitali, le organizzazioni intergovernative, la società civile, i media ecc., per affrontare le atroci “teorie complottiste”.
Come avrete notato, la Azoulay, seguendo le regole del regime totalitario descritto nel romanzo distopico 1984 di George Orwell, inverte la logica. Prima afferma che «La protezione della libertà di parola è fondamentale»; subito dopo che «questa include la lotta alla mis/disinformazione e ai discorsi di odio online». Insomma, “siete liberi, però come, dove e quando lo decidiamo noi e se sottostate alle nostre direttive”. Analogamente a 1984, «la libertà è schiavitù», così come, ai tempi dei sieri sperimentali forzati in periodo di Covid-19, “il vaccino (obbligatorio) è libertà”.
Non bastava la disinformazione, c’è anche la «misinformazione»
Inoltre, la signora usa un neologismo: «misinformazione». Ma possibile che i potenti della Terra debbano inventarsi sempre neologismi, da «agenda» a «resilienza», da «eco friendly» a «sostenibile», da «femminicidio» a «negazionismo», per non dire di tutte le pseudo -fobie, quali islamofobia, omofobia, xenofobia, ecc. ecc.? Certo, perché – ce lo insegna sempre Orwell – chi controlla la lingua, controlla il pensiero e, quindi, i cittadini.
Rispetto alla disinformazione, usata da sempre anche dai servizi di spionaggio e controspionaggio, che è l’attività di chi fornisce coscientemente informazioni false per raggiungere uno scopo, la misinformazione consiste nella leggerezza o superficialità di chi diffonde informazioni false o offre cattivi consigli senza rendersene conto, in buona fede, non verificando la fonte iniziale (per esempio, condividere una fake news o immagini in Rete), e contribuendo quindi alla diffusione di “bufale”. Povera “casalinga di Vigevano”! Sarà classificata come una pericolosa terrorista!
Il problema, però, è sempre lo stesso. Chi stabilisce cosa è vero e cosa è falso, cosa è ingannevole e cosa no?
L’immancabile World Economic Forum e l’Oms
Se un indizio resta un indizio, più indizi costituiscono una prova. Ci pare pertanto significativo che al recentissimo World Economic Forum, creazione dell’ineffabile economista Klaus Schwab, tenutosi, come di consueto a Davos, quest’anno dal 15 al 19 gennaio, sia stata designata come priorità delle priorità, al primo punto del programma dell’organizzazione che raggruppa gli uomini più potenti del pianeta… Cosa? La lotta alla misinformazione!
Ancora più preoccupante è che a Davos si sia preannunciata una nuova pandemia, definita “X”, venti volte più potente e letale del Covid-19 (domanda spontanea: come fanno a saperlo se ancora deve arrivare?).
Tornando all’Onu e alle sue “agenzie”, anche l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), sempre guarda caso, si sta mobilitando per la pandemia prossima ventura e per il controllo delle cattive informazioni che possono danneggiare la sua “preziosa” azione di lotta alla malattia.
A fine maggio 2024, infatti, sarà discusso il Pandemic Treaty (“Trattato pandemico”), che, se approvato, com’è prevedibile, porrà una pietra tombale sulle sovranità nazionali, sulla libera scelta delle cure e dei trattamenti sanitari sui propri corpi e sulla libertà di informazione scientifica. Eppure, esiste già un Regolamento sanitario internazionale (Rsi), entrato in vigore fin dal 2017, che – terzo “guarda caso” – sarà anch’esso sottoposto a modifiche più “stringenti” nel prossimo maggio.
Da sottolineare pure che ormai da anni l’Oms non è più un’organizzazione internazionale pubblica filantropica, dipendendo per l’80% da finanziatori privati, tra i quali preponderanti sono proprio le aziende farmaceutiche (leggi Il filantrocapitalismo: molti profitti, pochi risultati), coi loro enormi interessi economici.
Il nuovo Trattato pandemico
Citando testualmente la bozza di tale trattato, si legge che «occorre accelerare le approvazioni e le autorizzazioni normative […] dei prodotti legati alla pandemia». Cioè i cosiddetti “vaccini”. Che non saranno sottoposti neanche a una minima sperimentazione né approvazione da parte delle autorità sanitarie nazionali (leggi Ermes Dovico, Trattato pandemico, resta il nodo sovranità. E non solo, in La Nuova Bussola Quotidiana), mentre l’articolo 15 sancisce che gli eventuali indennizzi per gli ormai famosi “effetti avversi” ricadranno proprio sui singoli Stati.
E, ovviamente, l’informazione va posta sotto assoluto controllo dell’Oms. Si legge, infatti, all’articolo 18: «Le Parti rafforzano l’alfabetizzazione scientifica, sanitaria e pandemica della popolazione, nonché l’accesso alle informazioni sulle pandemie e sui loro effetti e cause, combattono informazioni false, fuorvianti, errate o disinformazioni». Come si vede, a una prima parte apparentemente “civile” e di buon senso, segue una seconda tirannica e illiberale.
Ma, come sappiamo, la censura digitale e il controllo delle informazioni antisistema e alternative al Potere, sono iniziati già con l’epoca dei lockdown, vaccini e green pass. Lo ha trattato ampiamente il volume Censura (Byoblu Edizioni), di Stefano Lucidi, Claudio Messora ed Enrica Perucchietti, che abbiamo recensito in questo stesso numero di LucidaMente 3000, e al quale rimandiamo (vedi L’«Inquisizione Digitale»).
Le immagini: a uso gratuito su concessione di Pixabay.
Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XIX, n. 218, febbraio 2024)