Non è solo una sequenza di parole senza senso, ma un aggregatore di contenuti e uno strumento di marketing estremamente efficace
Se ne vedono a bizzeffe: sui social media, sui cartelloni o annunci pubblicitari, alla fine degli spot in tv: una o più parole attaccate precedute dal cancelletto (#). Probabilmente molti si saranno chiesti più di una volta che cosa si tratti e quale sia il significato di questa sequenza di termini apparentemente priva di senso. Eppure, l’hashtag è uno degli elementi più interessanti della comunicazione online e un efficace strumento di social media marketing e non, come la maggior parte delle persone pensa, a giudicare dall’uso improprio che ne viene fatto, un semplice abbellimento da aggiungere ai propri post.
L’hashtag (hash = cancelletto e tag = etichetta) è nato nel 2007 su Twitter (qui la storia) grazie all’intuizione di Chris Messina, sviluppatore, che per primo ne propose l’utilizzo come aggregatore di contenuti. Se grazie a internet e ai social siamo diventati tutti prosumer, cioè contemporaneamente produttori e consumatori di informazioni, l’hashtag è senza dubbio uno dei protagonisti di questa rivoluzione. Far precedere una o più parole dal simbolo # permette, infatti, di «etichettare» un determinato contenuto e inserirlo in una conversazione più ampia, che si arricchisce grazie ai contributi degli utenti: l’hashtag, infatti, indicizza e rende rintracciabili tutti i testi, le foto e i video già pubblicati che utilizzano la stessa sequenza di parole. Usarlo in modo consapevole, perciò, presuppone la volontà di inserire il proprio contributo all’interno di un flusso comunicativo più grande, costituito dai contenuti prodotti dagli utenti attorno a uno specifico evento, argomento, libro, film, personaggio pubblico ecc. secondo il principio del crowdsourcing (letteralmente crowd = folla e sourcing = origine).
Lo sanno bene gli esperti del social media marketing che hanno iniziato a sfruttare questa potenzialità per aumentare il coinvolgimento dei propri utenti/clienti e fare in modo che siano loro stessi a promuovere un determinato prodotto, servizio o territorio. Ecco perché esistono guide all’uso degli hashtag: scegliere quelli sbagliati può essere penalizzante per una campagna pubblicitaria o social; azzeccare quello giusto può garantire il successo a livello mondiale (leggi anche #Metoo: il movimento contro la violenza sulle donne è “persona dell’anno” 2017).
Ciononostante, non sembra che la funzione dell’hashtag sia chiara alla maggior parte degli utenti dei social. Sono sempre di più, infatti, quelli che inseriscono all’interno dei propri post sequenze di parole – di solito intere frasi – precedute dal cancelletto, private del valore di aggregatore e trasformate in elementi rafforzativi, esclamativi o descrittivi della felicità, rabbia, stupore o qualsiasi emozione vogliano trasmettere. Ecco che emerge una nuova funzione, giocosa e ironica, completamente diversa dall’originaria. Si vengono perciò a creare due livelli nella comunicazione online: da un lato, quello degli utenti più esperti – non solo i professionisti, ma anche coloro che studiano i mezzi che hanno a disposizione per usarli con consapevolezza – che conoscono il linguaggio dei social e lo usano al massimo delle sue potenzialità; dall’altro, quello degli utenti disinteressati, che giocano con questi strumenti, senza conoscerne pienamente funzioni, potenzialità e rischi, inventando nuovi usi.
Il rischio di questo duplice utilizzo è che si vengano a creare due comunità online, sempre più distanti e che faticano a comunicare tra loro, pur usando gli stessi mezzi. Perciò sarebbe necessaria, se non auspicabile, una formazione sul web e i social. Non bisogna dimenticare, infatti, che i vari Facebook, Twitter, Instagram, blog ecc. sono veri e propri mass media, con specifiche regole. Un uso più consapevole potrebbe ridurre il rischio che la comunicazione sui social diventi sempre più piatta e inutile, così da salvaguardarne gli aspetti positivi e rivoluzionari ed evitare di ridurla a una mera condivisione di scatti di vita quotidiana.
Elena Giuntoli
(LucidaMente, anno XIII, n. 150, giugno 2018)