In occasione della morte dello scrittore ferrarese, e in suo ricordo, recuperiamo “L’erede”, libro (edito prima da Frassinelli, poi da Bompiani) nel quale l’autore immaginava che un pontefice morente scrivesse al proprio successore
Ci faceva piacere e ci riempiva di orgoglio il fatto che il letterato Roberto Pazzi, scomparso lo scorso 2 dicembre, fosse amico della nostra rivista e dell’Associazione che la edita, tanto da aver diretto i nostri numerosi Corsi di Scrittura creativa tenutisi a Bologna, partecipandovi anche con delle straordinarie lezioni che hanno coinvolto ed emozionato i presenti. Abbiamo pensato di ricordarlo con la seguente, modesta, recensione di una sua delle più riuscite e pregnanti opere.
Non intendiamo esprimere una valutazione sul pontificato di Jorge Mario Bergoglio, ancora in atto, né siamo in grado di ipotizzare chi, al momento della sua dipartita, sarà il nuovo pontefice (un altro progressista?; o un ritorno a un conservatore?). Certamente si è trattato di un papa “storico” e in ogni caso sarà difficile accoglierne l’eredità. E, allora, quali scelte dovrà operare l’erede di Francesco I?
Poiché la letteratura a volte anticipa la realtà ‒ seppure questa altrettanto spesso superi in fantasia la prima ‒ abbiamo pensato di recuperare un romanzo scritto dal narratore ferrarese Roberto Pazzi, appena scomparso. Il titolo è, appunto, L’erede e il testo si presenta sotto forma di una lettera vergata da un papa anziano e molto malato e destinata post mortem al proprio successore. La prima edizione dell’opera è stata pubblicata nel 2002 da Frassinelli; nel 2013 è stata ristampata nei Tascabili Bompiani (pp. 240, € 11,00). La figura del papa rappresentato ne L’erede è vicina a quella di Giovanni Paolo II. Tuttavia, le tematiche trattate nell’epistola sono maledettamente attuali.
In essa si parla delle lotte di potere interne al Vaticano, della questione del matrimonio per i preti, dell’amore omosessuale… Molte dolorose riflessioni su temi sempre più pressanti sono di straordinaria rilevanza. L’economia mondializzata: un «ferreo sistema interdipendente che oggi chiamano globalizzazione. […] saremo tuti travolti da questo spietato mercato globale che sta diventando il mondo». L’insana, tumultuosa corsa al denaro: «Tutta la vita si corrompe in forma, ma in Italia questo processo pare più rapido che altrove. […] l’Occidente perdeva l’anima per barattarla con il benessere, ma qui in Italia pareva furibondo il bisogno di alienarsi per la ricchezza».
La pervasività della telematica: «Temo che il diavolo nell’astuzia della rapidità, anzi della simultaneità, del cosiddetto “tempo reale”, della comunicazione istantanea, celebri il suo rinnovato potere sull’uomo. Il prezzo che si paga per tale velocità non umana è probabilmente il Nulla in cui si converte». L’assoluta perdita di princìpi e valori: «L’umanità corre al suicidio, strangolata da una ricetta del benessere senza morale». La parcellizzazione del sapere: «L’impossibile competenza su quel che dobbiamo decidere. Il sapere respinge. È diventato così iniziatico e settoriale che non si possono più affermare verità generali». La società dello spettacolo e del divismo: «Gli idoli del nostro tempo, i calciatori, i piloti di auto da corsa, i banchieri, gli uomini d’affari che si sono fatti padroni della politica, certi divi della tv e del cinema, certi cantanti, sono tutti segnati dalla dannazione che divide in due l’umanità».
Il papa di Pazzi è pieno di dubbi, persino tentato dal diavolo: nella sua mente i sogni si alternano agli incubi. Durante il proprio pontificato è stato davvero coerente con la parola di Gesù di Nazareth? Due ultime annotazioni. Una riguarda lo stile del libro, alto, intriso di cultura, quasi una rarità nei tempi attuali, e caratterizzato da un ritmo “classicheggiante”. L’altra è una curiosità. Pure il papa in pectore del film Habemus papam (2011) di Nanni Moretti, il cardinale Melville, è dominato dalle incertezze e dai dubbi, che lo annichiliscono nell’angoscia. E, soprattutto, anche lui, come, il pontefice di Pazzi, ha il desiderio di aggirarsi liberamente per Roma, sfuggendo a etichette e a una sorta di dorata prigionia.
Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XVIII, n. 216, dicembre 2023)