“Homo homini lupus: chi ha il coraggio di contestare quest’affermazione dopo tutte le esperienze della storia? […] Il problema fondamentale del destino della specie umana a me sembra sia questo: se e fino a che punto, l’evoluzione riuscirà a padroneggiare i turbamenti della vita collettiva provocati dalla pulsione aggressiva e autodistruttrice degli uomini. In questo aspetto proprio il tempo presente merita forse qualche particolare interesse. Gli uomini adesso hanno esteso talmente il proprio potere sulle forze naturali, che giovandosi di esse sarebbe facile sterminarsi a vicenda, fino all’ultimo uomo. Lo sanno, donde buona parte della loro presente inquietudine, infelicità, apprensione. E ora c’è d’aspettarsi che l’altra delle due “potenze celesti”, l’Eros eterno, farà uno sforzo per affermarsi nella lotta con il suo avversario parimenti immortale. Ma chi può prevedere se avrà successo e quale sarà l’esito?”.
(tratto da Il disagio della civiltà, in Opere, a cura di Cesare Musatti, Boringhieri, 1966-80)
Sigmund Freud
LA RILETTURA
Tutti noi ricordiamo Sigmund Freud come il padre della psicanalisi, impegnato nella cura dei disagi psichici e delle malattie mentali. Ma la sua vasta conoscenza dell’animo umano non gli impedì, comunque, di inorridire al cospetto di un evento cruento come fu la Prima guerra mondiale.
Fino ad allora l’uomo che “cacciava” le sue prede umane tra i più deboli e indifesi veniva da lui identificato soprattutto come “psicopatico”. Però, dopo quest’ultimo terribile evento, Freud colse, nella natura umana, la presenza di un “eterno” dualismo tra Eros (desiderio di vita) e Thanatos (desiderio inconscio di morte), ritenendo gli esseri umani potenzialmente responsabili di stermini e genocidi, in quanto portatori di pulsioni autodistruttrici atavicamente presenti in loro.
Cosicché egli ripensò in parte i fondamenti della scienza psicanalitica (a partire da Al di là del principio di piacere del 1920) e ne Il disagio della civiltà del 1929 qualificò i comportamenti umani secondo la celebre formula di Thomas Hobbes.
L’uomo “distruttore” – Quindi, é l’incapacità di domare gli istinti più selvaggi, come quello di autodistruzione, che spinge gli esseri umani fino alle estreme conseguenze: le guerre. La lotta costante che essi combattono per la salvezza e la vita sembra infrangersi spesso come ghiaccio sottile, sotto di loro, appena cercano di sfuggire al proprio istinto di morte. Freud ha saputo esaminare il proprio tempo, flagellato dalle guerre e dal terrore, perpetrato soprattutto dall’insorgente nazifascismo, quando una parte dell’umanità raggiunse l’apoteosi del Thanatos e dell’autocompiacimento narcisistico per la propria forza distruttrice. In quel momento la speranza nei propri simili crollava come un’effimera illusione e trionfava, come non mai, l’uomo “distruttore” della propria specie. Eppure, nonostante gli orrori che il genere umano ha inflitto a se stesso, questo é riuscito a sopravvivere e, in qualche modo, anche a evolversi.
Semi di speranza – Dopo l’ultimo grande conflitto mondiale, infatti, quando ormai l’uomo “lupo” sembrava proporsi come padrone assoluto sugli altri esseri viventi e sulla natura, ha cominciato a diffondersi l’idea del rispetto dei diritti individuali, sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948). E proprio nella stanca e insanguinata Europa è prevalso, lentamente, l’Eros e l’istinto di sopravvivenza. I diritti umani, come piccoli ma numerosi semi sepolti sotto una coltre di neve, con la primavera sono germogliati in splendide gemme. La maggior parte degli europei ha assunto la responsabilità, per sé e per tutti i simili, di condividere con gli altri popoli la storia presente e futura e di sforzarsi di vivere in un mondo finalmente pacificato. Gli stati che hanno aderito al Consiglio d’Europa, infatti, hanno scelto di attuare i principi sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sottoscritta il 4 novembre 1950. Il Vecchio continente ha mandato al mondo un segnale di pace. “Ma chi può prevedere se avrà successo e quale sarà l’esito?”: è questo il monito, é questa ancora la più grande sfida del nuovo millennio.
L’immagine: Sigmund Freud (1856-1939), un’icona del Ventesimo secolo.
Mariella Arcudi
(LucidaMente, anno I, n. 10, ottobre 2006)