Giugno è il mese della nascita e della morte del grandissimo poeta-filosofo: ateo, anticonformista, “conservatore”, acre, in anticipo sui tempi. Talmente trasgressivo da essere depotenziato e volutamente frainteso da cattolici, sinistre, scuola
Non vi è pensatore dirompente, trasgressivo, in anticipo sulla propria epoca, come Giacomo Leopardi. D’altro canto, non ve n’è un altro tanto svilito e indebolito dai critici letterari e dai docenti. Un caso analogo potrebbe riguardare Franz Kafka, soprattutto nella lettura iniziale sdolcinata che ne dava l’amico Max Brod. Il quale, peraltro ha avuto il merito di salvare le opere dalla distruzione, secondo le ultime volontà del visionario e inquietante narratore praghese.
Però, per Kafka, il fraintendimento è durato poco. La disperata durezza metafisica del suo “non-messaggio” è stata ben colta da lettori e critici (si pensi solo al concetto di allegoria vuota elaborato per le sue opere da Walter Benjamin). Invece, ancora oggi si parla di Leopardi come di una sorta di infelice storpio, depresso, lagnoso e piagnucolante come una lamentosa donnetta romantica. Nelle scuole italiane si leggono solo le poesie che maggiormente si prestano a tale tradizionale interpretazione e si passa sopra alle più “rivoluzionarie”. O, se si leggono, se ne attutisce il significato, quando non lo si falsifica. Ora, poiché il maggior filosofo italiano è nato (il 29 giugno 1798 a Recanati) e morto (il 14 giugno 1837 a Napoli) nel corrente mese, cogliamo l’occasione per ripulirlo dalle incrostazioni accumulatesi nel tempo e capire perché si sia verificato un complotto nei suoi riguardi che dura da duecento anni. In via preliminare si può affermare che l’umanità in generale gradisce messaggi tranquillizzanti e magari adulatori e teme, e quindi odia, ciò che sconvolge le rassicuranti opinioni acquisite. Poveri anticonformisti, povere Cassandre!
Leopardi smaschera gli ipocriti quanto falsi convincimenti, analizza coraggiosamente la realtà umana fino alle estreme conseguenze. Come afferma Marcello Veneziani in Imperdonabili. Cento ritratti di maestri sconvenienti (Marsilio), «nessun autore ha saputo guardare in faccia la verità della vita e del mondo come Giacomo Leopardi. […] Nessuno ha svelato la condizione umana con la sua implacabile e acutissima lucidità, senza concedere alibi o ripari». Nelle sue opere, in particolare in quel capolavoro assoluto che sono le Operette morali, smaschera, smonta, demolisce, dissolve una a una tutte le più banali e conformiste illusioni umane.
Una lucida spietatezza, che si può trovare, nel passato nell’Ecclesiaste (il libro biblico Qohèlet) e in Lucrezio, e, dopo Leopardi, nel già citato Kafka, oppure in Albert Caraco ed Emil M. Cioran. Il poeta-filosofo osserva con fredda oggettività il destino umano e ne rivela in ultima analisi la realtà senza alcun infingimento. Il suo vero amore è un disperato amore per la verità. Scrive ancora Veneziani: «Una visione radicale e universale della vita in rapporto alla morte e al dolore». L’esistenza umana è precaria, sottoposta al caso, perlopiù dolorosa. Senza alcun senso. Dio non esiste. La Storia è un massacro senza fine, con civiltà che spariscono nella cenere. Leopardi, che non era uno scienziato né tanto meno un astronomo, comprende con largo anticipo il vero meccanismo della Natura. Esso, dietro le accattivanti apparenze, consiste in un continuo, violentissimo, ciclo di morte, distruzione e rinascita. Pertanto, gli umani sono men che insignificanti per “madre Natura”, così come la stessa Terra e il sistema solare lo sono per l’Universo. Le ultime scoperte astronomiche, comprensive di buchi neri, mostruosità astrofisiche e catastrofi cosmiche, confermano appieno la visione del marchigiano.
In questa disperata condizione di solitudine, debolezza, desolazione, l’unica salvezza per l’umanità è prendere coscienza della realtà e darsi una mano l’un l’altro, pur essendo coscienti del proprio spietato destino finale. Una vera e propria utopia, definita titanismo solidaristico. Scrive al riguardo Marco Cimmino ne Il flauto rovescio. Controstoria della letteratura italiana (Bietti): «Il messaggio leopardiano, di fratellanza e civiltà, nella lotta comune contro una natura indifferente e un destino di sofferenza, la battaglia del poeta contro la stupidità dell’uomo, sono un esempio di altezza morale e intellettuale».
Nel complesso, un pensiero inclassificabile, che supera le due ideologie dominanti al suo tempo: l’illuminismo e il romanticismo. Del primo usa la ragione come formidabile strumento per scoprire la realtà, ma ne rifiuta il concetto di progresso. Del secondo assorbe una certa estetica del sublime, ma ne rifiuta sia il versante storicista, sia quello sentimentale, sia quello religioso. Dunque, se non per neutralizzarlo e ingentilirlo, chi poteva accettare il pensiero leopardiano, nel XIX secolo così come oggi? Non certo i cattolici: vade retro, ateo! Non certo gli illuministi: uno che non crede alla «magnifiche sorti e progressive»! Né i romantici: quanto razionalismo, quanto realismo! E successivamente, fino a oggi, come possono le sinistre politically correct apprezzare l’individualismo solitario virile e senza speranze di Leopardi, per non dire del suo amor di patria e del suo sprezzante rifiuto dello storicismo, dell’astratto amore per l’umanità, del cosmopolitismo? E i cattoprogressisti buonisti non possono gradire il “cattivismo” del filosofo. Infine, una certa destra superficiale e moderata non può che disprezzare il pessimismo e l’intellettualismo di Leopardi.
Certo, nessuno poteva negare la grandezza e la bellezza della sua opera, dei suoi versi. Ecco, allora, l’accurata opera di selezione e di mistificazione (lo stesso è avvenuto con Giovanni Pascoli). Così, soprattutto nelle scuole e ad opera di docenti imbelli, Leopardi diviene il malato e infelice poeta gentile della donzelletta che vien dalla campagna, dell’amore infelice per Silvia, la giovinetta presto deceduta, del rimpianto per la giovinezza che scorre troppo veloce, dei paesaggi di campagna, delle rimembranze… Del resto, i vili e i deboli distolgono lo sguardo dalla verità, i forti e i coraggiosi la guardano fino a bruciarsi gli occhi. Ma le illusioni fanno, al massimo, sopravvivere, mentre sono il coraggio e il pensiero divergente a operare cambiamenti e rivoluzioni, nella scienza e nella società.
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Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XV, n. 174, giugno 2020)