Edward Lear, nei Diari di viaggio in Calabria e nel Regno di Napoli (Editori Riuniti), così descrisse – nel luglio del 1847 – la città di Reggio Calabria: “Un immenso giardino… un luogo di tali delizie, come credo ne esistano pochi altri sulla terra”. Ritroviamo un’analoga testimonianza, pur se in forma più aulica e immaginativa, in un sonetto di quasi due secoli prima, Cedri fantastici variamente figurati negli orti reggitani (1674) del poeta barocco napoletano Giacomo Lubrano, che raffigurava, tra l’altro: “Rustiche frenesie, sogni fioriti, / deliri vegetabili odorosi, / capricci de’ giardini, Protei frondosi, / e di ameno furor cedri impazziti” (per un puntuale e approfondito commento dell’intero sonetto rimandiamo alla lettura dell’articolo di Rino Tripodi I fantastici “Orti reggitani” di Giacomo Lubrano, in Calabria Sconosciuta, n. 101, 2004).
Un’immensa distesa di giardini e orti, coltivati ad agrumi, ulivi, gelsi, viti e piante aromatiche copriva nei secoli passati la striscia di terra costiera della regione calabra che da Scilla si estende fino a Monasterace.
E ancora negli anni Sessanta del XX secolo era possibile muoversi all’interno di un’intricata e, a tratti, magica distesa di piante e di arbusti, la quale ora s’infittiva in boschetti ameni, ora si apriva in brevi radure coltivate. Luoghi che furono impiegati come palestra di gioco e di contatto diretto con la natura da quelle generazioni di ragazzi che ebbero ancora la fortuna di non trascorrere la propria infanzia rinchiusi in scatole di cemento o incollati davanti a una playstation.
Il Citrus Bergamia – All’interno di questi lussureggianti giardini, in un imprecisato momento della loro secolare vita, comparve quasi miracolosamente un agrume inconsueto, nato probabilmente da una serie di incroci più o meno casuali: il bergamotto (Citrus bergamia), che è considerato una sottospecie dell’arancio amaro o della limetta. Alto da tre a quattro metri, l’albero del bergamotto produce un frutto color giallo limone dal sapore molto acre, ricchissimo di componenti chimiche (ne sono state individuate almeno 350!), dal quale si estrae un olio essenziale impiegato nella produzione di profumi, di liquori e di dolci, ma persino nella farmaceutica (è usato per produrre medicinali contro la sclerosi multipla e la psoriasi). Le sue origini sono avvolte dal mistero, così come quelle del suo nome.
Il “pero del principe” – Tra le innumerevoli ipotesi proposte intorno alla sua comparsa (qualcuno addirittura sostiene che provenga dalla Cina imperiale e che sia stato importato al tempo di Marco Polo), la più attendibile sembra essere quella che ne fa risalire la gestazione in ambiente autoctono. La sua denominazione, invece, pare derivi dalla locuzione turca bey armudu, che significa “pero del principe” (il bergamotto somiglia molto a un tipo di pera, detta appunto “bergamotta”, diffusa in Medio Oriente). La peculiarità geografica di questo insolito agrume è di essere coltivabile, probabilmente per ragioni climatiche, unicamente lungo la costa reggina: i tentativi di trapiantarlo altrove sono miseramente falliti e qualche piantagione si è sviluppata soltanto in Costa d’Avorio, ma con una qualità di prodotto decisamente inferiore. Non a caso, quindi, la provincia di Reggio Calabria detiene ancora oggi circa il 90% della produzione mondiale di bergamotto!
L'”oro verde” – L’avvincente storia di questo misterioso agrume è stata recentemente ricostruita da Pasquale Amato nel libro Storia del bergamotto di Reggio Calabria. L’affascinante viaggio del “Principe degli Agrumi” (Città del Sole, pp. 112, € 5,00), in cui le vicende inerenti al bergamotto si intrecciano con gli avvenimenti più significativi dell’era moderna. La ricostruzione storica, infatti, parte dalla seconda metà del Seicento, allorquando “l’uso dell’essenza del bergamotto rappresentò […] una vera e propria rivoluzione olfattiva perché la sua profumazione delicata e armoniosa si rivelò molto più gradevole delle fragranze troppo speziate allora vigenti”. Ad essere conquistata dall'”acqua al bergamotto” fu, innanzi tutto, la corte di Luigi XIV a Versailles, presso cui fu fatta arrivare da Francesco Procopio de’ Coltelli, un nobile siciliano che per primo commercializzò l’olio essenziale prodotto dai contadini reggini. E fu proprio il gentiluomo italiano a costruire a Parigi, nel 1686, il più antico “caffè” del mondo, il Café Procope (tuttora esistente), in cui si vendevano anche granite e sorbetti al gusto di bergamotto.
L’invenzione de l’Acqua di Colonia – Qualche tempo dopo, nel 1704, Gian Paolo Feminis, commerciante di origine novarese, ideò nella città di Colonia un’acqua da toeletta che utilizzava l’essenza di bergamotto, da lui scoperta casualmente durante un viaggio in Calabria. Il profumo fu poi denominato Acqua di Colonia e divenne in breve tempo uno tra i più diffusi al mondo. Durante tutto il Settecento la richiesta di “oro verde” – ossia di olio essenziale di bergamotto – si moltiplicò a tal punto che, verso il 1750, a Reggio sorse la prima piantagione intensiva: nel breve volgere di pochi lustri si venne così a creare una sorta di “borghesia del bergamotto”, che si presentava, come ci ricorda Amato, “colta e aperta alle nuove idee che circolavano in Europa”. E, grazie anche alla nascita di diverse filande per la produzione della seta grezza, la provincia reggina divenne in quel tempo “l’area più dinamica della regione“. Nonostante il governo borbonico si dimostrasse nell’Ottocento incapace di realizzare un’autentica modernizzazione della Calabria e più in generale del Meridione, la peculiarità del territorio reggino rimase inalterata fino all’unità d’Italia – in virtù anche del “porto franco” di Messina, la cui presenza favoriva il commercio dell’essenza di bergamotto con l’estero (la famosa ditta inglese Twining, intorno al 1830, cominciò a produrre l’Earl Grey Tea, un tipo di tè aromatizzato al bergamotto).
La crisi postunitaria… – Il limite più evidente della lavorazione del bergamotto nel Reggino fu sempre costituito dall’inadeguatezza delle sue strutture industriali, poiché mancò – e manca sostanzialmente tuttora – la capacità di completare il ciclo produttivo, investendo capitali nella creazione, ad esempio, di profumerie, di grandi aziende dolciarie o di industrie farmaceutiche. Infatti, fin dall’inizio della sua pur lucrosa attività, “la “borghesia del bergamotto” aveva preferito fermarsi alle fasi iniziali del ciclo produttivo: la coltivazione, l’estrazione dell’essenza, la sua esportazione”. La crisi del settore agrumario si manifestò gradualmente dopo il 1861, allorché l’adozione del libero scambio nelle regioni meridionali provocò “una caduta verticale dei settori produttivi pre-industriali protetti dalle tariffe doganali borboniche“. A risentire maggiormente del mutato sistema economico furono, in un primo momento, la coltivazione del gelso e l’esportazione della seta grezza: in venticinque anni (1863-1888) le filande reggine si ridussero, infatti, da 161 a 27!
…e nel Novecento – Ma la crisi colpì, successivamente, anche il settore della produzione degli agrumi, soprattutto in conseguenza dell’invenzione delle prime essenze sintetiche di bergamotto e delle sofisticazioni alimentari operate dagli esportatori. Il colpo di grazia alla florida economia reggina fu, tuttavia, inferto dallo spaventoso terremoto del 1908, che provocò nella sola Reggio ben 15.000 morti (25.000 in tutta la provincia), con la distruzione del 95 per cento dei suoi edifici! La città stentò a riprendersi, nonostante la rapida ricostruzione, e per diversi decenni le attività economiche ristagnarono. Le vicende nazionali e internazionali intercorse nella prima metà del Novecento – la Grande guerra, l’avvento del fascismo e il secondo conflitto mondiale – non favorirono certo la rinascita dell’area dello Stretto di Messina, anche se negli anni Trenta si costituì a Reggio il Consorzio del bergamotto (passato nel 1977 dalla gestione dello Stato a quella della Regione Calabria).
Recenti sprazzi di luce – Il momento peggiore per il “Principe degli agrumi” giunse intorno agli anni Settanta, allorquando alcune potenti multinazionali statunitensi del settore chimico, produttrici di essenze sintetiche, avviarono una vergognosa campagna di disinformazione su “presunte caratteristiche tossiche e cancerogene dell’essenza di bergamotto”. Per fortuna, la risposta dei produttori non tardò a venire e, nel 1982, sorse un Comitato internazionale di difesa del bergamotto, con sede a Parigi, che fu sostenuto dalle industrie profumiere italiane e francesi e che riuscì a dimostrare l’infondatezza delle calunniose maldicenze! E, a partire dagli ultimi anni del secolo scorso, si è assistito ad una ripresa di iniziative locali e nazionali, atte a consolidare la produzione del prezioso agrume, che hanno permesso finalmente di schiudere “sprazzi di luce” dopo decenni di abbandono e di trascuratezza. Tra tutte le innumerevoli attività culturali e imprenditoriali oggi avviate – ma che sono ancora in fase di completamento – ricordiamo, soprattutto, il riconoscimento del marchio Dop (Denominazione di origine protetta) per l’olio essenziale di bergamotto prodotto nel Reggino e la costituzione di un Istituto superiore di profumeria, collegato a quello, molto prestigioso, di Versailles. Come ricorda Amato in conclusione del suo libro, “si tratterà dell’ennesimo passo avanti per la riappropriazione del più grande tesoro che la natura ha riservato in esclusiva mondiale a Reggio Calabria“.
L’immagine: la copertina del libro di Pasquale Amato.
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno I, n. 8, agosto 2006)