Intervista in esclusiva con lo scrittore Angelo Gaccione in occasione del centenario della nascita del romanziere e pacifista romano e della pubblicazione, grazie alla casa editrice Tra le righe libri, del suo carteggio inedito
Cento anni fa nasceva a Roma Carlo Cassola (1917-1987). Narratore tra i più letti del Novecento italiano, partigiano, fu anche impegnato nelle campagne per il rifiuto di guerre, armi, eserciti, tanto da stimolare la nascita della Lega per il disarmo dell’Italia (1977), poi fusasi con la Lega socialista per il disarmo unilaterale dell’Italia nella Lega per il disarmo unilaterale (Ldu, 1979).
Considerando l’attuale scenario internazionale, le tesi dello scrittore e la sua lezione morale restano attualissime. A distanza di quarant’anni la situazione non ha fatto che peggiorare: gli arsenali militari sono cresciuti, così come sono aumentati i conflitti e i paesi in possesso di ordigni nucleari. E l’Italia è salita ai primi posti fra le potenze che più spendono per spese militari. Pertanto, è da leggere con attenzione il volume Cassola e il disarmo. La letteratura non basta. Lettere a Gaccione 1977-1984 (Tra le righe libri, Lucca 2017, pp. 266, ill., € 18,00), curato da Federico Migliorati e dallo stesso destinatario delle missive, Angelo Gaccione, scrittore nato a Cosenza, autore di numerose opere sull’argomento e che con lo scrittore condivise una lunga stagione di impegno per la pace e il disarmo. La nuova pubblicazione, fresca di stampa, contiene 82 lettere, 16 preziosi documenti inediti e alcune foto. Un carteggio inedito, sul quale abbiamo voluto porre qualche domanda allo stesso Gaccione.
Dalla sua intervista con Migliorati, che apre il libro Cassola e il disarmo. La letteratura non basta, emerge un bellissimo ritratto di Carlo Cassola come uomo. Lo descrive come persona mite, pacata, estremamente educata (il massimo insulto che usava era “imbecille”), mai maligno o competitivo, oratore semplice per farsi capire da tutti e scevro da qualunque tipo di snobismo nonostante la sua notorietà, profondamente generoso sempre. Vuole raccontare anche a noi i tratti distintivi del carattere e dell’umanità dello scrittore romano?«Nel libro ho usato questi aggettivi perché caratterizzavano la sua indole e il suo modo di agire. Generoso e disponibile, coerente con le proprie convinzioni, ha testimoniato tutto questo non solo con una militanza attiva totale, ma con un concreto impegno economico personale. Qualità molto rare, come sappiamo».
Lei scrive «nel momento in cui da narratore di successo si è trasformato in militante impegnato in favore del disarmo e della pace, ha dovuto subire ostracismi, ingiurie, rifiuti, rotture, censure», e spiega anche molto bene quali furono secondo lei i motivi di questo ostracismo. Ci può ricordare il momento storico in cui ufficialmente nasce la Lega per il disarmo unilaterale e ci può parlare dell’ostracismo di cui fu oggetto Cassola da questo momento in poi?«La Lega per il disarmo nasce nell’aprile del 1978 (dal 1979 viene aggiunto “unilaterale”) con l’intento di costruire una casa comune per tutti i disarmisti italiani, indipendentemente dal loro credo politico e religioso. Uomini e donne di buona volontà accomunati dall’intento di porre un argine al disastro che la guerra fredda poteva produrre. Cassola si trovò a dover subire l’isolamento e l’avversione degli intellettuali e letterati comunisti, allora tutti o quasi filosovietici, e l’insofferenza sempre più aperta dei due grandi quotidiani che ospitavano i suoi scritti: il Corriere della Sera prima e La Stampa poi. Fu messo costretto a lasciare quelle tribune e fu quasi ridotto al silenzio. Nella Postfazione del volume Disarmo o barbarie, che raccoglie scritti miei e di Cassola, il giornalista del noto quotidiano milanese Cesare Medail racconta quel clima di ostilità e come gli scritti disarmisti dello scrittore fossero mal digeriti. Voglio ricordare inoltre che al suo funerale non era presente un solo letterato: lo avevano rimosso per pacificare la loro cattiva coscienza».
Ma il disarmo unilaterale non solo non è stato mai ottenuto, ma oggi, al contrario, sembra che la spinta sia all’armamento (vedi Corea del Nord…). Eppure, nonostante gli ostracismi, Cassola ha lasciato tantissimo. Qual è secondo lei l’eredità più preziosa delle battaglie di Cassola per il disarmo?«Lo scenario internazionale è divenuto ancora più fosco e pericoloso. La corsa al riarmo non si è mai interrotta ed è aumentato il numero degli Stati in possesso dell’arma nucleare. La spesa militare mondiale è cresciuta in modo spaventoso ed è la prima voce del bilancio. Il nostro Paese brucia 70 milioni di euro al giorno in spese militari nell’indifferenza generale e la crisi tra Nord Corea e Stati Uniti, cui lei ha accennato, potrebbe far precipitare il mondo in un abisso. A 40 anni di distanza il mondo non è divenuto più sicuro, anzi… E la lezione che Cassola ci consegna, la sua eredità morale e civile, è divenuta non solo più urgente, ma direi necessaria e inderogabile. Non abbiamo scelta: o il disarmo o il possibile sterminio e la certezza di un impoverimento più grave per tutti».
Quali sono le opere di narrativa di Cassola in cui più è confluito l’impegno per il disarmo? Ad esempio, in una lettera Cassola le confessa: «Il paradiso degli animali, cui tengo molto perché, come Il superstite, è un romanzo di propaganda».«A partire dalla sua radicale presa di coscienza, e cioè che l’olocausto nucleare poteva cancellare ogni forma di vita sulla terra, Cassola mise al centro della sua narrativa questa spaventosa eventualità affinché il mondo ne fosse consapevole. Questa drammatica riflessione si concretizzò in una serie di romanzi (veri e propri apologhi morali) che già nei titoli suonavano come un perentorio mònito: Ferragosto di morte, Il mondo senza nessuno, La morale del branco, La zampa d’oca, Il superstite, Il paradiso degli animali. Titoli che facevano da controcanto a quelli di saggi apertamente disarmisti: Il gigante cieco, L’ultima frontiera, La lezione della storia, La rivoluzione disarmista».
In una lettera Cassola fa riferimento al Nobel per la pace ma, nella genuina modestia che lo ha sempre contraddistinto, vi si riferisce esclusivamente come strumento di visibilità utile allo scopo superiore del disarmo unilaterale. Secondo lei, quali sono i motivi per cui avrebbe meritato invece questo Nobel mancato?«Cassola era profondamente indifferente al suo destino individuale e lo ha ribadito in più occasioni. Per lui in quanto artista, in quanto cantore dell’esistenza, era inconcepibile la sola idea che la vicenda del genere umano potesse interrompersi definitivamente, che la fiaccola della vita potesse spegnersi per sempre. Da giovane era andato partigiano per opporsi a quanti gridavano “viva la morte!”, e ora continuava a battersi contro la morte totale cui l’arma atomica condanna il mondo. Rispondendo a una mia allusione al premio Nobel per la pace, scrive che avrebbe usato l’autorità morale che gli sarebbe derivata per spenderla per questo scopo supremo in difesa della vita. Almeno la candidatura l’avrebbe meritata: nessun altro si è impegnato sul terreno del disarmo come e quanto lui in quegli anni; lo ha fatto fino a quando ne ha avuto le forze. Ha impiegato studio e lavoro, soldi e tempo a questo scopo, girando in lungo e in largo l’Italia. Ha rimesso in discussione il proprio ruolo di scrittore, ha spiazzato i suoi lettori, ha disorientato i suoi vecchi amici, è entrato in conflitto con giornali e editori, pagando un prezzo altissimo. L’ha fatto perché fosse messa al primo posto la vita. La nostra e quella delle generazioni che verranno».
Carolina Cutolo
(LucidaMente, anno XII, n. 139, luglio 2017)