Vista l’odierna situazione internazionale, due vecchi interventi del noto scrittore ceco (di recente tradotti in italiano e pubblicati da Adelphi) presentano risvolti quanto mai interessanti
Tradotto quest’anno in italiano dall’edizione francese apparsa nel 2021, il volume Un Occidente prigioniero di Milan Kundera è stato di recente pubblicato da Adelphi (Piccola Biblioteca Adelphi, pp. 88, € 11,40). Nel libro sono raccolti due interventi del celebre scrittore e poeta ceco: un discorso del 1967, La letteratura e le piccole nazioni, e un articolo del 1983, Un Occidente prigioniero o la tragedia dell’Europa centrale.
Si tratta di contributi che affrontano temi importanti, tra i quali il futuro delle piccole nazioni e il ruolo della cultura nella costruzione dell’identità europea. La loro rilettura alla luce della tragedia della guerra in Ucraina presenta oggi un significato quanto mai attuale. Kundera l’ha pronunciato il primo intervento, all’inizio della Primavera di Praga, in occasione del IV Congresso degli scrittori cecoslovacchi dal tema Sul carattere non evidente della nazione. Esso contiene un’appassionata analisi filosofica e storica della rinascita nazionale ceca nell’Ottocento e del ruolo svolto dalla letteratura per salvare la Cecoslovacchia. Egli punta il dito contro divieti e limitazioni subiti dagli scrittori cechi e sostiene con forza l’idea che la cultura forgia l’identità di una nazione. Inoltre ritiene che, nel mondo contemporaneo, privare della cultura un piccolo Paese significhi condannarlo inesorabilmente alla scomparsa. Nell’articolo del 1983, ospitato dalla rivista francese Le Débat, Kundera reputa che l’Europa appartenga all’Occidente, soprattutto in termini di unità culturale; la Russia, invece, rappresenta un’altra civiltà, avente un distinto patrimonio storico, culturale e religioso.
Piccoli stati indipendenti, quali Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, dal punto di vista geografico si trovano tra la Russia e la Germania, nell’area dell’Europa centrale. Dal 1948 erano stati inseriti politicamente nel blocco sovietico ma culturalmente sono parte intrinseca dell’Occidente, con il quale condividono comunanza di storia e visione del mondo. La tragedia di queste «piccole nazioni» è che sono state private della sovranità nazionale e annesse a un altro mondo, quello dell’Europa dell’Est. Un mondo che è invece radicato nell’antico passato bizantino, nella religione ortodossa e nell’alfabeto cirillico. Nonostante esse abbiano realizzato tra il 1956 e il 1970 importanti rivolte, l’Occidente ne ha disconosciuta l’appartenenza all’Europa, considerandole colpevolmente parte integrante del mondo dominato a Est dall’Unione sovietica. Dopo la caduta del Muro di Berlino, nel saggio del 2004 Il sipario (Adelphi, pp. 184, € 14,25), Kundera tornerà ancora su questo tema delle piccole nazioni, non senza manifestare una forte, profetica inquietudine: «Ciò che distingue le piccole nazioni dalle grandi non è solo il criterio quantitativo del loro numero di abitanti; è qualcosa di più profondo: per le piccole nazioni il fatto di esistere non è un’ovvia certezza, ma sempre una domanda, una scommessa, un rischio; sono sulla difensiva nei confronti della Storia, questa forza che le sovrasta, che non le prende in considerazione, che non si accorge nemmeno di loro».
Per lo scrittore ceco la cultura è espressione del modo di pensare e di vivere di una comunità popolare, coscienza collettiva della continuità storica. Ma in Occidente, per una sorta di «mutamento antropologico», si è imposta la «società dello spettacolo» e la cultura gioca purtroppo un ruolo ormai marginale. Sempre ne Il sipario Kundera si domanda che cosa resterà nell’Europa di domani ed esprime la speranza che almeno la creazione artistica sopravviverà nel tempo: «L’Europa dei tempi moderni non esiste più. L’Europa nella quale viviamo non cerca più la sua identità nello specchio della filosofia e delle arti. Ma allora dov’è lo specchio? Dove trovare il nostro volto? […] Quel che un giorno resterà dell’Europa non è la sua storia ripetitiva che, di per sé, non rappresenta alcun valore. La sola cosa che abbia qualche probabilità di restare è la storia delle sue arti».
Ugo Pietro Paolo Petroni
(LucidaMente 3000, anno XVII, nn. 199-200, luglio-agosto 2022)