In molti spot il messaggio linguistico-visivo è completamente staccato dal prodotto che si vuole vendere… Allora, qual è il loro vero scopo? Di cosa deve essere persuaso il destinatario?
«Non saremo più gli stessi. Ma cambiare può essere per il meglio. Ci spinge a provare cose nuove. Siamo diversi da chi eravamo ieri? Forse. Quello che conta è chi saremo domani». Probabilmente avrete già visto lo spot pubblicitario autunno 2020 contenente la voce fuori campo che blatera questa litania. Le immagini mostrano un bel giovane (forse indiano, forse un po’ timido) che si veste accuratamente (elegante camicia, incantevole maglioncino – complimenti), osserva per un attimo dalla finestra un paesaggio metropolitano, esce per strada con un cellulare, corre, incontra un altro bel ragazzo, sorridente, di colore, si salutano. Un primo incontro?
Infine, altra sequenza: anche una giovane di etnia indefinibile, con un grazioso cappottino ricco di spillette con slogan di ogni tipo, sta per uscire di casa. Come sottofondo la musica strappalacrime di un pianoforte malamente strimpellato. A metà del video, in basso scorre il seguente testo: «Il cambiamento è una storia che non si ferma mai. Vogliamo dar vita alla tua» (versione originale: «Change is a never-ending story and most times, it is actually for the better. We want to bring your to life»). Se non noterete il logo che compare in alto a sinistra di tale inserto pubblicitario, da parole e immagini non saprete mai quale prodotto/azienda/brand si sta pubblicizzando, tranne che alla fine. E avete capito qualcosa della “storia” o delle “storie” rappresentate? Noi no. Ma, forse, chi è giovane ha colto tutto. Per la scorsa primavera la stessa azienda aveva lanciato una campagna pubblicitaria così giudicata dagli “esperti creativi”: «Leggera e spensierata: la primavera […] è la stagione per rinnovare il guardaroba con nuovi look e lasciare nel cassetto cliché e pregiudizi. Con ironia e audacia, infatti, la nuova campagna […] invita tutti a dire addio agli stereotipi, celebrando la propria individualità e creando il proprio stile unico. Obiettivo della campagna è incoraggiare la conversazione sugli stereotipi culturali che ancora condizionano quest’epoca, sottolineando l’importanza di sentirsi pienamente se stessi [i grassetti sono nostri].
Facciamo ancora un passo indietro e spostiamoci ad aprile 2019: «[…] ha lanciato una nuova campagna dedicata alla sua offerta beauty “Unleash your Beauty” (scatena la tua bellezza) che svela un punto di vista moderno e liberatorio sulla bellezza. La comunicazione celebra persone che esprimono la loro personalità e le loro preferenze indipendentemente dall’età, dal sesso o dalle convenzioni sociali e incoraggia tutti a liberare la propria bellezza interiore, abbracciando l’amore per l’individualità e liberandosi dalle aspettative» [anche questi grassetti sono nostri].
Torniamo a questo triste autunno ed ecco un altro spot di uno dei prodotti più noti al mondo: «Fermati, aspetta. Chi ha detto che dobbiamo tornare alla normalità? E se il più grande cambiamento fossimo io e te? E se scegliessimo di aprirci di nuovo e dire: “Non dirò mai più che il mio lavoro non è importante. Non dirò mai più che gli insegnanti hanno troppe vacanze”. O che “odio la scuola e non vedo l’ora di finirla”. “E se sorridessi un po’? Se viaggiassi meno, ma apprezzassi ogni passo?”. “E se credessi di poter cambiare le cose con la mia cucina?”. “O con la mia musica?”. “E se facessi di tutto per non sentirmi un estraneo nella mia casa?”. “E se invece di farmi guidare, inseguissi i miei sogni?”. “E se ci fossi ogni volta che hai bisogno di un amico?”. “Farò valere ogni mia parola, farò contare il mio voto, farò ascoltare la mia voce. Non dimenticherò mai che insieme siamo più forti. Lo porterò nel mio cuore per sempre.” Lo abbiamo fatto: abbiamo attraversato la tempesta. Per questo, ci saremo come mai prima» [ovviamente anche questi altri grassetti sono nostri].
Molti altri potrebbero essere gli esempi di pubblicità dello stesso stile e tenore circolanti in tv, alla radio o in rete. Non intendiamo fare ulteriore promozione a chi non ne ha bisogno: quello che traspare è l’assoluta indipendenza tra il prodotto pubblicizzato e gli spot. È ovvio che compaia il logo dell’azienda e, quindi, l’effetto commerciale voluto è raggiunto. Ma, allora, che senso hanno questi messaggi verbali e visivi? Cosa vogliono vendere? Aggiungiamo che i loro contenuti sono ambigui, generici, melensi. Provate a leggere i testi virgolettati, in particolare i brani da noi evidenziati in grassetto. Poi, provate a decodificarli. Cosa troverete?
Banalità, messaggi giovanilistici genericamente e quindi falsamente libertari: un sessantottismo patinato, avvolto da consumismo e edonismo, da individualismo e politically correct, da ideologia globalista e dell’indifferenziazione. In ultima analisi, si tratta di una neolingua di orwelliana memoria, nella quale le parole perdono il loro significato originario per assumerne un altro, che potrebbe essere il suo contrario. Oppure un “nulla” carezzevole e “carino”, suadente e vacuo; un vaniloquio, un vuoto culturale e intellettuale assoluto. I veri desideri/bisogni/esigenze delle persone che abitano la Terra, povere, disoccupate, precarie, immigrate, i dannati della globalizzazione, sono «lasciare nel cassetto cliché e pregiudizi»? Oppure «conversare sugli stereotipi culturali che ancora condizionano quest’epoca»? O, ancora, «abbracciare l’amore per l’individualità liberandosi dalle aspettative»? Roba da radical chic ben collocati in alto nella scala sociale. Forse, invece, le preoccupazioni della maggioranza delle persone riguardano salute, lavoro, famiglia, figli, casa, sanità, scuola, istruzione, trasporti…. In effetti, la neolingua utilizzata dagli spot è quella di Greta Thunberg e dei suoi seguaci, o delle sardine dell’ineffabile Mattia Santori: non dicono nulla, non attaccano i problemi alla radice, non indicano le vere cause delle problematiche che dicono di avversare.
Discorsi di plastica (riciclata, ovviamente). I quali trasmettono messaggi di odio verso quelli che considerano loro nemici, senza mai ammetterlo. Allora, qual è la verità che dobbiamo capire e quindi svelare? Se aziende miliardarie investono mucchi di quattrini per spot del genere, significa che per loro è importante che miliardi di persone accettino entusiasti globalismo, indifferenziazione di sesso, culture, etnie, nazioni, religioni. Un universale lavaggio del cervello. Si vende sì il prodotto, ma ancor più l’ideologia liberista edonista. Neocapitalismo, multinazionali e aziende di e-commerce che rovinano i piccoli commercianti, ebete consumismo, intellighenzia sinistrorsa, giovani incolti e sradicati, tutti uniti per il nuovo mondo. Postumano.
Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XV, n. 179, novembre 2020)
La risposta e sì. La pubblicità non è esente dal fenomeno dei messaggi subliminali. Di fatto, l’obiettivo principale di molti messaggi subliminali trasmessi su diverse piattaforme è promuovere un prodotto concreto che, per motivi legali o burocratici, non può essere inserito nei messaggi convenzionali.
GRAZIE PER QUESTI BELLI ARTICOLI, SEMPRE INTERESSANTI, INNOVATIVI E PIENI DI SIGNIFICATO.