Ben undici sono i brani, interamente in italiano, contenuti nel quinto disco monografico, “L’Età del Disordine” (Alter Erebus), di una splendida artista, con una voce tutta da apprezzare
«Un astronauta viene abbandonato nello spazio dalla sua navicella. Mentre cade a testa in giù verso la Terra, racconta il colore del cielo, ripensa al suo passato e alle tempeste che ha imparato a nascondere». È la straordinaria invenzione/situazione poetica di Astronauta di Petrina, compositrice, cantautrice, cantante, pianista, tastierista, nonché danzatrice, performer e scrittrice. Il brano è altresì la settima traccia del suo nuovo album, L’Età del Disordine (etichetta discografica Alter Erebus), uscito lo scorso 14 ottobre.
Si tratta del suo quinto lavoro da solista, oltre alle numerosissime partecipazioni ad altri progetti, ma del primo coi testi interamente in italiano e meno “serio” di altri suoi impegni. Ricordiamo che Petrina è stata interprete ed esecutrice di Sylvano Bussotti, John Cage, Morton Feldman, Eunice Katunda, Bruno Maderna, Nino Rota, Camillo Togni, ed è apprezzata da alcuni mostri sacri della musica come David Byrne, Paolo Fresu e Terry Riley. Allora, potremmo dire che quelle de L’Età del Disordine “sono solo canzonette”? Le circostanze nelle quali sono nati gli undici brani che compongono il disco sono molto particolari. Racconta la stessa artista che tutto si è originato e sviluppato nel proprio salotto di casa: «Al posto delle poltrone e della tv, ci sono il piano a mezza coda, la Nord Stage rossa, la chitarra viola e un intrico di mixer, pedali, cavi, ferraglia. Al centro c’è un pezzo di moquette rossa su cui posso saltare, ballare e sdraiarmi a terra, a pensare. Dalla grande porta finestra guardo la pioggia, le rondini, i miei vicini. Il mio disco è nato tutto lì, in quei venti metri quadri». Gli arrangiamenti sono stati realizzati insieme a Marco Fasolo: «In quel salotto abbiamo passato più di un mese: gli strumenti e i cavi si sono moltiplicati, il disordine è cresciuto e ha dato forma a nuovi suoni e a nuove visioni».
In particolare, «tutto ciò che si sente nel disco è fisico, reale. Quelle che possono sembrare tracce di elettronica sono in realtà chitarre suonate in modo non convenzionale, crini e bulloni sulle corde del pianoforte, piatti di batteria rotti e bacchette per mangiare il sushi usate come battenti. Ogni strumento è passato attraverso mixer analogici e preamplificatori valvolari, per restituire all’ascolto tutto il calore del suono reale, dello spazio attorno, delle nostre emozioni». La musicista di Cittadella (Padova) si conferma voce preziosamente virtuosa. Le composizioni, lungo le quali la voce diviene un elemento perfettamente integrato in armonie, melodie e ritmi, parlano di natura, emozioni, intimità, energia e fragilità, panorami e oscurità, amore e umorismo (vedi il videoclip di Ginnastica)… Alcuni titoli sono davvero liricamente connotativi: Begonie; Cocktailchemico; Cuore Nero; Cosa Sai Di Me; Piccola Cicatrice. La sensibilità è tutta al femminile, col coraggio di scavare nella propria interiorità e di esporla agli altri, ma sempre con modalità simboliche, poetiche e spesso ironiche, sicché sembra quasi non ci si voglia mai prendere troppo sul serio. Un mondo che a volte sembra soggettivo, intimo e introiettato sul Sé, ma che, invece, via via si dipana grazie a interminabili fili musicali/luminosi fino a espandersi nell’universo in adamantini scintillii colorati.
C. Liliana Picciotto
(LucidaMente 3000, anno XVII, n. 203, novembre 2022)