Sempre più spesso molti ragazzi italiani decidono di andarsene dal proprio Paese. Tuttavia, nel caso di Gioia, si tratta di un’esperienza perseguìta e positiva
Un caso curioso quello di Gioia Zagni, bolognese di 26 anni che nel 2015 è partita alla volta di Londra. Un viaggio che l’ha condotta anche ben più lontano, dall’Inghilterra fino all’America. In questa intervista vogliamo dare voce alle difficoltà e al contesto che hanno condotto la giovane a compiere le proprie scelte.
Che cosa ti ha spinto ad andartene?
«Innanzi tutto, il mio voto di laurea triennale perché, anche se per poco, non mi ha permesso di continuare gli studi in Chimica. Infatti, sotto un certo punteggio, per accedere alla magistrale occorre sostenere un test d’ingresso. Una persona davvero motivata e desiderosa si sarebbe preparata per superarlo; io, invece, ho pensato che non fosse la mia strada. Così, piuttosto che rispondere al primo annuncio che cercasse una qualsiasi figura lavorativa in Italia, mi sono rivolta all’estero per avere maggiori probabilità di crescita. Ovviamente ho scelto l’Inghilterra per migliorare l’inglese, pensando che essere una barista a Londra mi avrebbe formato di più sia personalmente sia lavorativamente che fare lo stesso a Bologna».
Lontano da casa ti mancano i pilastri affettivi; come hai fatto a gestire le ovvie difficoltà?
«I primi mesi sono stati duri, poi mi sono rialzata. Da questo punto di vista Londra mi ha forgiato. Ho trovato la forza per vivere da sola. Prima non andavo neanche al bar se non ero accompagnata, ma poi l’ho fatto e ho persino scoperto il piacere della solitudine. Comunque, l’Inghilterra, ha rappresentato un distacco più “facile”: è poco lontano da casa. Invece, durante l’esperienza come bartender [barman americano che prepara cocktail con tecniche moderne, ndr] a Orlando (in Florida, negli Stati uniti), all’interno del parco divertimenti Disney World, ho sinceramente accusato di più la distanza. Era una sensazione surreale: nonostante fossi spesso tra colleghi baristi italiani, mi sentivo isolata».
Qualche differenza emotiva tra la prima partenza e la seconda? Hai sempre avuto un desiderio di scoperta o ti sei sentita quasi obbligata ad andartene?
«Non mi sono mai sentita spinta a partire da forze che non fossero le mie; se volessi trovare un posto a Bologna, non credo incontrerei grandi difficoltà. Per esempio, durante gli studi avevo un impiego per permettermi di non gravare sulla mia famiglia e, prima di partire per Londra, ho rifiutato il rinnovo di quel contratto. Desideravo esplorare e per questo motivo sono partita una seconda volta. In aggiunta, spesso esiste un aspetto del ritorno non semplice da gestire: si rincontrano persone dopo tanto tempo e il livello di confidenza di prima è difficile da ritrovare».
Che cosa ti ha piacevolmente sorpresa degli Stati uniti?
«La burocrazia negli Usa è molto snella e le retribuzioni più alte».
Sì, retribuzioni però basate sulle mance dei consumatori. Come ti sentivi a dipendere in gran parte da queste?
«Era soddisfacente; se si fa bene il proprio lavoro i clienti danno moltissimo. È un sistema che sprona a fare meglio ogni giorno con un ritorno che gratifica all’istante. È molto dinamico e ciò rende stimolante un lavoro che potrebbe essere monotono. Inoltre, bisogna imparare a capire che tipo di clientela si ha di fronte».
A proposito dei diversi consumatori che arrivano da ogni parte del mondo, hai per caso notato, all’interno del parco divertimenti, una sorta d’influenza dettata dall’attuale presidenza Usa?
«In realtà, a proposito dell’argomento immigrazione e dintorni, no, non si percepiva molto dentro Disney World. La maggioranza dei visitatori è statunitense, il restante è in gran parte proveniente dall’America latina, ma in Florida molti servizi sono offerti sia in inglese sia in spagnolo. Infine, io come lavoratrice italiana non mi sono mai sentita discriminata. D’altronde, ero comunque una dipendente con un contratto in piena regola».
Ultime considerazioni riguardo al tuo “pellegrinaggio”?
«Qualche volta provo un forte senso di colpa perché non sono presente nella quotidianità della mia famiglia e dei miei amici. Per questo quando torno cerco di dedicarmi a loro il più possibile. A volte però mi sento persa, a disagio, un’estranea a casa mia. Per di più dall’estero credevo che l’Italia fosse un Paese migliore degli Stati Uniti, ma mi sono accorta che non è così. Se all’inizio, quindi, la mia uscita non era obbligata, al mio ritorno, carica delle esperienze precedenti, ho valutato molto la situazione e l’espatrio comincia ora a sembrare un’opzione quasi imposta».
Le immagini: Gioia Zagni nella mansione di bartender a Orlando e in veste non lavorativa; foto di Londra e di Disney World.
Arianna Mazzanti
(LucidaMente, anno XIV, n. 162, giugno 2019)