Attualissime e impressionanti le considerazioni di Ignazio Silone sulla paralisi dei regimi democratici espresse ne “La scuola dei dittatori”. Esse appaiono come un’analisi della condizione dell’odierna politica italiana
Pochi giorni fa (dal 22 al 24 agosto 2013) si è svolto a Pescina, in Abruzzo, in occasione del 35° anniversario della morte dello scrittore Ignazio Silone (al secolo Secondo Tranquilli, Pescina, 1 maggio 1900 – Ginevra, 22 agosto 1978), un festival delle arti a lui dedicato (Suoni, ricordi e sapori siloniani) dalla cittadina natale.
Politico e letterato “anomalo”, difficilmente classificabile, «cristiano senza chiesa e socialista senza partito», la figura di Silone potrebbe probabilmente essere sintetizzata con una frase del suo romanzo forse più riuscito, Vino e pane (Zurigo 1937, in Italia 1955): «Non vorrei vivere secondo le circostanze, l’ambiente e le convenzioni materiali, ma, senza curarmi delle conseguenze, vorrei vivere e lottare per quello che a me apparirà giusto e vero». Noi vorremmo ricordarlo con alcuni brani del suo pamphlet La scuola dei dittatori, scritto quando egli si trovava in esilio in Svizzera e, quindi, pubblicato in tedesco a Zurigo nel 1938 (in Italia, aggiornato, nel 1962, prima a puntate sul settimanale Il Mondo, quindi in volume dalla Arnoldo Mondadori editore).
Non si tratta solo di un omaggio allo scrittore abruzzese in occasione dell’anniversario della sua scomparsa. Dialogo “filosofico”, secondo la migliore tradizione del pamphlet, La scuola dei dittatori, similmente all’interpretazione foscoliana de Il Principe di Niccolò Machiavelli, è un’opera che, «temprando lo scettro a’ regnatori / gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue» (Dei Sepolcri, vv. 156-158). Ovvero, nel dare i consigli per abbattere una democrazia, svela ai democratici le insidie dei totalitarismi e spiega come difendersi da essi.
Questa la cornice. Fine anni Trenta: due strani americani, Mr Doppio Vu, miliardario che aspira a instaurare una dittatura negli Stati Uniti d’America, e il professore Pickup, suo accompagnatore e consigliere ideologico, inventore della pantautologia, son giunti in Europa alla ricerca dell’uovo di Colombo, vale a dire di come si instaura una dittatura. Ma, fino al momento, le ricerche non hanno dato buon esito. Arrivati a Zurigo per curare i problemi di salute di Mr Doppio Vu, incontrano un ex comunista in esilio, Tommaso il Cinico (alter ego dello stesso Ignazio Silone), giacché, per “capire le dittature”, chi meglio di un loro nemico? Da qui il testo, in forma di dialogo, come si è detto, anche se sono le parole di Tommaso le vere protagoniste delle conversazioni.
Negli stralci riportati è impressionante come Silone riesca a cogliere la fragilità dei regimi democratici e le loro viltà (ricordiamoci che fascismo e nazismo si instaurarono col voto popolare). Ma c’è di più. Nei brani sembra di vedere rispecchiata l’attuale situazione italiana. Statalismo, elefantiasi burocratica, svuotamento del valore del Parlamento, debolezza morale, scetticismo, ruolo dei mass media nell’ottundere il popolo, tendenza ai compromessi, rischi del populismo, strumentalizzazione incostituzionale del voto popolare… E consideriamo che, se oggi non sono più ipotizzabili affermazioni di dittature come quelle del secolo scorso, esiste comunque la reale possibilità dell’instaurazione, sotto vesti democratiche, di “dittature dolci” e di “totalitarismi striscianti”. Evidenziamo in rosso le parti più drammaticamente profetiche…
Il primo punto dunque sul quale vorrei attirare la vostra attenzione è la tendenza generale allo statalismo, per cui la democrazia, volendo realizzare sé stessa, si autodivora. È una condanna, mi pare, alla quale difficilmente la democrazia può sottrarsi. Infatti, essa deve soccorrere le masse e gli stessi imprenditori in difficoltà e può farlo soltanto sovraccaricando le vecchie istituzioni liberali di un numero sempre più grande di funzioni sociali. Ne risulta ovunque un accrescimento di poteri, di una specie e in una quantità tali che la democrazia politica non può in alcun modo controllare. La cosiddetta sovranità popolare si riduce in tal guisa ancor più a una finzione. Il bilancio dello stato assume proporzioni mostruose, indecifrabili per gli stessi specialisti. La sovranità reale passa alla burocrazia, che per definizione è anonima e irresponsabile, mentre i corpi legislativi fanno la figura di assemblee di chiacchieroni che si accapigliano su questioni secondarie. Alla decadenza della funzione legislativa corrisponde fatalmente la caduta del livello morale medio degli eletti. I deputati non si curano che della propria rielezione.
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Neanche nei brindisi dei banchetti si usa più di sollevare i calici al Progresso graduale e inevitabile dell’Umanità e al ruolo umanistico delle scienze. Semplicemente, nessuno vi crede più […] Questa è oggi la situazione spirituale delle élites più o meno in tutti i Paesi progrediti. Di conseguenza esse non hanno nulla più di valido da opporre, sia pure ad uso della limitata parte del pubblico accessibile alle forme superiori della cultura, all’invadente civiltà di massa. La quale si manifesta mediante l’enorme diffusione dei cosiddetti mass-media, col risultato di uniformare il modo di sentire degli individui e di distrarli da ogni pensiero autentico.
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La maggiore debolezza del sistema democratico nei nostri giorni è, a mio parere, nel suo carattere conservatore. Chi si ferma, mentre le società si muove, è travolto. Vi è una grande differenza tra i democratici dei nostri giorni e i loro avi, i quali si batterono per le libertà popolari, per l’uguaglianza giuridica e politica dei cittadini sulle barricate, nelle guerre civili e nelle guerre d’indipendenza. […] L’uguaglianza politica e giuridica dei cittadini era allora una novità e un ideale. Come tale essa irradiava un fascino che infiammava tutti gli spiriti d’una qualche distinzione, i quali sposavano la causa dl popolo e assieme a esso combattevano contro la corte la nobiltà il clero o la dominazione straniera. I democratici di oggi non hanno più un ideale da realizzare. Essi vivono di rendita sulle conquiste degli avi. […] I capi della democrazia europea mostrano, per dirla in breve, tutte le caratteristiche di una classe politica che abbia esaurito la sua missione.
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Una classe dirigente in declino vive di mezze misure, giorno per giorno, e rinvia sempre all’indomani l’esame delle questioni scottanti. Costretta a prendere decisioni, essa nomina commissioni e sottocommissioni, le quali terminano i loro lavori quando la situazione è già cambiata. […]. Il colmo dell’arte di governo per i democratici dei paesi in crisi sembra consistere nell’incassare degli schiaffi per non ricevere dei calci, nel sopportare il minor male, nell’escogitare sempre nuovi compromessi per attenuare i contrasti e tentare di conciliare l’inconciliabile. Gli avversari della democrazia ne approfittano e diventano sempre più insolenti.
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Solo recentemente la democrazia ha assunto il significato generico di governo della maggioranza del popolo. Fino al 1848 esso indicava un potere politico appoggiato dalla parte povera della nazione, dai contadini dagli artigiani dai manovali dai piccoli borghesi. Il suffragio universale era considerato uno strumento della democrazia, non la sua essenza. I fatti hanno provato che non sempre l’allargamento del suffragio ha avuto come risultato un rafforzamento della democrazia. Né mancano esempi in cui il suffragio è stato allargato dai reazionari proprio per fiaccare la democrazia. Il numero, senza la coscienza, è zavorra servibile a tutti gli usi.
(Da Ignazio Silone, La scuola dei dittatori, Mondadori, Milano, 1979, pp. 24-25, 33-35, 87)
Le immagini: le vignette sono tratte da http://www.letraslibres.com/revista/convivio/abc-del-populismo.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno VIII, n. 93, settembre 2013)