Le “ragioni poetiche” di Francesco Giordani è il titolo della Prefazione di Luca Viglialoro a Le cose avevano sempre ragione (pp. 48, € 9,80), silloge d’esordio appunto del poeta Francesco Giordani, dodicesima uscita della collana di poesia Le costellazioni sonore delle nostre edizioni. Vediamo come il direttore della collana presenta la silloge pubblicata.
Con le poesie di Giordani mi pongo un problema fondamentale – fondamentale per la poesia e fondamentale per le poetiche – e cioè: come si estende, perdura e si neutralizza (perdendo il proprio angolo d’incidenza) la vita nell’opera? O in altri termini: qual è il rapporto tra biografia e creazione artistica (in senso critico)? In ultimo: si danno condizioni di possibilità per ritornare alla realtà da singoli versi, senza devitalizzarli e, per questo, spogliarli della loro originaria tramatura con l’avvenire concreto?
Vediamo in che modo ci risponde Le cose avevano sempre ragione.
Come in un “temporale estivo”, queste poesie cercano di dominare e liberare il soggetto dal peso di una calura, di un’incorporeità asfissiante costantemente presagita sul crinale di eventi epifanici. Le illuminazioni del nostro autore non sono mai il lasciapassare verso una realtà senza contrasti, ma sono, proprio al contrario, paradigmi per l’immersione (senza risalita, senza soluzione di continuità) nelle crepe della totalità.
La costellazione dei senza titolo ci fa apparire questi componimenti come prove d’un alchimista che, mescolando ingredienti e pozioni già pronte, si prepara per nuovi incanti. C’è, in particolare, una poesia che, leggendola ora per la quarta volta, mi pare richiami una realtà nata dall’incontro di reagenti – che in questo caso sono un Io poetico invisibile, e l’infinità che lo precede e lo attraversa. Si noti come il senso di dispersione si pone a cavallo di nasali (n) e dentali (t, d). “Non avete contato all’infinito / le vostre due scarpe / ai piedi del letto / senza sapere dove andare / o cosa fare del canto / perché non si può che rimandare / se si è figli del vento // e al vento nel vento / si dona un silenzio soltanto”.
Su endecasillabi (spesso ipermetri) Francesco Giordani fa defluire il liquido tiepido e burrascoso di una vita che, sapendosi incardinata ad alcune coordinate di sopravvivenza, non smette di trascendersi in vista di un nuovo superamento. L’analisi lirica di questo movimento si avvale di una capacità fàtica tutt’innervata d’eros tragico. “Voglio stringere il tuo corpo / perché non mi ami / e mi stordisce la bellezza brutale / delle parole che non hai detto. / […] Voglio sentire caldo il tuo accadere / tra le dita”. La figura femminile associata alla morte – vessillo che accompagna la tradizione che parte dal decadentismo e sfocia in Milo De Angelis (con toni e ragioni diverse) – in queste pagine si fa figura del disincanto, momento emancipativo che dirama la messa in scena, per presentarci tutto in uno stato di colpevole assoluzione: “È la coda di un millennio ferito / che fugge e lo sguardo di una donna / che non siede nel tuo treno // è la forma precisa della provincia / o forse ancora meno / l’improvviso non accadere delle cose / o lo sguardo delle carte stanche”. In questa poesia, forse la migliore della raccolta, il senza titolo che non prende il treno, che non incontra lo sguardo di una donna, che non sente il senso di decadenza dei tempi, contende al mondo l’attimo, l'”improvviso” che decifra passato e presente (la loro frenesia) nella simultaneità. Il polemos in atto vede scontrarsi le ragioni delle cose (sempre in accordo con se stesse, come si legge dal titolo della silloge) ed il farsi una ragione (in un senso quanto mai poietico), da intendersi come una ratio sub specie humanitatis.
In un bruciante battito di ciglia, i “fuochi della controversia” (Luzi) decideranno il vincitore, che non trionferà mai sulla morte, ma, semmai, sempre e solo sulla vita stessa: “Ti ripeterai che la gioia / colpisce perfetta l’istante preciso / ed è un viso di donna / che guarda e sorride / e si dà nella voce che dice: // la morte non è la verità”.
(Luca Viglialoro, Le “ragioni poetiche” di Francesco Giordani, Prefazione a Le cose avevano sempre ragione di Francesco Giordani, inEdition editrice/Collane di LucidaMente)
L’immagine: la copertina della silloge di Francesco Giordani.
Simone Jacca
(LucidaMente, anno IV, n. 37, gennaio 2009)