Partendo dall’incendio della fabbrica ThyssenKrupp di Torino, avvenuto nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, durante il quale persero la vita sette operai, il regista di teatro sperimentale Pippo Delbono, noto per la sua compagnia teatrale composta anche da disabili ed ex emarginati e per la sua proverbiale provocatorietà, compie un’eccellente analisi della società attuale, in particolare della classe dirigente e delle sue prepotenze e una denuncia delle morti bianche.
La menzogna è andata in scena il 20 e 21 aprile presso il teatro bolognese Arena del Sole, dividendo il pubblico in sala tra polemiche e interpretazioni differenti e concludendosi con un interminabile applauso, un’ovazione all’originalità e al genio del regista, che non lascia mai indifferenti.
Seconda serata: Delbono scende tra il pubblico, afferra il microfono ed esordisce raccontando le critiche sulla performance della sera precedente. Si stupisce che ci siano persone che si scandalizzano per il nudo integrale e non lo fanno di fronte alle dichiarazione del figlio di Umberto Bossi, Renzo, che ha affermato di non essere “mai sceso a sud di Roma” e che non tiferà per la nostra nazionale di calcio ai prossimi mondiali. Monotonia e alienazione sono le protagoniste della prima scena dello spettacolo, con operai in tuta da lavoro che compaiono e scompaiono negli spogliatoi della fabbrica. Sì, perché il regista confessa di aver visitato la fabbrica dopo il rogo, tuttavia non è rimasto sconvolto per i luoghi colpiti dalle fiamme, bensì per gli spazi comuni utilizzati dagli operai: spogliatoi anonimi, armadietti e docce arrugginite, come fossero in disuso, squallore diffuso. L’anonimia della classe operaia è in forte contrasto con l’immagine di quella dirigente, anche a causa della concentrazione delle ricchezze nelle mani di pochi (proiezione di un discorso del missionario comboniano Alex Zanotelli sulla finanza mondiale e gli squilibri tra Nord e Sud del mondo). Anonimia che contrasta anche con lo spot della ThyssenKrupp, che mostrava uffici ordinati, con macchinari nuovissimi e le famiglie dei dipendenti in stile Mulino Bianco.
L’orgia del potere, la classe dirigente, sadica e assetata di dominio, viene “vestita” di pelle nera, borchie e maschere eccentriche. Lo stesso regista “si traveste” e comincia a fotografare i lavoratori sottomessi, pronti a sottostare a qualsiasi “im-posizione”, disposti a privarsi della propria dignità per garantirsi un posto “d’onore” e di prestigio in questa società, umiliati dalla dirigenza aziendale, docili come cagnolini, che latrano qualcosa di incomprensibile. Nell’orgia del potere Delbono sembra includere anche il clero: due preti che confessano i lavoratori soggiogati e poi li “rinchiudono” negli armadietti (gli stessi degli spogliatoi della fabbrica). Una delle scene più “ermetiche” dello spettacolo, insieme al gattone miagolante, che corre nudo per il palco prima e per la platea poi.
Con il divampare delle fiamme l’atmosfera si “riscalda”, la musica diventa incalzante, al pubblico sembra quasi di bruciare insieme ai corpi nudi degli operai. Rimane a terra Nelson, ex senza dimora, archetipo della vittima non tanto del rogo, quanto dell’iniquità della società stessa. Nella scena successiva una donna urla il suo straziante dolore attraverso le parole di Giulietta di Shakespeare: «O Romeo, Romeo. Perché sei tu Romeo?»: sarà forse una delle vedove degli operai deceduti nell’incendio? E poi, per spogliarsi di tutte le menzogne della classe dirigente, lo stesso regista si denuda letteralmente, tornando all’ingenuità genuina di quando era bambino, fino ad assumere la posizione fetale, quindi la purezza assoluta. Solo in questo modo si può tornare a vedere gli altri non come servi sterili, ma come “persone”. E con la “purezza” ritorna il tema – ricorrente nei suoi spettacoli – del “mondo” di Bobò, che, rinchiuso per cinquant’anni in manicomio, ha perso l’uso della parola e l’udito e per questo, sottolinea Delbono, può essere veramente libero, libero dalle costrizioni che questa società ci impone.
L’immagine: Pippo Delbono durante lo spettacolo La menzogna.
Francesca Gavio
(LM MAGAZINE n. 10, 15 maggio 2010, supplemento a LucidaMente, anno V, n. 53, maggio 2010)