Spesso, ma non sempre, la religione assume un ruolo di supporto morale per quanti si trovano a vivere nelle “strutture obbliganti”. Ma chi desidera avere un sostegno non confessionale, a chi può rivolgersi?
Il seguente testo è estratto dagli archivi di NonCredo. La cultura della ragione, «volume bimestrale di cultura laica». Abbonandosi a NonCredo, in un anno si possono ricevere a casa propria 600 pagine, con oltre 300 articoli come questo, ma inediti. Il costo? Meno di un caffè al mese: formato pdf 17,00 euro; formato cartaceo 29,90 euro: http://www.noncredo.it/abbonamenti.html.
Esistono sempre più uomini e donne che, nel condurre la vita di ogni giorno, fanno a meno di una gerarchia religiosa a cui rivolgersi e di testi sacri in cui trovare conforto. È plausibile che si comportino allo stesso modo nel momento in cui il bisogno si fa più forte. Ma le persone non sono tutte uguali, e in questi momenti si può desiderare ricevere assistenza morale, per quanto non confessionale.
L’assistenza da riservare a pazienti privi di appartenenza religiosa è forse la più difficile da praticare e, anche per questo motivo, anche la più difficile a essere praticata. Le confessioni religiose dispongono infatti, seppur non tutte allo stesso modo, di personale specifico “addestrato” a consolare i propri fedeli: quella consolatoria è una delle più importanti funzioni svolte dalla religione, e gli stessi fedeli sono a loro volta abituati a riferirsi ai ministri di culto per risolvere i propri problemi esistenziali. L’incredulità nasce invece proprio dal rifiuto di qualsivoglia orizzonte consolatorio: i pazienti senza un’appartenenza religiosa non possono dunque accedere a tale assistenza senza far violenza, in piccola o grande misura, alle proprie convinzioni.
Ciononostante, un’assistenza di questo tipo è praticabile: anzi, è già praticata, da decenni, in Belgio e in Olanda; in questi paesi personale specializzato, formato dalle associazioni in cui si uniscono i non credenti, presta infatti servizio all’interno degli ospedali e, più in generale, in ogni struttura obbligante. Se, ovviamente, l’approccio è alquanto diverso da quello confessionale, comune è invece l’obiettivo: quello di alleviare, o per meglio dire razionalizzare, la sofferenza del paziente, in particolare quando lo stato della malattia è tale da costringerlo a pensare alla morte come a un evento imminente. L’assistenza nei confronti dei pazienti atei e agnostici è rivolta a persone abituate ad affrontare la vita autonomamente: proprio per questo motivo, essa deve essere posta in essere solo quando si manifesta un’esplicita domanda di aiuto. Per la stessa ragione, il tipo di approccio nei confronti del paziente potrà solo in minima parte far riferimento a esperienze precedenti, sia del paziente che dell’assistente.
Un approccio umanistico all’assistenza ai malati sarà dunque basato sul rispetto della dignità di una personache ha improntato la propria vita all’insegna dell’autodeterminazione, e consisterà nel prestare un servizio che consenta al paziente di maturare una chiara consapevolezza della propria situazione, ponendolo in condizione di prendere le proprie decisioni ponderatamente. Un assistente laico non ha soluzioni da proporre o, peggio ancora, da imporre: ascolta il malato, acquisendo il maggior numero di informazioni utili all’espletamento del proprio compito, e lo conduce pian piano a una migliore conoscenza di se stesso, a una riflessione autonoma nella quale deve intervenire solamente come facilitatore. Egli è, per quanto possibile, sempre al fianco del malato, senza mai farsi latore del proprio punto di vista, ineluttabilmente parziale. Il rispetto dell’autodeterminazione del paziente costituisce pertanto sia la premessa, sia l’esito della relazione instaurata dall’assistente: a egli è richiesta la capacità di attivare una forte personalizzazione del rapporto, ma la personalizzazione deve tuttavia essere “sbilanciata” a favore del malato.
Assistere un paziente non credente significa infatti valorizzare la dimensione etica che ha saputo costruirsi durante tutta una vita, in special modo se le aspettative di poterla continuare sono ridotte al lumicino. Come ha più volte attestato Umberto Veronesi, chi non ha una fede è in grado di affrontare meglio l’avvicinarsi della morte: questa forza non deve però essere data per scontata o automaticamente estensibile a tutti i non credenti, o ancor peggio costituire un motivo per sottovalutare l’impegno richiesto. Non tutti gli atei e gli agnostici sono uguali, anzi: rispetto ai fedeli appartenenti alle comunità religiose la differenziazione interna è enormemente più alta. Accompagnare un essere umano negli ultimi istanti della sua vita può dunque voler dire cercare di far leva proprio su quell’autodeterminazione che lo ha caratterizzato per tutta la sua esistenza. L’assistenza può e deve altresì consistere nella rassicurazione che anche i passaggi che faranno seguito al decesso saranno allineati ai desideri del defunto: troppo spesso, purtroppo, l’approssimazione e un malinteso senso di attaccamento alla “tradizione” fanno sì che sia la commemorazione del defunto, sia le caratteristiche del luogo di sepoltura del suo corpo, non siano minimamente rispettosi delle sue convinzioni.
L’assistenza ai non credenti non è ancora ufficialmente riconosciuta in Italia: le istituzioni sembrano implicitamente ritenere che i non credenti, abituati per tutta una vita a cavarsela da soli, non abbiano bisogno di aiuto nemmeno durante la malattia. L’Uaar (Unione degli atei e degli agnostici razionalisti) ha tuttavia già organizzato, e continua a farlo, corsi per formare assistenti in grado di operare negli ospedali, e dall’ottobre 2009 un’assistente, la prima in Italia, c’è: Emilia Fabris, che presta la sua opera volontaria presso Le Molinette di Torino, in seguito a una convenzione stipulata tra il nosocomio e l’associazione. Intervistata dal Corriere della Sera, ha ricordato che «nessuno ha in tasca le risposte alle grandi domande della vita»; l’ascolto, nell’adempimento del suo compito, è un approccio imprescindibile. Ci si augura che anche le autorità ascoltino le ragioni dei non credenti, e che questo esperimento si riveli solo il primo di una lunga serie.
Le immagini: alcune sale del commiato (dall’alto, Rimini, Varese, Padova).
Raffaele Carcano – dall’archivio di NonCredo. La cultura della ragione, «volume bimestrale di cultura laica»
(LucidaMente, anno VIII, n. 93, settembre 2013)
Per saperne di più sul bimestrale NonCredo e sulla Fondazione Religions free, editrice della rivista. Siti: www.noncredo.it; www.religionsfree.org. Telefono: (+39)366-5018912. Fax: 0766-030470. Indirizzi e-mail: fondazione, info@religionsfree.org; rivista, noncredo@religionsfree.org. Abbonamenti alla rivista (€ 29,90 per sei numeri, conto corrente postale 97497390; IBAN IT34M0832739040000000007000): www.noncredo.it/abbonamenti.html; abbonamenti@religionsfree.org.
Da 3 anni sono una volontaria File e presto servizio presso l’hospice di Prato. Posso assicurare che semplicemente osservando il nostro decalogo si può essere di aiuto a tutte le persone semplicemente rispettando il vissuto di ognuno. Naturalmente questo è un semplice promemoria, ogni volontario ha ricevuto una formazione per poter aiutaere le persone che affrontano la fine della vita. Da laica e da atea vi assicuro che con un po’ di buona volontà si potrebbe fare in tutti gli ospedali
Decalogo volontari Hospice
Il volontario deve attenersi alle seguenti norme di comportamento:
1-Il volontario stabilisce con il coordinatore il giorno di turno.
2-Il volontario non sostituisce il personale medico/infermieristico. Non entra nelle competenze del volontario criticare né fare osservazioni alle persone che operano nella struttura. Onde evitare errori, è proibito interagire con il personale infermieristico durante la somministrazione dei medicinali/farmaci
3-Il volontario all’inizio di ogni turno dovrà informarsi sulla situazione dei pazienti in Hospice. E’ quindi necessario leggere le annotazioni riportate sulla nostra agenda. Arrivato in reparto p.f. richiedere reali informazioni sull’operatività al personale in servizio.
4-Il volontario in Hospice deve sempre portare in evidenza il distintivo FILE.
5 Il volontario deve presentarsi come una persona calma, serena, che non ostenta trucchi vistosi ed abbigliamento non consono.
6-Va sottolineata ancora una volta la gratuità del servizio. Il volontario non può accettare regali a meno che il parente o un familiare voglia dimostrare la propria riconoscenza offrendo a tutti (personale e volontari di quel turno) un piccolo presente.
7-il volontario è tenuto alle riunioni mensili in Hospice.
8-Il volontario deve sempre rispettare la volontà del paziente. E’ assolutamente scorretto affrontare discorsi che possono essere inopportuni nei confronti delle sue convinzioni politiche, religiose, etiche.
9-Il volontario che incontrerà difficoltà nello svolgere il proprio lavoro è invitato a parlarne con il coordinatore dell’hospice.
10- Buon lavoro a tutti!
Grazie, Meri. Sono preziose indicazioni.