Una realtà giovane, ma già ben radicata e soprattutto molto stimata ed apprezzata. La casa editrice Biblioteca del Cenide nasce nel 1998, a metà tra Palermo, dove c’è la redazione editoriale, e Cannitello (Villa San Giovanni, presso Reggio Calabria), sede amministrativa e commerciale. La mission dell’azienda consiste nel recuperare, mediante ricerche disciplinari e documentarie, “anelli mancanti” dell’editoria d’architettura in Italia. L’intento, inoltre, è anche quello di sostenere e promuovere le culture meridiane attraverso il lavoro di autori, curatori e collaboratori afferenti a una definita area geografica. Una casa editrice, dunque, molto attiva, sia in ambito culturale, universitario e non, che in quello commerciale, dato l’ottimo successo di vendite riscontrato fino ad ora.
Ne abbiamo sentito il direttore editoriale, nonché autore egli stesso, Domenico Cogliandro, al quale, nel corso di una lunga e interessante intervista, abbiamo rivolto varie domande.
Come mai una casa editrice raffinata, d’arte, d’élite, nel profondissimo Sud? Solo collegamento con gli atenei di architettura o altro progetto?
Biblioteca del Cenide è nata undici anni fa, dunque è una realtà editoriale ancora giovane. L’idea iniziale, derivata da effettive ricerche sul campo di chi scrive, era quella di collocare tasselli mancanti all’editoria d’architettura in Italia: elementi, pezzi di un puzzle esteso, che tenessero conto sia di lavori di studiosi meridiani sia di ricerche, relazioni, circostanze maturate in campo universitario. Poi, col tempo, questo modo di lavorare si è esteso e ha trovato l’apprezzamento di una serie di soggetti che hanno puntato, con i loro libri, sul lavoro di equipe che si stava creando e sulla direzione che si stava prendendo.
Il fatto di lavorare nel profondissimo Sud non è un vero problema, a volte anzi penso che sia un vantaggio. Qui si lavora con la giusta lentezza, quella utile a cercare interlocutori accorti, ad essere attenti sui materiali di stampa, sulle carte, sui colori, e a ponderare, discutendo dietro una tazza di tè, su quali scelte operare, per quali libri e con quali autori. Certo, non è idilliaco il rapporto coi territori – dal punto di vista culturale, politico, economico – ma le sfide, per essere interessanti, devono anche essere difficili.
Nelle sue collane e nei suoi libri è ricorrente il concetto di modernità e di futuro. Vuole essere una semplice analisi storica della dinamicità dell’architettura, o quasi un manifesto, una presa di posizione su come lo sviluppo dell’urbanistica (e non solo) dovrebbe evolvere?
I libri in sé non hanno valore, se non per le accortezze grafiche e per l’epidermide cartacea che scegliamo con accuratezza. Ciò che dà loro un valore sono le idee che li hanno prodotti, il senso di un percorso intellettuale, e in seconda istanza quello che contengono e per i quali vengono apprezzati. Mi spiego. Da lettore mi sono immerso dentro le opere complete di Sciascia, Perec, Vonnegut, Chandler, Strati, Verga, Calvino, Borges, Adams, Pennac, Benni. Quei libri e molti altri, adesso, sono dorsi esposti sugli scaffali delle mie librerie, ma io sono qui e sto rispondendo alle domande proprio perché ho letto quei libri.
Oggi, tranne alcune piccole eccezioni che mi vedono autore, mi occupo dell’abito dei libri, delle stoffe e delle cuciture, dei disegni e dei merletti, ma prima di confezionare l’abito ho preso l’abitudine di chiacchierare a lungo con chi andrà ad indossarlo. Se le idee che emergono dal dialogo esprimono i concetti di modernità e di futuro (ma non solo), allora è quello che dà senso alla relazione tra la casa editrice e l’autore. In realtà, e la cosa si evince dal nostro catalogo, si tratta di un rizoma, un tessuto con trame e orditi che si adagia, come la borgesiana mappa 1:1 dell’impero, su molti campi che vengono arati e seminati, e che nel tempo porteranno frutti.
Nella collana Arkitun si presenta l’architettura come esperienza educativa. Lei crede che oggi l’architettura rivesta ancora un ruolo importante nella cultura italiana? O avrebbe bisogno di essere valorizzata e rivalutata?
L’architettura è un incidente della vita, non l’unico. Certamente è uno degli elementi con cui ci si confronta e da cui si rimane “toccati”. Una città è bella se l’architettura che esprime presenta omogeneità e discontinuità in armonia tra esse. Purtroppo oggi viviamo città cacofoniche, e l’architettura, quella “corretta”, è sempre più relegata ad eventi episodici e non sempre apprezzati.
Il lavoro di Arkitun, che farà sentire i primi vagiti nel prossimo autunno, nasce su sollecitazione di Vivian Celestino, direttrice di collana, che è anche curatrice della sezione ragazzi, il WozKiz, del laboratorio Woz. Qualche anno fa la casa editrice, infatti, ha iniziato a promuovere e sostenere un laboratorio indipendente di design, il Woz appunto, per creare un gruppo di ricerca che affrontasse le proprie idee in rapporto a luoghi fisici o, meglio, per dimostrare con fatti concreti che le idee espresse nei libri non fossero solo smarrite elucubrazioni.
Per esempio, alcuni dei nostri più prolifici autori (Ugo Rosa, Valerio Morabito, Mario Manganaro) si sono confrontati sul campo con i temi dell’architettura, coinvolgendo allievi architetti e invitandoli a relazionarsi con luoghi, amministrazioni, cittadinanze: producendo, dunque, esperienze educative. Il Woz è già alla sesta edizione, e il senso del percorso è chiaro: porre attenzione alla cultura del bello, senza filtri o sovrastrutture, passando attraverso le maglie dell’architettura, del design, dell’arte, della narratività.
Tempi di crisi, di risparmio, ma anche di investimento. L’architettura, l’urbanistica e il design che ruoli posso assumere con queste prospettive?
Lei ha presente la storia del quadrato di Flatland. A romance of many dimensions, il libro di Edwin Abbott Abbott? Flatlandia è un mondo bidimensionale, il quadrato è il personaggio protagonista del libro. Vive in un mondo a due dimensioni, non conosce l’altezza. Quando una sfera lo “rapisce” dopo un lungo e concitato dialogo, e lo “solleva”, allora il quadrato vede qualcosa che gli era estraneo ma familiare: il proprio mondo visto dall’alto. Oggi facciamo continuamente quest’esperienza con Google Earth, e ci sorprendiamo di vedere il mondo, la terra, da un punto di vista inedito.
Non so rispondere alla sua domanda sul design (o ci hanno già pensato autori come Vilém Flusser, Ruggero Pierantoni o Enzo Mari), so però che dinanzi a una crisi bisogna cambiare punto di vista: bisogna usare le criticità come risorse. Noi stiamo ragionando, con alcuni autori, sulla eventualità di addentrarci nei territori della narrazione mantenendo sempre la barra orientata verso la descrizione di paesaggi, di città, di architetture o l’ambientazione in luoghi e circostanze la cui densità ci restituisca una immagine intensa del nostro tempo.
Da un certo punto di vista stiamo cambiando rotta, oppure stiamo inviando una lancia ad esplorare un’isola lontana. Sono ipotesi, non sono certezze. Eppure, se la nostra mappa non ci inganna, pensiamo che un’altra via possa essere una risorsa. Per noi e per i lettori.
L’immagine: la raffinata copertina di uno dei tanti libri curatissimi della Biblioteca del Cenide: Suite d’autore. Viaggio nella storia del design, di Dario Russo, in collaborazione con Attilio Patania.
Simone Jacca
(LM EXTRA n. 14, 14 febbraio 2009, supplemento a LucidaMente, anno IV, n. 38, febbraio 2009)