Nel saggio-antologia “libertini libertine. Avventure e filosofie del libero amore da Lord Byron a George Best” (liberilibri) il giovane filosofo marchigiano Cesare Catà tratta uno degli archetipi più affascinanti… e odiati dalla società
Due mesi fa avevamo recensito il saggio Il nuovo ordine erotico. Elogio dell’amore e della famiglia (Rizzoli, 2019, pp. 416, € 19,00) di Diego Fusaro. Qualcuno ha potuto interpretare il pensiero del filosofo torinese in modo semplicistico, come una difesa di alcuni valori “tradizionali” in ambito sessuale ed erotico, nonché della famiglia e della coppia uomo-donna.
Quasi per fare da pendant, stavolta vogliamo segnalare libertini libertine. Avventure e filosofie del libero amore da Lord Byron a George Best (liberilibri, Macerata 2018, pp. 228, € 17,00), un saggio-antologia curato dal marchigiano Cesare Catà. L’autore, nato a Fermo nel 1981, è dottore di ricerca in Filosofia del Rinascimento, nonché scrittore e performer teatrale. Nel suo libro intende esplorare l’archetipo del ribelle d’amore. In effetti, la figura del libertino (da La Mettrie a Lord Rochester, da Lord Byron a Wilde) ha sempre affascinato le menti libere, non conformiste e trasgressive, quelle che non accettano le convenzioni della società e del perbenismo in ambito erotico. Ad esempio, tra le nostre letture preferite in tale ambito, vi sono state gli ormai datati l’Elogio del libertino. Manuale di seduzione (Newton Compton, 1993), ironico pamphlet di Franco Cuomo, o il Breviario del libertino. Aforismi, paradossi e riflessioni scandalose (Editori Riuniti, 1997), antologia curata da Riccardo Reim, per non dire degli aforismi dell’anticonformista per eccellenza, Oscar Wilde.
Catà distingue l’aspetto filosofico della corrente libertina (la libertà di pensiero, il rifiuto dei dogmi, il disvelamento delle falsità, ecc.) da quello erotico, sebbene essi siano, ovviamente, intrinsecamente congiunti dal comune denominatore della rivolta contro l’ipocrisia sociale. E, infatti, «i libertini la società li odia sempre». E li odia perché rappresentano quello che chiunque vorrebbe pensare e fare, ma che reprime per paura. Come sopportare «l’atteggiamento di chi, dimentico delle norme morali condivise o riottoso rispetto ad esse, indulge colpevolmente in modalità amorose-sessuali-affettive ponendo in primo piano i propri desideri rispetto al decoro comunitario»?
Dunque, nasce da questo l’invidia, l’avversione, l’intolleranza, la persecuzione verso la categoria. Il libertino opera «una sorta di sovversione valoriale, per la quale la libertà di amare diventa preminente nei confronti della norma stabilita. Il libertino è colui che ama fuori dagli schemi. Uno che ama troppo». E «il trascendimento delle norme stabilite dipende da un tipo d’amore che queste norme non possono contenere»: la passione assoluta, folle, estrema. E, anche quando ha più esperienze erotiche, il vero libertino ama tutte le proprie donne, perché solo gli esseri volgari e limitati non sono in grado di amare più di una persona alla volta. E qui cade bene la distinzione – già operata da Cuomo tra Casanova e Don Giovanni. Il primo ama tutte le donne con le quali ha rapporti sessuali: le sue possono «conquiste effimere, ma mai superficiali»; al secondo interessa nevroticamente solo aggiungere una conquista all’altra (il famoso Catalogo di Leporello di Mozart-Da Ponte).
In tal senso anche il Marchese De Sade non può essere associato al libertinismo, quanto al libertinaggio: la sua distruzione dell’oggetto del piacere esula dalla libera scelta, dal rispetto e dalla cortesia verso il partner che sono tipiche dell’amore libertino. In quest’ultima tipologia, scrive Catà, il rapporto erotico è «intimità connessa con la conoscenza di una donna; non mero atto fisico, ma incontro totale in cui due esperienze si fondono per un piacere che – si badi bene – per essere completo deve essere reciproco». Di più: non vi è alcun iato tra spirito e corpo, carne e anima: la materia stessa possiede tratti divini. E, nei confronti dell’assurdità del mondo e dell’organizzazione sociale, il libertino esprime un «grido di rivolta e di libertà».
Uno dei meriti del libro di Catà è quello di aver dedicato notevole spazio anche alle donne libertine. Nella maggior parte delle civiltà e per millenni – e ancor oggi in alcuni casi, si pensi a clitoridectomia, infibulazione, islam – al genere femminile è stato negato il piacere erotico, anzi perfino l’idea che potesse essere provato, figuriamoci la dimensione della libertà sessuale. Così il pensatore marchigiano, sia nella parte saggistica, sia in quella antologica, accanto a dèi, personaggi, scrittori, opere, dedica ampio spazio a figure femminili come Saffo, Marguerite Porete, Veronica Franco, Aphra Behn, Anne Sexton. E oggi? Sembra che in questo inizio del XXI secolo non vi sia più spazio per i libertini e il loro pensiero. Mancano cultura, poesia, lealtà, finezza e raffinatezza: «La liberazione dei costumi sessuali ha forse, malauguratamente, aperto le porte più alla volgarità e alla superficialità nei rapporti di quanto non abbia fatto in termini di effettiva ampiezza mentale». Sicché, come per un miracolo, siamo tornati alle critiche della contemporaneità de Il nuovo ordine erotico di Fusaro citato all’inizio.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XIV, n. 167, novembre 2019)