«Era partito per fare la guerra / per dare il suo aiuto alla sua terra. / Gli avevano dato le mostrine e le stelle / e il consiglio di vendere cara la pelle. // E quando gli dissero di andare avanti / troppo lontano si spinse a cercare la verità. / Ora che è morto la patria si gloria / d’un altro eroe alla memoria.
Ma lei che lo amava aspettava il ritorno
d’un soldato vivo, d’un eroe morto che ne farà?
Se accanto, nel letto, le è rimasta la gloria
d’una medaglia alla memoria».
(La ballata dell’eroe, da In direzione ostinata e contraria, Sony Bmg Music Entertainment, 2005)
Fabrizio De André
LA RILETTURA
Poeta, prima che cantautore. Così dovrebbe giustamente definirsi Fabrizio De André (1940-1999), artista superlativo, senza dubbio il miglior interprete della musica italiana d’autore, del quale è stata recentemente pubblicata una splendida raccolta antologica in un triplo cd, dal titolo emblematico: In direzione ostinata e contraria (Sony Bmg, 2005).
Formatosi all’interno della mitica “scuola genovese” (Umberto Bindi, Bruno Lauzi, Gino Paoli, Luigi Tenco), il giovane De André subì l’influsso delle tematiche esistenzialiste degli chansonniers d’oltralpe (Jacques Brel, George Brassens), ma seppe ben presto elaborare un suo stile inconfondibile, scovando dentro di sé un’impareggiabile vena poetica.
Dalla parte degli ultimi – Pur rimanendo sulla scena del pop italiano per oltre un trentennio, De André si mantenne sempre schivo, quasi ritroso, del tutto alieno dal divismo e refrattario alle lusinghe mediatiche. E fu capace di superare indenne anche la traumatica esperienza del sequestro e della detenzione coatta in Sardegna del 1979 – che condivise insieme alla compagna, Dori Ghezzi -, cui fece autoironicamente riferimento in Hotel Supramonte, uno dei brani portanti dell’album del 1981 Fabrizio De André [Indiano]. Le sue dichiarate simpatie anarchiche lo portarono fin dalle prime canzoni a schierarsi – lui, che apparteneva ad una buona famiglia borghese – dalla parte dei vinti, degli ultimi, dei diseredati e degli emarginati. Basti ripensare a Via del campo, a La città vecchia o a Fiume Sand Creek. La profonda umanità e gli slanci libertari lo resero, inoltre, fieramente avverso alla guerra, che criticò diffusamente in tante sue composizioni (ricordiamo, oltre a La ballata dell’eroe, anche Fila la lana, La guerra di Piero, Girotondo, Andrea).
No alla guerra – La ballata dell’eroe è forse uno dei brani meno famosi di De André, ma è altamente espressiva, per la schietta immediatezza del testo e per la sua struggente melodia. Interpretata per la prima volta da Luigi Tenco nel 1962 (nella colonna sonora del film La cuccagna di Luciano Salce), la canzone fu pubblicata – con un testo lievemente diverso da quello che qui si ripropone – in Tutto Fabrizio De André (la prima raccolta di brani del cantautore genovese, che risale al 1966) e fu poi inserita nell’album Volume 3 del 1968, nella versione qua riportata. Con questa ballata De André fece giustizia di tanta sciocca retorica bellicista, che ancora aleggiava in parte della cultura politica dell’epoca, stigmatizzando indirettamente le imprese militari poco edificanti delle superpotenze, le quali, proprio in quegli anni, portarono spesso il mondo sull’orlo di una catastrofe nucleare.
La follia militarista – La “verità” della guerra, che il protagonista della canzone scopre suo malgrado, è cruda, dolorosa, insensata: consiste semplicemente nella morte, che accomuna, in ogni tempo e su ogni fronte, milioni di soldati, mandati allo sbaraglio da chi la guerra la dichiara, la dirige, ma quasi mai la combatte in prima persona. Commovente è l’immagine finale, in cui “una medaglia alla memoria”, assegnata alla vedova a imperituro ricordo di “un eroe morto”, ha preso il posto, nel letto matrimoniale, di “un soldato vivo”. Provate ad immaginare quante volte, negli ultimi anni, si è rinnovata la stessa tragica scena in tanti angoli del nostro cruento e dissennato mondo, dove l’odio e la sopraffazione mettono continuamente a repentaglio la convivenza pacifica tra i popoli e l’incolumità di milioni di persone, vittime innocenti della follia militarista.
L’immagine: la copertina del disco.
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno I, n. 11, novembre 2006)