A pochi giorni dalle elezioni politiche, resta alta la percentuale di incerti e non-votanti, sempre meno disposti a «turarsi il naso e votare» il “male minore”
I recenti sondaggi sulle intenzioni di voto degli italiani collocano il “partito degli incerti e dei non-votanti” ai primi posti con una percentuale (in calo) che oscilla intorno al 20-25%. Non si tratta ovviamente di un partito candidato al governo, ma di un corposo insieme di persone privo di ben definiti riferimenti e intenti politici che influisce in maniera indiretta sull’esito delle elezioni. L’astensionismo, più diffuso negli Stati Uniti che nei Paesi europei, era pressoché inesistente in Italia fino a qualche decennio fa, ma negli ultimi anni è cresciuto in misura esponenziale anche nel nostro Paese. Dal 1946, in occasione del referendum istituzionale che chiedeva agli elettori di scegliere tra monarchia e repubblica, si esercitò per la prima volta in Italia il suffragio universale maschile e femminile. Da allora, la partecipazione elettorale degli italiani, entusiasti per la libertà e i diritti ritrovati dopo il ventennio fascista, è stata massiccia e costante fino alla fine degli anni Settanta.
Negli anni Ottanta e Novanta si è registrato un discreto incremento del fenomeno astensionista, prima tra i giovani, poi tra le altre fasce d’età (è un caso che lo scollamento tra cittadini e attività politica sia aumentato proprio dopo il crollo dell’ideologia comunista, gli scandali di Tangentopoli e la fine della Prima Repubblica?). Nelle politiche del 2008 il numero degli astenuti è salito a 10 milioni, mentre nelle europee del 2009 è raddoppiato (20 milioni). Il vincitore indiscusso delle elezioni amministrative siciliane dello scorso anno è stato “Il partito degli astenuti”, con una percentuale del 52,6%, seguito dal Movimento 5 stelle con il 15% dei voti. Secondo un sondaggio Swg, presentato lo scorso 26 novembre, gli indecisi (se votare alle elezioni che si terranno il 24 e 25 febbraio) erano 21 milioni, il 44,5 % degli aventi diritto. Solo 40% di loro ha però dichiarato di aver avuto esperienze di non voto. Nonostante abbia raggiunto livelli considerevoli, nessuno può appropriarsi di questa nuova forma di contestazione che rimane l’espressione soggettiva della disillusione individuale.
La diminuzione della partecipazione al voto ha un’importanza politica e sociale notevole e, anche se non è tema onnipresente nei dibattiti politici, è oggetto di timidi ma importanti studi da parte di politologi e sociologi, consci dei rischi legati al potenziale scivolamento del dissenso verso forme di contestazione pericolose per la democrazia. Con l’intento di arginare questa tendenza, il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, ha da qualche tempo auspicato un confronto trasversale tra le forze politiche che miri a ricucire il legame tra società civile e istituzioni; mentre il sindaco di Bologna, Virgilio Merola, in un’intervista all’edizione locale di Repubblica, rilasciata qualche tempo fa, ha avanzato il timore che l’astensionismo possa sfociare in soluzioni autoritarie. Beppe Grillo ha addirittura lanciato l’idea di introdurre il reato di astensionismo, proposta non raccolta, a causa della difficoltà a esercitare il controllo sulla validità del voto nella segretezza delle urne. Il voto, definito «dovere civico» dalla Costituzione (art. 48), nel 1948 (art. 25, primo comma, legge 6 febbraio) e nel 1993 (legge 276, 277 del 4 agosto) è stato ridefinito come un diritto, non più come un dovere, pertanto non comporta alcuna costrizione.
Il termine astensionismo, che figura poco nei dizionari di politica o sociologia, deriva dalla locuzione latina abstinere, stare lontano; la forma riflessiva, tenersi lontano, nel linguaggio politico, indica la consapevole non partecipazione alla vita politica e al voto. Nel Dizionario di politica di Norberto Bobbio, si distingue l’astensionismo politico da quello civico, che si ha quando l’elettore si reca al seggio, ma depone nell’urna la scheda nulla o bianca, così non contribuendo direttamente all’esito delle elezioni. Ci sono diverse forme di astensionismo politico: quello fisiologico-demografico, legato all’invecchiamento della popolazione; quello tecnico-elettorale, dovuto alla non comprensione dei meccanismi di voto; quello apatico, connesso al crollo delle ideologie e alla crisi dei partiti e infine quello di sfiducia e protesta. Le ultime due forme sono validi indicatori della disaffezione popolare alla politica.
Secondo il politologo Gianfranco Pasquino, le cause della “diserzione elettorale” si ravvisano nella tendenza dell’elettore a partecipare maggiormente alle più importanti elezioni politiche che a quelle amministrative; nella mancanza di competitività dei partiti che ormai hanno programmi sostanzialmente similari, per cui uno vale l’altro; nella crisi dei partiti che non riescono più a far presa sull’elettorato. L’astensione è sempre più interpretata come espressione individuale, pacifica e democratica di sfiducia e protesta nei confronti della classe politica. Non votare significa esprimere un giudizio negativo nei confronti del cattivo rendimento delle istituzioni e la volontà di punire la coalizione di riferimento. Le colpe maggiori attribuite a tutte le forze politiche consistono nell’incapacità di risolvere i problemi del Paese e l’egoistica difesa dei privilegi della casta. La crisi delle forme tradizionali di partecipazione civile, l’esercizio del voto e l’impegno nei partiti, che costituiscono anche i principali canali di comunicazione tra sistema politico e società civile nelle democrazie rappresentative, pone dunque l’accento sul carattere di incompiutezza della democrazia.
Esistono due tipi di astensione: quella contingente e quella strutturale. Laprima è legata alle circostanze politiche del momento ed è praticata dagli elettori “intermittenti”, poco interessati alla politica più che ostili. Essi decidono se votare seguendo la strategia di massimizzazione dell’utilità; disertano le elezioni meno importanti e possono essere decisivi nel condizionare l’esito delle elezioni. La seconda riguarda gli assenteisti cronici, quelli che non hanno dubbi e ripensamenti. Gli elettori che non votano mai costituiscono una netta minoranza rispetto alla categoria degli intermittenti. L’astensionismo, sia strutturale sia contingente, può essere passivo, quando manifesta totale disinteresse per la vita politica, e attivo, quando ricerca altre forme di partecipazione alla vita pubblica.
Un tempo si credeva che gli astensionisti intermittenti fossero elettori di sinistra delusi dalle scelte moderate della propria area di appartenenza. Di recente sono stati identificati come una maggioranza silenziosa priva di un preciso colore politico, orientata dunque anche verso lo schieramento di centrodestra. Il tratto che accomuna tutti è la sfiducia nei confronti delle istituzioni politiche. Ci sono alcuni luoghi comuni da sfatare su di loro: non sono solo giovani ma appartengono a diverse fasce anagrafiche; non fanno parte esclusivamente di categorie sociali e culturali emarginate. Sono, invece, concentrati maggiormente nelle aree del Nord-est e in quelle meridionali e insulari e il loro numero è maggiore nei centri con meno di 50 mila abitanti. I cittadini colti e realizzati economicamente hanno maggiore interesse a partecipare al voto e a impegnarsi nei partiti, rispetto ai giovani non preparati culturalmente, disoccupati, impotenti, che avvertono il peso dell’emarginazione sociale e dell’alienazione.
Per avvicinare i giovani alla politica, Mtv ha lanciato la campagna “Io voto” con una serie disimpatici spot, e ha realizzato un sondaggio per capire il rapporto che essi hanno con la politica. Fra gli elettori intervistati tra i 18 e i 34 anni, il 74% associa alla politica l’idea di corruzione, il 67% sensazioni di disgusto, il 57% rabbia; il 51% afferma di informarsi di politica, solo il 62% si dice certo di andare a votare, il 76% vede nell’astensionismo una valida forma di protesta contro le istituzioni; il 76% giudica la classe politica «incompetente», il 67%, «raccomandata», il 60%, «anacronistica e incapace di rinnovarsi», mentre solo il 2% dichiara di impegnarsi attivamente. Il leader ideale deve possedere l’onestà (86%), la trasparenza (66%) e la credibilità (65%). Nell’agenda politica, la priorità è data alla lotta alla disoccupazione giovanile (28%); seguono la risoluzione della crisi economica (26%) e l’allentamento della pressione fiscale (13%). La manifestazione del dissenso per il 46% deve avvenire nelle piazze, mentre per il 45% su web e social media. Il partito del non-voto pur se in calo, resta dunque, tra i giovani una solida realtà che i politici devono iniziare a prendere in seria considerazione.
A parte qualche sporadica e personale esternazione, il mondo politico sembra curarsi poco del fenomeno dell’astensionismo, forse perché nelle elezioni politiche non è necessario il raggiungimento del quorum e la crescita del numero dei non-votanti non inficerebbe il loro esito. Può accadere che alcune categorie di persone finiscano per essere dimenticate. È il caso degli studenti Erasmus, che sono stati esclusi dalle imminenti elezioni, proprio nell’Anno europeo dei cittadini e dei loro diritti, perché, come ha ammesso la Cancellieri, «nessuno ha pensato a loro». L’associazione Aipd (Associazione italiana persone down), per sensibilizzare l’opinione pubblica sul diritto di voto delle persone con deficit intellettivo, ha promosso la campagna “Il mio voto conta!” al fine di rendere comprensibile la politica e facile l’esercizio del voto alle 25 mila persone affette in Italia dalla sindrome di Down. Mentre la Convenzione dell’Onu chiede per loro la traduzione semplificata dei programmi politici, seguendo le regole dell‘easy reading, la lettura facile, la campagna si propone di ricordare alle istituzioni che non esiste una qualità di diritto di voto e che il solo pensarlo mette in dubbio la democrazia.
Ci sono forme di protesta differenti che hanno origine dalla medesima sfiducia nelle istituzioni. Le più antiche fanno riferimento ai movimenti anarchici, che contestano la validità del governo rappresentativo, e quindi delle elezioni. Di recente sono sorti nuovi movimenti e partiti politici, i quali, a colpi di slogan populistici, che in verità nemmeno i partiti tradizionali si risparmiano, hanno incamerato i voti del dissenso, diventando, nel giro di poco tempo, soggetti politici di tutto rispetto. Il caso più clamoroso è costituito dal Movimento 5 stelle, fondato da Beppe Grillo. I motivi del successo del movimento sono ascrivibili alla vicinanza al popolo (il cui interesse sembra essere l’obiettivo primario), ai reiterati attacchi rivolti alla classe politica, all’intenzione di voler promuovere forme di democrazia partecipativa. I limiti che gli imputano gli avversari riguardano la forte identificazione del movimento con il leader, l’incapacità di raccogliere i dissensi, di considerare le proposte dell’elettorato (che rischia così di sentirsi nuovamente impotente), di tradurre le richieste degli elettori e i proclami in concreti e realizzabili programmi politici.
Sono tanti coloro che, pur avendo scelto il rifiuto dell’impegno politico, non hanno rinunciato, rifluendo nel privato, a quello civico e hanno scelto forme di partecipazione non convenzionale. Firmano petizioni, appelli, partecipano a manifestazioni, più raramente si lanciano in forme di partecipazione più radicale come il boicottaggio o le manifestazioni non autorizzate. Il loro impegno ha trovato nuovi canali di espressione: il web e i social media. Si sentono coinvolti e considerati alla pari e hanno operato un netto rifiuto della deferenza verso le elite e le istituzioni. Analizzano, criticano, vigilano sul sistema, ma è del tutto assente qualsiasi tentativo di incidere sulle decisioni politiche del governo. Dagli anni Novanta, poi, tra le ragioni della partecipazione pubblica ha fatto il suo ingresso la dimensione etica e morale: si partecipa alla vita pubblica per difendere valori come la libertà, i diritti umani e civili, per salvaguardare l’ambiente, per garantire trasparenza e accessibilità della politica.
In attesa di conoscere quale sarà l’esito delle prossime elezioni e il peso che acquisterà nello scenario politico il partito degli incerti e degli astensionisti, i segnali di una crisi profonda nel rapporto tra società civile e istituzioni sono stati lanciati da più parti. La crisi economica, gli scandali politici, il malgoverno, hanno cambiato la mentalità di gran parte della popolazione italiana. La politica saprà e vorrà interpretare questi segnali e dare una risposta concreta ai bisogni del Paese, consentendo alla popolazione più consapevole, più attenta, più critica, più disincantata, più delusa dai continui scandali e dalla corruzione, impoverita dalla crisi economica mondiale, vessata dalla pressione fiscale, di rivestire un ruolo più attivo nella gestione della cosa pubblica? Per il momento, appare più interessata al voto utile che al non-voto.
Sabina La Grutta
(LucidaMente, anno VIII, n. 86, febbraio 2013)
Personalmente non intendo votare l’attuale sistema, poichè si vota il partito e non si può scegliere la persona. Quindi facendo protesta civile verbalizzata al Presidente del seggio dandone le motivazioni e non disertando. Ritengo che sia da promuovere la democrazia diretta tipo quella svizzera, dove il popolo può esercitare meglio la sua sovranità su coloro ai quali delega il potere amministrativo. poichè può corregere perfino le leggi approvate dai parlamentari o annullarle del tutto. Il popolo sovrano può quindi civilmente agire. L’attuale sistema rappresentativo a causa del decadimento, dove dimostra ogni volta che, può essere cambiata solamente la pentola, ma la minestra diventa sempre più amara, può snervare la popolazione e portarla a reazioni insensate come quella della rivoluzione violenta o guerra civile. Dato che l’attuale governo ha acquistato 90 F35 per la difesa, come pure fornito diversi stanziamenti a tale ministero, se ne deduce quali siano i reali intenti, visto che non siamo in guerra dichiarata con altri Stati esteri…
Gentilissimo lettore, le sue osservazioni sono valide. Peccato, però, che, se non voterà quasi nessuno, chi si aggiudicherà il 12% dei voti reali griderà alla vittoria (come in Sicilia) e ci guiderà per cinque anni alla faccia dell’astensionismo. Tra decine di liste e partiti (vedi il sito istituzionale del Ministero degli Interni http://www.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/sezioni/sala_stampa/speciali/elezioni_politiche_regionali_2013/liste_leader_programmi.html) possibile che non le piaccia nessuno? Modello svizzero? Sarà già molto se non comanderanno le mafie e non ritorneranno al potere i corrotti (vedi il mio Elezioni 2013: Non “aridatece er puzzone” https://www.lucidamente.com/21051-tripodi-elezioni-2013-non-aridatece-er-puzzone/). Insomma, vada a votare.
Nessuna campagna pro-astensionismo, né il suo contrario..è un fatto oggettivo che l’astensionismo sia un fenomeno in crescita e in quanto tale credo che debba interessare tutti noi anche solo per capirne le ragioni
http://www.lastensionista.it