Da anni al centro del dibattito etico, l’utilizzo di animali nei laboratori “scientifici” divide le opinioni e le coscienze: il fallace principio che il fine giustifichi i mezzi
Un caso giudiziario e mediatico senza precedenti quello che nel 2012 riguardò l’allevamento-lager Green Hill. I beagle detenuti, che sarebbero stati destinati alla ricerca biomedica nei laboratori di tutta Europa, furono sottoposti a sequestro giudiziario e affidati alla Lav (Lega anti vivisezione).
Ad oggi, dopo sei anni e la conferma delle condanne dei vertici della multinazionale nei tre gradi di giudizio, la Cassazione ha imposto dei limiti alla ricerca, ribadendo il superamento del concetto di animale come oggetto sperimentale. Immediatamente dopo la sentenza grande soddisfazione è stata espressa dalla Lav, parte civile nel processo. Un verdetto che però trova il proprio contraltare oltreoceano, in Cina, dove sono state clonate con successo due scimmie. Dopo 19 anni dalla prima clonazione di un primate, il macaco Tetra, ottenuta in America con la scissione degli embrioni, gli scienziati cinesi si sono avvalsi della tecnica utilizzata con la pecora Dolly per “generare” Zhong Zhong e Hua Hua. Tuttavia, se da una parte l’esperimento è stato accolto con grande entusiasmo perché si pensa possa permettere di ridurre il numero di animali sacrificati nei test, dall’altra già solo il progetto in sé è considerato poco etico.
«La clonazione dei primati, oltre ad essere eticamente inaccettabile, avviene nel solco di un metodo, la sperimentazione animale, che sempre più spesso viene messo in discussione dagli stessi scienziati. Il vero obiettivo di questa operazione sembra essere quello di creare un esercito di animali con cui riempire i laboratori» ha dichiarato l’Enpa (Ente nazionale protezione animali). Sulla stessa scia si colloca la creazione dell’embrione ibrido uomo-pecora. La scoperta arriva dall’Università della California, i cui scienziati sono riusciti a ottenere l’ibrido introducendo cellule staminali riprogrammate nell’embrione di una pecora, che poi è stato lasciato crescere per ventotto giorni, periodo in cui le cellule umane si sono riprodotte.
«Non si possono fare considerazioni morali davanti a questi studi aberranti, la ricerca non può prescindere dall’etica e qui si sono superati i limiti sia nei confronti degli animali che dell’uomo» è stata la reazione al vetriolo della Lav. La Lega anti vivisezione non è, però, l’unica ad auspicare una ricerca senza animali. L’Associazione Luca Coscioni, da mesi nell’occhio del ciclone per la sua battaglia pro eutanasia (caso Dj Fabo-Marco Cappato), da oltre dieci anni si batte affinché si brevettino metodi di studio in grado di ridurre il ricorso alla sperimentazione animale. E se in Inghilterra il Parlamento aveva paventato l’ipotesi che nel futuro post-Brexit gli animali non sarebbero più stati riconosciuti come “esseri senzienti”, eludendo così ogni provvedimento europeo che riconoscesse tale diritto (vedi Stop vivisezione, passo in avanti dell’Ue), in Italia il recente studio condotto dai ricercatori del Centro Enrico Piaggio di Pisa sui disturbi legati all’obesità ha dimostrato come il progresso scientifico possa fare numerosi passi avanti verso una ricerca sostenibile.
L’analisi, diretta dalla professoressa del centro Arti Ahluwalia, propone, infatti, un nuovo sistema per studiare i disturbi metabolici legati all’eccesso di nutrizione senza l’utilizzo di cavie animali. Il metodo brevettato è risultato particolarmente efficace proprio in virtù del fatto che l’obesità è un disturbo prettamente umano, che dipende dallo stile di vita e dalla dieta delle persone, variabili che è quasi impossibile riprodurre negli animali. Tali dati confermano, dunque, l’urgenza di abbandonare il modello animale a favore di una ricerca etica e innovativa.
Francesca Santi
(LucidaMente, anno XIII, n. 148, aprile 2018)