Alla base della punta dell’iceberg dell’omicidio di George Floyd, milioni di armi da fuoco, forze dell’ordine brutali e impreparate, carceri sovraffollate, sparatorie in cinema e tv, segregazione sociale ed etnica. E il razzismo c’entra poco…
A volte è proprio la tv spazzatura a farci capire una determinata realtà. Avete mai visto sui canali secondari in chiaro quei “reality” – fino a che punto non si sa – ambientati negli Stati uniti presso banchi di pegno, officine, depositi di oggetti abbandonati, ecc. Colpiscono l’agitazione delle persone, l’irruenza incontrollata, il gesticolare nevrotico, le parolacce, la volgarità, la miseria morale prima che economica e, soprattutto, l’aggressività. Se tali programmi costituiscono uno spaccato realistico della società medio-bassa americana, allora essa è davvero degradata e violenta.
D’altro canto, attraverso film e telefilm, nel corso della propria esistenza, ogni statunitense assiste a milioni di omicidi, violenze di ogni genere, uso di droghe. Ovviamente, tali produzioni costituiscono il pane quotidiano di buona parte anche delle restanti persone del pianeta e ne influenzano la sensibilità e l’empatia. Persino alcuni degli sport più popolari in America, come football e hockey su ghiaccio, sono caratterizzati da scontri violenti e danni fisici ai giocatori. In pratica, si origina un’assuefazione al dolore e alla sofferenza altrui. E una propensione a risolvere i conflitti con la brutalità. La differenza è che in nessun Paese l’uso delle armi da fuoco è liberamente consentito (Secondo emendamento della Costituzione) come negli Usa, dove ne circolano più degli stessi abitanti (357 milioni a 320 milioni). Gli States nascono così: un enorme territorio senza legge e forze dell’ordine, in cui, nella loro espansione verso ovest, i coloni devono difendersi dai nativi (e massacrarli).
Un altro record è costituito dalle incarcerazioni facili in luoghi di pena spesso aberranti e sovraffollati. Ferdinando Cotugno su Linkiesta denuncia un «sistema di incarcerazione di massa, nel quale si può entrare per colpe anche più lievi di una (presunta) banconota falsa e che fa degli Stati Uniti la nazione con più detenuti al mondo. Sono 2,3 milioni le persone attualmente dietro le sbarre, sparsi tra oltre 7mila carceri statali, federali e locali: un tasso di 698 detenuti su 100mila abitanti. Secondo i dati di Prison Policy, uno dei tanti progetti di riforma del sistema carcerario, mezzo milione sono in attesa di giudizio. Spesso non hanno i soldi per aspettare la sentenza da persone libere, perché la cauzione costa in media 10mila dollari, o otto mesi di stipendio».
I numeri sciorinati dal giornalista sono sempre più impressionanti se guardiamo a «quanti cittadini ogni anno vengono arrestati dalla polizia: secondo gli ultimi dati aggregati dall’FBI sono 10,3 milioni, un tasso di 3,152.6 per 100.000 abitanti. Parliamo di un ingresso nel sistema penale ogni tre secondi, la maggior parte dei quali non porterà a nessuna incriminazione e nessun processo. I numeri hanno una scala da pandemia: quasi 5 milioni di americani sono stati in prigione, 77 milioni hanno un “criminal record”. Poco meno di uno su due (113 milioni) ha un parente diretto che è stato in carcere a un certo punto della sua vita. È come se ormai essere arrestati facesse parte dell’esperienza americana, soprattutto per minoranze e poveri». La mancanza di rispetto per la vita umana e per la sua dignità sono alla base di tragedie come quelle dell’omicidio di George Perry Floyd, che, peraltro, non era uno stinco di santo neanche lui, avendo riportato numerose condanne. La discriminazione razziale conta fino a un certo punto, o per nulla. A capo delle polizie locali vi sono spesso neri, ispanici, asiatici. A morire non sono solo neri per mano di bianchi, ma anche neri per mano di neri o bianchi. Le forze di polizia sono spesso impreparate e del tutto prive di sensibilità umana. Tuttavia, rendiamoci conto di una realtà oggettiva.
Mentre un poliziotto o un carabiniere italiani sanno che difficilmente si troveranno a dover cercare di arrestare un delinquente armato, quello statunitense sa che quasi sempre il malvivente ha un’arma da fuoco con sé. Anche da questa situazione si generano le migliaia di cittadini uccisi dalla polizia americana (vedi su Il Sole-24 Ore l’approfondita e significativa analisi di Davide Mancino: Quanto è diffusa la violenza della polizia negli Stati Uniti? In sette anni sono morte 7.663 persone). In tale ambito è vero che il rapporto neri uccisi dalla polizia rispetto ai bianchi è di 2,5/1, mentre la popolazione di colore è solo il 13% di quella complessiva negli Usa. Però i neri compiono il 50% dei crimini violenti negli States, sei volte più rispetto alle altre etnie. Perciò la proporzione di cui dicevamo dovrebbe essere 6/1.
Addirittura potrebbero essere le altre etnie a sentirsi discriminate dalle pallottole facili dei poliziotti! Invece il nucleo della questione è l’estrema condizione di arretratezza socioculturale nelle quali versa buona parte delle comunità nere. Non a caso, quelle più colpite dal Covid-19. La verità che pochi hanno il coraggio di pronunciare è che la società americana non è affatto la società delle opportunità, del multiculturalismo, della multietnicità. Più che al celebrato melting pot (minestrone), assomiglia a un salad bowl (insalata). Tranne che nella jet society hollywoodiana o presso le elite, classi sociali ed etnie vivono quasi sempre in mondi separati gli uni dagli altri. Vige il classismo, la segregazione e l’autosegregazione. E chi, per motivi socioeconomici, non ce la fa, viene emarginato e disprezzato (gli Usa sono la nazione con più vagabondi, mendicanti, indigenti, barboni, senzatetto, homeless o come vi piace chiamarli). Come abbiamo scritto alla fine dell’articolo di apertura del presente numero di LucidaMente (Razzismi, colonialismi, schiavitù: condanniamoli, ma tutti), il vero razzismo imperante negli Usa è quello sociale.
Ma fa comodo al capitalismo finanziario globalista che l’attenzione delle masse e dei mass media venga sviata su tematiche che non intacchino l’ordine sociale esistente, le ingiustizie, la scandalosa ineguaglianza sociale, l’ignoranza diffusa, una subcultura in ultima analisi consumista e ben integrata nello status quo (vedi Black lives matter, quale cultura c’è dietro?). Di questo disastro sono culturalmente complici gli innocui movimenti di sinistra postsessantottini, che, dimentichi della nobile storia delle lotte sociali, operaie, sindacali, predicano la globalizzazione, il multiculturalismo, la distruzione dell’antico tessuto sociale comunitario e della peculiarità delle nazioni, la società liquida, il nomadismo culturale e fisico, lo sradicamento, l’egemonia del virtuale, la sottomissione ai prodotti dei tycoon dell’informatica e della telematica, cioè di tutto ciò che sta distruggendo il mondo precedente, imperfetto ma certo migliore di quello che verrà. Non a caso i “poteri forti” parteggiano per loro.
Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XV, n. 176, agosto 2020)
Avendoci vissuto in Usa, non posso che confermare il classismo sociale quasi paragonabile a quello indiano… dell India, però! Si vive in ghetti più che quartieri, abitati da etnie che non accettano le altre e che si fanno vanto delle diversità culturali… e questo fenomeno si acuisce sempre di più nelle periferie delle grandi città, dove si deve tenere un’arma in casa per status quo più che per difesa.