Alle prossime elezioni amministrative del Comune di Bologna la sinistra solo in apparenza sembra compatta e coesa nel sostenere Delbono. Tuttavia c’è chi proprio non ce l’ha fatta a sostenere il candidato democratico, a unirsi nell’amalgama che tante volte ha fatto piangere e rimpiangere piccoli e grandi partiti della sinistra italiana.
Tra questi figurano Valerio Monteventi, che si candida per la lista civica Bologna città libera, Gianfranco Pasquino, che si presenta per la lista civica Associazione cittadini per Bologna, e Michele Terra, sostenuto dal Partito comunista dei lavoratori.
Abbiamo realizzato un’intervista “tripla” ai tre candidati nel tentativo di “umanizzarli” e capire più a fondo le loro idee e le loro riflessioni su temi e problemi semplici ma profondi dell’Italia odierna, andando oltre quelli che sono i loro manifesti programmatici.
Al di là delle vostre storie personali, perché un cittadino sceglie di candidarsi per una lista civica piuttosto che per un partito?
MONTEVENTI: “I partiti, tutti in generale, non sono più uno strumento idoneo per rappresentare le istanze dei cittadini. Bisogna ripartire da zero, soprattutto la sinistra, tornando a rappresentare i ceti più deboli, a difendere i diritti fondamentali e la laicità. Quasi tutti i partiti sono subordinati ai dettami delle gerarchie ecclesiastiche. Le liste civiche, invece, rappresentano i nuovi fenomeni di aggregazione sociale che io ritengo fondamentali per la costruzione di una società sana”.
PASQUINO: “Si punta alle liste civiche perché i partiti sono chiusi. Parlo in particolar modo del Pd, che è l’unico che conosco. È un partito dove mancano le procedure per un’apertura alla società, dove prevale uno stile dirigenziale che punta a controllare direttamente le cariche. Quasi sempre ci riescono, ma poi finiscono col perdere le elezioni”.
TERRA: “Negli ultimi vent’anni i partiti hanno abbandonato i cittadini e i lavoratori, che quindi sono “costretti” a votare a destra. E’ più che altro una questione morale e non ideologica. Con il nuovo sistema elettorale, inoltre, contano solo i leader, ed è quindi più facile candidarsi per le liste civiche”.
Aumentano i disoccupati, i precari, i “mantenuti”, i senzatetto. Il lavoro e la casa non sembrano più un diritto ma un premio da ottenere strappandolo agli altri. Come si è arrivati a questo punto? Si tratta di una contrazione globale o rischia di diventare un fenomeno tipicamente italiano?
MONTEVENTI: “Il liberismo sfrenato, la globalizzazione, la crisi. Non è un fenomeno italiano, ma in Italia si sta peggio. Siamo all’ultimo posto in Europa per alloggi popolari. Il governo non stanzia più fondi. Si dice che il 70% dei cittadini abbia una casa di proprietà, ma non è vero. Le case non sono degli italiani ma delle banche e, in un periodo come questo, il fatto è per lo meno preoccupante”.
PASQUINO: “Il problema è globale ma in Italia siamo più in difficoltà perché viviamo in una società rigidamente strutturata, con i lavori garantiti e un sistema di reclutamento fondato sulla clientela. C’è scarsa competizione, non si usa il criterio della meritocrazia ma quello delle raccomandazioni. E poi la crisi accentua il tutto. E’ necessaria una riqualificazione dei lavoratori e dell’intero settore privato”.
TERRA: “Sicuramente molto dipende dalla crisi. In Italia c’è una classe imprenditoriale e padronale ancora meno capace e più immorale rispetto al resto del mondo. Non c’è nessuna forma di pudore, si chiudono le fabbriche solo per speculazione edilizia. Si fanno regali alle banche e al sistema produttivo lasciando i disoccupati e i cassaintegrati a se stessi. E poi si finisce col fare la beneficenza di Stato, trattando i lavoratori come poverelli. Il lavoratore non è un povero, è un lavoratore”.
Come si può uscire da questa situazione?
MONTEVENTI: “Serve una politica nazionale sul tema dell’edilizia popolare. Questa deve essere la priorità assoluta in questo momento. A Bologna dieci anni fa c’erano 3.500 richieste di alloggi e 400 disponibilità; oggi ci sono 7.200 richieste e sempre lo stesso numero di alloggi disponibili. Ciò vuol dire che la richiesta è raddoppiata ma l’amministrazione non si è mossa, dà sempre la stessa risposta. La crisi ci dà un’opportunità importante: ricreare un nuovo modo di stare insieme, fondato sul soccorso e la solidarietà. È questa la direzione giusta”.
PASQUINO: “Prima di tutto bisogna introdurre delle forme di sostegno verso i lavoratori, come gli ammortizzatori sociali. La situazione non è irreparabile, anzi. Nonostante la crisi, c’è del grasso per tutti! Poi bisogna cercare di evitare lotte di classe inutili. E’ importante capire che non sono solo i lavoratori a perdere il lavoro ma anche gli amministratori e i manager. Siamo tutti nella stessa barca e rischiamo di andare tutti a fondo”.
TERRA: “Serve un cambiamento radicale. Prima di tutto bisogna cominciare ad anteporre gli interessi dei lavoratori a quelli dei padroni. Poi serve un massiccio intervento dello Stato, prendendo esempio da altri Paesi, come gli Usa e la Gran Bretagna. E’ necessario nazionalizzare le banche e la grande industria perché il sistema attuale non ha senso. Unicredit, in realtà, sarebbe già fallita se non fossero intervenuti gli aiuti dello Stato”.
Cresce l’immigrazione, crescono le paure. L’immigrato, per la gente, rappresenta colui che toglie il lavoro, stupra e (d’ora in avanti, forse) che porta le malattie. I governi rispondono col tema sicurezza: cosa vuol dire questa parola?
MONTEVENTI: “”Sicurezza” è una parola usata dai governi di centro-destra e centro-sinistra per favorire una serie di politiche con un certo appeal elettorale che, però, poi creano disastri e paure a livello sociale. In realtà la microcriminalità è diminuita e nonostante tutto aumenta la percezione di paura, spesso infondata. Inoltre trovo del tutto sbagliato affrontare la situazione in termini emergenziali: in questo modo si aumenta ulteriormente il fenomeno della clandestinità”.
PASQUINO: “Le statistiche rivelano effettivamente che i crimini vengono commessi prevalentemente da immigrati. La percezione di insicurezza, dunque, è assolutamente fondata e abbiamo il dovere di provvedere. Le tecniche che noi proponiamo sono i poliziotti di quartiere, più zone illuminate, telecamere di controllo e il ripristino di quelle relazioni interpersonali che ultimamente sono state soppiantate da una società sempre più atomizzata”.
TERRA: “Il problema sicurezza è capovolto. È l’immigrato ad avere paura, non noi. Bisogna vedere il problema dalla sua radice: finché il clandestino sarà ricattato sul posto di lavoro e sfruttato non darà mai garanzie di sicurezza. L’immigrato non è cattivo in sé, ma si incattivisce nel momento in cui viene portato ai margini della società. E’ in questo senso che bisogna agire”.
Ci sono tante risorse vitali in via d’esaurimento: energia, materie prime, cibo. E poi l’acqua, il primo dei diritti. Di fronte a questa emergenza si pensa di privatizzarla. Perché?
MONTEVENTI: “La politica delle privatizzazione è fallita in quanto non ha permesso nessun vantaggio agli enti pubblici, né in termini economici, né in termini qualitativi. I manager privati spesso sbagliano e non pagano, anzi ricevono congrue liquidazioni. L’acqua non la si può affidare a questa gente, perché loro ci speculerebbero puntando ad aumentare i consumi. Serve che se ne occupi lo Stato, con delle politiche di risparmio”.
PASQUINO: “La privatizzazione non è né buona né cattiva. E’ un’onda lunga di ormai venticinque anni, iniziata con l’avvento del neoliberismo. Basterebbe che lo Stato fosse più presente emanando regole precise e provvedendo con sanzioni rigide. Per quanto riguarda l’acqua, come tutte le risorse vitali, è impensabile l’idea di privatizzarla, anche se, spesso, lo Stato italiano ha mostrato una notevole inefficienza gestionale”.
TERRA: “Le risorse a rischio si privatizzano perché diventano fonte di guadagno. Bologna ha un acquedotto che perde fibre, nessuno lo sa. Quindi lo spreco è lì, non nel rubinetto di casa. Un privato non se ne occuperebbe, perché non avrebbe ritorno economico. Il futuro della gente non può essere messo in mano a due, tre imprenditori. Il capitalismo mangia tutto, anche da un punto di vista ambientale. Non c’è nessuna coscienza della specie. Tutto profitto!”.
Un mese fa c’è stata una manifestazione a Bologna per il diritto a manifestare, sempre e dappertutto. Dopo la legge sullo “sciopero finto” per i trasporti, un altro attacco ai diritti civili. La protesta è ancora un gesto utile? Va difeso? Oppure è giusto riformarlo e regolamentarlo?
MONTEVENTI: “Lo sciopero e la manifestazione vanno difesi a oltranza. Berlusconi sta attaccando la prima parte della Costituzione, quella su cui si fonda la nostra Repubblica. Nella risposta c’è poco coinvolgimento da parte dei sindacati e del Partito democratico. Siamo al paradosso perché non reagiscono neanche i partiti che, almeno a parole, si fondano sulla tradizione costituzionale. Non c’è unità neanche sulla difesa della Carta”.
PASQUINO: “Lo sciopero è un diritto fondamentale, non si discute. Tuttavia non deve essere invadente, non deve impedire agli altri di lavorare. Non c’è un diritto che prevale sugli altri. Inoltre comincio a credere che serva a poco, perché non ha effetti, finisce tutto lì. I lavoratori dovrebbero inventarsi forme più sorprendenti e incisive per protestare. Lo stesso vale per la manifestazione: farla in centro impedisce ai commercianti di lavorare, e questo non è giusto”.
TERRA: “Lo sciopero e la manifestazione non possono essere regolamentati, altrimenti perderebbero la loro efficacia. Non può decidere la parte imprenditoriale come, quando e dove si sciopera. La democrazia è sempre più in pericolo, non si può più far sentire la propria voce. E la maggior parte dei sindacati non reagisce”.
Qual è il buon giornalista?
MONTEVENTI: “Il buon giornalista è colui che fa inchiesta, indaga, scopre. Non c’è più nessuno che lo fa. Oggi, purtroppo, essere giornalisti vuol dire stare una giornata intera fuori dall’ufficio di un politico potente e appena esce fargli dire due battute a suo gusto”.
PASQUINO: “Il giornalista è uno che prima di tutto studia, si informa, e poi chiede. Inoltre un buon giornalista è sempre imparziale, non usa aggettivi e verbi forti e informa senza manipolare. Oggi pochi lo sanno fare, e ancora meno lo vogliono”.
TERRA: “In Italia c’è un grosso problema: la stampa, sia locale che nazionale, non fa inchiesta, dà poche notizie, spesso inutili, e in modo scorretto. La stampa, quella vera, utile, dignitosa è diventata merce rara: oggi siamo pieni di rotocalchi “evoluti”!”.
L’immagine: la Sala rossa di Palazzo d’Accursio..
Simone Jacca
(LM BO n. 3, 15 maggio 2009, supplemento a LucidaMente, anno IV, n. 41, maggio 2009)