Così Marco Gatto, col suo breve saggio Learning from Japan: su Carolina Leonetti, introduce Iperbole (pp. 60, € 7,00) di Carolina Leonetti, settima uscita nella collana di poesia Le costellazioni sonore della inEdition editrice.
E’ un dato di fatto su cui vale la pena riflettere la tendenza della nostra poesia a spostarsi, in determinate contingenze, verso il minimalismo, l’istantanea, l’immagine sintetica che ceselli e renda prigioniero delle parole un ricordo. Gran parte di questa produzione, spesso di ambientazione naturalistica, icasticamente legata a un’idea di poesia come fusione di saggezza aforistica e catarsi momentanea, ex Oriente lux, rimanda agli haikai giapponesi, alla loro sillabica determinazione.
Non che manchi o sia mancata nell’Occidente una tendenza all’emulazione delle novità nipponiche (ancor più di nicchia, poi, nel già subalterno panorama poetico, è la conoscenza di Masaoka Shiki, per dirne una), ma oggi assistiamo, a mio parere, a un tentativo di appropriazione di quelle tecniche e di quella particolare sensorialità.
Prima di parlare della poesia di Carolina Leonetti, non del tutto assimilabile al genere con cui abbiamo aperto questa breve riflessione, vorrei provare a riflettere sul particolare bisogno di sintesi da cui può essere animata, oggi, la pratica poetica. Mi vengono in mente due risposte.
Dapprima, l’esigenza di poetare sinteticamente, attraverso immagini talora più “difficili” che “oscure” (per utilizzare due termini cari a Franco Fortini), rimanda a un’incapacità, nella vita reale del soggetto monadico imposto da una società sempre più atomizzata, di trovare nel reale, e nel peculiare oggetto della realtà, una risposta tonda, piena, appunto sintetica.
Questa impossibilità, come una sorta di ritorno del rimosso, si innesta nella logica della forma poetica, provvedendo all’illusoria e momentanea compensazione del piacere che un ricordo, un’immagine, catturati da un click fotografico, possono offrire. Nella sintesi sillabica si vuole restaurare un’aura impossibile di autenticità. E ciò cozza, costituendone una barriera di resistenza, o meglio una constatazione di inefficienza, con la reale difficoltà del poeta di integrarsi in una società che lo rifiuta e che lo ha relegato, di fatto, al silenzio e all’anomia sociale. Nel ricorso all’immagine fissa e determinata dell’haiku occidentale si riflette quel che oggi la poesia è.
Ma, in seconda battuta, è inutile negare che esso rappresenti pure una scelta espressiva ben consapevole. Una forma, vorremmo dire, che oggi vuole sentirsi investita della sua importanza storica e delle sue funzioni letterarie. Troveremo in questo libretto proprio quel materiale tecnico, ritmico, fantastico e poetico, che rende notevole la forma del frammento.
Detto questo, cosa possiamo dire delle iperboli di Carolina Leonetti? Ho già avuto modo di conoscere questa giovane poetessa e ogni sua nuova raccolta mi conferma la freschezza dell’invenzione e la facilità di dettato. Poi, in questa nuova raccolta, la Leonetti dà prova di una notevole lucidità nel saper trasporre all’interno della singola nominazione una serie di sensazioni, emanazioni, profumi, suoni e armonie che spingono il lettore all’immaginazione dell’attimo. Particolarmente nella sezione City, abbiamo l’impressione di assistere a un viaggio mentale che è pure serrato confronto con l’altro da sé, con l’alterità che si manifesta nei rintocchi di Praga o nei cinesi di Soho.
Nel nome la Leonetti concentra una sensazione, un ricordo, una vera e propria evaporazione estemporanea del vissuto. Nel nome si riconosce, si stempera l’angoscia dell’identità. E allora Iperbole può far pensare anche a questo: ai giri e rigiri della nostra esistenza, ai disegni particolari della vita, a quei “disguidi del possibile” di montaliana memoria.
(Marco Gatto, Learning from Japan, Introduzione a Iperbole di Carolina Leonetti, inEdition editrice/Collane di LucidaMente)
L’immagine: la copertina della silloge di Carolina Leonetti.
Eva Brugnettini
(LucidaMente, anno III, n. 11 EXTRA, 15 febbraio 2008, supplemento al n. 26 dell’1 febbraio 2008)