Perché ancora oggi l’umanità ha bisogno delle religioni? Il celebre saggio di Georges Minois
Le religioni, in particolare le monoteistiche, sono intolleranti. Le loro credenze cozzano contro le evidenze scientifiche. La stessa innegabile presenza nel mondo e nell’uomo del Male, delle malattie, delle sofferenze, del dolore, costituisce la più semplice prova dell’inesistenza di una divinità al contempo buona e onnipotente. Le costrizioni religiose, spesso al limite delle superstizioni, e le repressioni sessuali sono causa di problematiche psichiche. Un mondo popolato da persone che si comportano secondo alti principi etici non condizionati dai moralismi religiosi sarebbe migliore. Allora, la soluzione è l’ateismo?
La più antica delle organizzazioni atee è indiana: è il Centro ateo di Vijayawâda (1940). In una propria pubblicazione del 1972, Positive Atheism, emette una condanna senza appello delle religioni più note, esaltando la posizione atea: «Gli indu parlano con grazia dell’adwaita, o unità, ma trattano i loro compagni terreni da paria. I cristiani parlano d’amore, ma li si trova ovunque impegnati nella guerra. I musulmani parlano di fraternità, ma si compiacciono di sterminare gli altri credenti. […] L’ateismo dichiarato è una necessità per costruire un uomo morale, solido e completo». Queste e altre affermazioni simili, illuministiche e razionaliste, sono verosimili, sensate, giuste. Però, con vari gradi di intolleranza, le religioni continuano tutte a non riconoscere nell’ateismo una forma di spiritualità e la possibilità di un dialogo; alcune non lo ammettono e, nelle teocrazie, condannano a morte gli atei. E, purtroppo, con una popolazione di otto miliardi di persone, la maggior parte in condizioni di indigenza e di ignoranza, non si vede all’orizzonte un tramonto delle religioni e una loro sostituzione con nuove spiritualità che rendano migliore la vita dell’umanità e degli altri esseri che abitano il pianeta Terra. Per avere un quadro storico e filosofico del pensiero ateo, un saggio da leggere è Storia dell’ateismo (Editori Riuniti, pp. 672, € 32,00; ma si trova scontato anche a metà prezzo) del docente delle mentalità religiose Georges Minois. Pubblicato in Francia per la prima volta nel 1998, il titolo originale Histoire de l’athéisme. Les incroyants dans le monde occidental des origines à nos jours rende meglio i contenuti dell’opera.
Il volume ripercorre attraverso i suoi venti capitoli le idee, il pensiero filosofico, gli eventi e i personaggi, spesso martirizzati, che hanno palesato scetticismo, incredulità, avversione, nei confronti delle religioni. La panoramica è forzatamente limitata all’Europa e, in particolare, alla Francia, e riguarda soprattutto il Cattolicesimo. (E ci sarebbe da aggiungere che proprio il Paese transalpino, patria dell’ateismo moderno, è diventata pure da un lato la prima nazione europea secolarizzata e oggi desacralizzata e praticamente acattolica, e, dall’altro, paradossalmente ma forse non tanto, la prima a essere colonizzata dall’islam, e spesso da quello più retrivo). Tra i capitoli più gustosi c’è «il manifesto dell’abate Meslier». In effetti, sono tanti i preti increduli che si incontrano nel saggio di Minois. Non solo, ma vari episodi narrati dimostrano che anche nel passato l’anticlericalismo e lo scetticismo erano più diffusi di quanto oggi si possa credere e che molto spesso erano le classi popolari a palesarli, in modalità – diciamo – “colorite”.
Purtuttavia, dopo secoli ateismo e anticlericalismo militante, non si vede all’orizzonte una nuova spiritualità che sostituisca le vecchie. Nel suo Le forme elementari della vita religiosa lo stesso Émile Durkheim ammette: «Un culto vivo può scaturire soltanto dalla vita stessa, e non già da un passato morto. […] Le grandi cose del passato, quelle che entusiasmavano i nostri padri, non risvegliano più in noi lo stesso ardore sia perché sono entrate nell’uso comune al punto che non ne siamo più coscienti, sia perché non rispondono alle nostre attuali aspirazioni; e tuttavia non si è prodotto nulla che le sostituisca». Le religioni possono anche essere considerate false e dagli effetti negativi, però la loro persistenza nel tempo ha varie motivazioni che vanno ricercate (al riguardo si può leggere pure il pensiero del sociologo e teologo Peter Ludwig Berger). La prima, più banale e materialistica, è quella secondo la quale le religioni sono un formidabile strumento di manipolazione (e mobilitazione) delle masse a fini politici e di potere. Il cristianesimo è stato probabilmente prima uno dei fattori di disgregazione dell’Impero romano, ma in seguito, talvolta anche con l’unione trono-altare, ha consentito di salvare la civiltà classica e ha edificato una nuova Europa sotto il proprio segno. Uno dei tratti dell’islam è la mancata separazione tra religione-politica, sharia-morale, con le conseguenze che abbiamo sotto i nostri occhi, ma è in grado di compattare un miliardo e mezzo di persone.
Le religioni, infatti, cementano e fortificano comunità e stati: è questo l’aspetto che l’uomo politico deve valorizzare. Si tratta del pensiero di Nicolò Machiavelli e molti altri. Il fiorentino scriveva altresì: «Nessuno maggiore indizio si puote avere della rovina d’una provincia, che vedere dispregiato il culto divino» (Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, 1531, libro I, capitolo 12). La decadenza comunitaria, morale, nazionale, delle società occidentali sembra esserne la più valida conferma: decadute la presenza e l’importanza del cristianesimo, vediamo più disgregazione che una collettività migliore. Tale riflessione ci conduce a una seconda funzione delle credenze religiose: quella (in)civile.
L’uomo (categoria comprendente pure donne, gay, trans e tutto quello che volete, esclusi i poveri animali) non è buono per natura; per spingerlo a un minimo di comportamenti morali ha bisogno di alcune brevi e semplici norme e deve avere introiettati i sensi di colpa e la paura di un’inesorabile punizione divina. Terza, imprescindibile funzione del pensiero religioso, quella di sostegno psicologico-esistenziale (e persino psicanalitico): l’impossibilità dei singoli individui, senza particolari percorsi culturali e interiori, di accettare la realtà naturale e la conseguente angoscia della vita. Come si fa ad affrontare la costante, giornaliera paura di malattie, incidenti, disgrazie, miseria, aggressioni, violenza, morte, senza essere accompagnati da una sorta di “pensiero magico”? Quale persona comune è in grado di accettare con coraggio una spietata visione filosofica della vita come quelle di Leopardi, Schopenhauer, Cioran, Caraco, e tanti altri? Ecco, allora, che concludiamo queste nostre modestissime riflessioni, senza saper fornire una risposta su valore e utilità di religioni e libero pensiero ateo e su qualunque possibile scelta tra loro…
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Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XVIII, n. 205, gennaio 2023)