Andrej Babiš, primo ministro dal 2017, è il secondo uomo più ricco del paese dell’Europa orientale. Spregiudicato in politica e negli affari, l’oligarca è sopravvissuto ai numerosi guai giudiziari. Adesso, però, il suo impero vacilla. Il reportage in esclusiva del nostro corrispondente da Praga
«È stato molto aggressivo nel costruire il suo impero economico – ci spiega Michal Musil, giornalista di reportermagazin.cz, intervistato in esclusiva per LucidaMente – mai molto corretto». Sta parlando dell’attuale primo ministro della Repubblica ceca, Andrej Babiš. Lo hanno anche soprannominato «Babisconi», in evidente analogia con il Cavaliere nostrano, Silvio Berlusconi.
Per alcuni è il Donald Trump della Central Eastern Europe. Paragoni, insomma, non proprio lusinghieri. Ex agente segreto e membro del Partito comunista cecoslovacco, dopo la dissoluzione dell’Urss, costruisce la sua fortuna con l’acquisizione della compagnia petrolchimica Agrofert. Fin dal 2001, il nome di Babiš è legato, insieme con quello dell’attuale presidente Miloš Zeman, a vicende di corruzione. «Ma – prosegue Musil – di sicuro, è stato estremamente abile negli anni Novanta e nella prima decade dei Duemila». Nel 2011, Babiš decide di entrare in politica: fonda il movimento Ano, Azione dei cittadini insoddisfatti. «Non mentiamo, non rubiamo, lavoriamo per te», questo lo slogan che compare sul loro sito. «Né di destra, né di sinistra», crociata «contro i padrini» della politica, «cambiamento» le parole d’ordine. In concreto, è un partito che oscilla fra la destra e il centro, esplicitamente populista, moderatamente euroscettico.
Contemporaneamente, la multinazionale Agrofert si espande, arrivando a controllare «oltre duecentocinquanta aziende», come è riportato sul sito. Musil paragona la parabola politica di Babiš alla sua ascesa imprenditoriale: «È stato spregiudicato e non ha mostrato alcuna pietà nei confronti degli avversari». E sintetizza così la sua visione: «Nel suo mondo ci sono solo due tipi di persone, i suoi subordinati o i suoi nemici. Senza alcuna via di mezzo».
Il 2013 è un anno cruciale: Babiš decide di acquisire, tramite Agrofert Holding, il gruppo editoriale Mafra. Con questa operazione, si garantisce il controllo dei due quotidiani principali del paese (Lidovè Noviny e MF DNES, il secondo per tiratura), nonché di iDNES.cz, il più visitato sito di notizie della Repubblica ceca. «Non era più solo un oligarca locale – afferma Musil – ma anche un politico in carriera. A quel tempo non era membro del parlamento, ma era chiaro che il suo partito avrebbe corso nelle elezioni generali», programmate per ottobre. Nel 2013, Musil ricopriva la posizione di deputy editor in chief presso MF DNES. «Quando Babiš comprò Mafra – racconta – c’era una decina di persone che decisero di lasciare nei mesi successivi, inclusi i caporedattori dei due quotidiani. Appena ebbi la notizia che Babiš aveva comprato Mafra, dissi che non avrei potuto lavorare per lui. Non sentivo che fosse appropriato».
Fra il 2014, anno in cui Babiš diventa ministro delle Finanze, e il 2018 gli scandali si susseguono: prima viene accusato di influenzare politicamente i media da lui posseduti. Successivamente, scoppia lo scandalo «Stork’s nest», per una frode di due milioni di fondi europei. Infine, il presunto sequestro del figlio in Crimea, che sarebbe stato operato dallo stesso Babiš per impedirne la testimonianza nel processo sui fondi europei.
Fra i dipendenti del Mafra c’è chi garantisce la totale indipendenza dei giornalisti da qualsiasi tipo di influenza. Fonti interne – per ovvie ragioni anonime – ci confermano però che, benché legalmente Babiš non risulti proprietario di Mafra, sostanzialmente ne detenga ancora il controllo. Infatti, come chiarisce Musil, egli «ha trasferito tutte le sue aziende a un blind trust, per evitare il conflitto d’interessi e l’impeachment approvato dal parlamento nel 2017». Nonostante tutto, come si legge nella risoluzione 2018/2975, il Parlamento europeo «esprime profonda preoccupazione […] in relazione al conflitto di interessi del Primo ministro ceco e ai suoi legami con il gruppo Agrofert». Una fonte, che riveste un ruolo di primaria importanza all’interno di Czech TV, l’emittente pubblica, dichiara, a proposito delle pubblicazioni del Mafra, «che sono stati quotidiani di qualità. Ora però non lo sono più, non tanto per ciò che raccontano, ma per ciò che non riportano. E questo distrugge la scena mediatica ceca». Musil, pur senza voler giudicare i suoi ex colleghi, ci conferma però che «ci sono alcune aree sulle quali i media del Mafra non informano andando a fondo, non investigano».
Secondo il report di Freedom house, lo stato di salute della democrazia in Repubblica ceca è più che ottimo, con un punteggio di 93/100. Nonostante tutto, secondo Musil, ci sono problemi con la libertà di stampa. «Certo, la situazione non è drammatica come in Ungheria e Polonia, ma si è deteriorata. Anche perché una parte del media business è posseduta dal primo ministro». Anche le fonti interne a Czech TV ci raccontano di continue pressioni da parte della politica. Alle quali, orgogliosamente, affermano di voler resistere con forza. Ciò che si percepisce, comunque, è che adesso gli oppositori di Babiš sono molto più motivati a protestare contro di lui. Inoltre, secondo le indiscrezioni che ci rivela Musil, il premier è sotto pressione. Infatti, le sue aziende starebbero attraversando un periodo di crisi. «Quello che è sicuro è che non può guidare in prima persona la sua compagnia, perché significherebbe che il conflitto di interesse è reale».
Le immagini: Andrej Babiš; proteste a Praga contro Babiš; il giornalista Michal Musil (© reportermagazin.cz).
Edoardo Anziano (da Praga)
(LucidaMente, anno XIV, n. 166, ottobre 2019)