Quali sono i presupposti storici alla base della moderna istituzione museale? In cosa consiste la professione del museologo oggi? Rispondere a queste domande è tutt’altro che semplice, per via della complessa natura dei musei, luoghi fisici e metaforici ancora ricchi di ombre, dovute alla docilità e flessibilità con cui tali istituzioni si prestano ad essere interpretate, cambiando continuamente fisionomia. Ad indagare l’evoluzione del museo – dalla metà del Settecento a oggi – sono Pietro C. Marani e Rosanna Pavoni, autori del volume Musei. Trasformazioni di un’istituzione dall’età moderna al contemporaneo (Marsilio, pp. 176, € 9,90).
Museo come strumento di marketing territoriale – Gli autori, entrambi docenti di Storia dell’arte (Marani al Politecnico e alla Cattolica di Milano, la Pavoni presso la Facoltà di Scienze dei Beni culturali dell’Università dell’Insubria a Como), nonché figure di spicco all’interno del sistema museale italiano (il primo è stato vicedirettore della Pinacoteca di Brera, mentre la Pavoni è responsabile di numerosi progetti relativi ai musei di Bergamo e Monza), mettono a disposizione la loro esperienza al fine di delineare un testo completo ed esaurire la complessità dell’argomento, analizzato in ogni sua sfaccettatura. Ecco che a essere affrontate sono tematiche relative al concetto di pubblica utilità del museo, dando il giusto rilievo alla necessità di inserirlo nella comunità locale, facendo in modo che si fonda con essa, trasformandosi in uno strumento di marketing territoriale.
L’oggetto artistico come “realtà negoziata” – “Non si può […] parlare di museo, non se ne possono descrivere le attività e le buone pratiche se non si ammette che siamo noi – la società entro cui vive e opera il museo – gli artefici di ciò che esso è, di ciò che rappresenta, di ciò che conserva e di come lo racconta”. Questa è l’opinione degli autori a proposito della natura del museo, le cui installazioni sono organizzate in modo da presentare l’oggetto esposto in una forma di “realtà negoziata”, quindi non una realtà assoluta, oggettiva e incontestabile, bensì “una mediazione tra tutto ciò che l’oggetto può rappresentare, la necessità dell’allestimento, l’ideologia generale del museo, le competenze e gli interessi del curatore”. Tra tutti i fattori elencati, che condizionano le esposizioni, quello più rilevante è probabilmente la necessità di agire in conformità con l’ideologia generale del museo. Non esiste, infatti, nessuna neutralità nell’atto di allestire una mostra e questa sarà sempre condizionata da credi politici, tradizioni e consuetudini locali.
Luogo dell’episteme – Già nell’attività primaria di scegliere cosa collezionare ed esporre, il curatore manifesta la consapevolezza narrativa con cui allestisce le mostre, trasformando il museo in “luogo della metafora”, “luogo della messinscena ideologica” e, soprattutto, “luogo dell’episteme”. Tra i vari obiettivi delle esposizioni si inserisce prepotentemente, infatti, quello di condizionare le coscienze politico-sociali dei visitatori, i quali vengono bombardati da una serie di input. Tali input – sempre in maniera coerente con i valori che si vogliono trasmettere – agiscono sulla psiche degli individui plasmandola. L’oggetto prescelto nel percorso museale diventa rappresentativo di un’intera categoria di oggetti che non potrebbe essere esibita nella sua totalità. E’ così che l'”oggetto da museo”, per via della propria capacità evocativa, diviene l’emblema di un intero sapere, di un’intera storia.
Immagine della collettività – Tutt’altro che neutrale, l’atto di rappresentare un determinato oggetto è sempre dettato dalla volontà di far prevalere una realtà piuttosto che un’altra. Come afferma lo storico Eric Hobsbawn, “le nazioni senza un passato sono una contraddizione in termini”, e le testimonianze del passato di nazioni e civiltà vengono custodite proprio nei musei. Questi templi supremi, in cui si celebrano tradizioni e usanze altrimenti perdute, facilitano il processo di formazione della nostra identità sociale, condizionando l’idea che abbiamo di noi stessi. L’altra faccia della medaglia, però, rivela che, per attirare l’attenzione di un maggior numero di visitatori e rendersi ancora più interessanti, i musei cercano di rappresentare una fedele immagine della collettività nella quale sono calati. E’ questa la nuova concezione dell’istituzione museale che si è fatta strada nel Ventesimo secolo, fondata su finalità utilitaristiche, quasi populiste, ma certamente incentrate sul pubblico.
L’immagine: la copertina del libro dei due storici dell’arte, Pietro C. Marani e Rosanna Pavoni.
Claudia Mancuso
(LucidaMente, anno II, n. 24, dicembre 2007)