Quello che ricerca Francesco Marotta nella sua ultima raccolta, edita presso le Edizioni Il crocicchio/inEdition editrice (collana Le invetriate, pp. 96, € 11,00), è il “senso” della materialità delle cose e il rapporto tra queste e la parola poetica. Così, come ha ben sottolineato Luigi Metropoli nella Postfazione alla silloge, Per soglie d’increato diviene un libro che ricerca e sfiora la profezia come suo stato ultimo e asintotico, cercando di far mediare il verso tra un mondo e un io che vuole uscire da se stesso e convivere con gli “enti” (per citare Heiddeger), nella ricerca intensa di epifanie che gli mostrino il prodigio nascosto dentro le cose.
E’ un viaggio di piccole metamorfosi che si svolgono in un tempo arcano e archetipico, difficile da ricostruire e interpretare.
Il linguaggio conosce molte zone oscure e nel suo orfismo, nell’utilizzo delle preposizioni e degli articoli, arriva a risultati simbolico-ermetici, trascesi però nel totale disinteresse per un troppo facile intimismo e nell’attenzione tutta rivolta a conoscere ciò che, fin da tempi “albali”, si nasconde dietro le nostre vite.
Di seguito, ecco tre liriche comprese nella raccolta.
per soglie d’increato
vanificando accenti conosciuti,
per margini brinati
di mondi lontanati
all’apparire – dove non serve
nominare ad ogni passo
il prodigio che trascorre
in mobili immagini di evento,
epifanie di lumi
rovesciati in ombre
quando già credi
di stringere il mistero,
contemplarne il volto,
tradurre le pupille in segni
e voci: –
tu dialoga con lo stupore
che non conserva tracce,
con la stella che dissigilla
un senso che non dura,
con l’assenza che si desta
in palpiti migranti fatti verbo,
al verbo estranei per legge
d’indicibile esperienza –
per osservare la vita nello specchio albale
di una luce
pensata prima d’ogni dire,
prima del silenzio
lascia alla parola l’aura
incantata delle origini,
il lume che le compete
per nascita e destino,
il fondo oscuro
matrice d’ogni luce,
la luce viva
che inclina all’ombra
per rovesciare gli orli
della fiamma e
leggersi notte nel lampo
che l’annuncia –
oppure colma la mano
nel buio della voce
e riportala, satura di ferite,
fino alle labbra, al vuoto
lasciato dalla prima
sillaba: –
ci sono gesti augurali
che danno corpo e
suoni
all’invisibile,
all’increato che migra
tra due accenti –
un solo sguardo è luce,
lo stesso sguardo tenebra
nel varco
affidare pagine superstiti
al fiume che trascorre
dove la neve brucia le sue forme
per abbracciare in altre spoglie
la sete del giunco e della riva –
imbarcarsi su rotte
primaverili d’aurora,
senza rinunciare all’ombra gelida
in cui covava la pioggia
la terra dei volti come un seme: –
solo allora
le parole che dai passi
narrano il cammino alla notte,
si lasciano guardare come rose
che svelano agli insetti
il varco per il polline più fondo –
prima che il cielo richiami lo stelo
nel chiuso del suo involucro
di cenere
(da Per soglie d’increato di Francesco Marotta, Edizioni Il crocicchio)
L’immagine: Basilica immaginaria, di Ètienne-Louis Boullée (Parigi 1728-1799).
Gianfranco Fabbri
(LucidaMente, anno I, n. 2 EXTRA, supplemento al n. 10, 15 ottobre 2006)