Di recente Adelphi ha raccolto per la prima volta in un unico volume cinque storie brevi dello scrittore franco-belga (“La linea del deserto e altri racconti”). Forse pochi conoscono una sezione davvero inaspettata della sua sterminata produzione, che si colloca sulla scia dei “maledetti” classici del genere, da Conrad allo stesso Céline
Come avevamo scritto in un nostro precedente articolo, Georges Simenon (Liegi, 1903 – Losanna, 1989) non è stato solo un formidabile scrittore di romanzi polizieschi, ma soprattutto un abilissimo creatore di personaggi di ogni tipologia umana, un descrittore di ambienti sociali e paesaggi urbani e naturali, colti in tutta l’ampia multiformità della Francia. Quello che non tutti sanno è che molte storie del creatore del commissario Maigret si svolgono anche al di fuori dal paese transalpino.
I romanzi situati negli Usa scaturiranno dal suo lungo soggiorno negli States (1945-1955). Forse il più bello è il thriller Luci nella notte del 1953, in grado di delineare meglio che in un film hollywoodiano l’affascinante, frenetica follia della società statunitense e della sua american way. Tuttavia, la vera sorpresa è la collocazione africana, sudamericana o proprio nelle isole dell’Oceania occupate dalla Francia di alcuni suoi racconti e romanzi. Di recente Adelphi ha raccolto in un unico volume La linea del deserto e altri racconti, pubblicati per la prima volta tra il 1938 e il 1939 sulla rivista Police-Roman in una serie intitolata Nouvelles aventures policières. Dunque, cinque storie sì poliziesche (con la chicca dell’unica donna-detective che appare nella narrativa dello scrittore), ma che si sviluppano in luoghi come Egitto, Gabon, Panama, Sudan… Per questi e gli altri scritti che vedremo a breve, Simenon fu ispirato da un lunghissimo viaggio intorno al mondo iniziato nel 1935 con la moglie Tigy.
La coppia aveva visitato Panama, Colombia, Ecuador, Perù, le isole Galápagos, Tahiti, le Figi, le Nuove Ebridi, la Nuova Caledonia… Tristi tropici, verrebbe da dire, riprendendo il celebre titolo del saggio dell’antropologo Claude Lévi-Strauss (Bruxelles, 28 novembre 1908 – Parigi, 1º novembre 2009), guarda caso, anche lui francese nato in Belgio… In effetti, in Simenon sfila una lunga galleria di personaggi in fuga dall’Occidente o proprio alla volontaria ricerca del miraggio della fortuna nei paesi tropicali. Molti, se non quasi tutti, vi trovano invece la miseria, la disperazione, la malattia, la follia, la morte. Nel suo lungo tour lo scrittore ne conosce di persona tantissimi, di altri ascolta le singolarissime storie, perché le vicende di questi occidentali «falliti», talvolta eccentrici, circolano per tutte le colonie del mondo. Nel 1938 raccoglie sotto il significativo titolo La cattiva stella (Adelphi) il materiale già pubblicato sul quotidiano Paris-Soir: si tratta di 16 raccontini, o piuttosto bozzetti, non sempre riusciti, anche per i commenti “fuori campo” dell’autore, spesso quasi moraleggianti ed espressi con un insolito tono di superiorità.
Prima di passare alla descrizione e alla narrazione delle vicende di questi vinti, ne L’uomo che combatteva con i topi o la storia più banale del mondo, Simenon scrive: «È un errore credere alla gaiezza, alla luminosità dei tropici. Per lo più si vive immersi in un grigiore opprimente, un grigiore caldo, uniforme, nel quale il sole sembra diluito». Poco più avanti, ne Le gioie della pampa o l’uomo imprigionato tra due stazioni, rincarerà la dose: «Toglietele l’aura pittoresca, e la più truculenta avventura tropicale mostrerà il suo vero volto, che è quasi sempre tragico, ma di una tragicità senza violenza e senza poesia, […] una tragicità quotidiana, pesante come il cielo, fitta come la foresta, una tragicità da incubo, opprimente, il vuoto dell’anima e della mente davanti a un paesaggio sempre uguale». In questo contesto l’uomo occidentale, anche (e, forse, soprattutto) quello più puro e più ingenuo, finisce spesso alla deriva, abituandosi ai primitivi e rozzi costumi locali, sposando brutte indigene, rischiando tutti i propri denari in speculazioni quasi sempre fallimentari… Tutt’intorno abbrutimento, ottusità, donne trattate come oggetti sessuali, e crudeltà, violenze gratuite, da parte di un po’ di tutti, ma soprattutto dei bianchi, senza distinzione di nazionalità. Si salvano gli abitanti dell’Oceania.
Anche prima del suo “viaggio intorno al mondo” Simenon aveva ambientato Colpo di luna (1933) in Gabon, dove c’è «un sole senza allegria». Il protagonista è il giovane Joseph Timar, entusiasta e candido, che scoprirà il vero volto del Continente Nero. La parabola discendente di una persona in precedenza integra è ancora più straziante in Cargo (1936). È la vicenda di un altro buon giovane, il parigino Joseph Mittel, il cui destino, però, è un’anabasi da incubo verso l’orrore e la disperazione: «Aveva sempre l’impressione di trovarsi davanti una strada sbarrata dal filo spinato». Clandestino, insieme a una giovane fuggitiva appena incontrata, su una nave di traffici irregolari, finisce per precipitare in «un universo incoerente, buio e fradicio», da una tremenda miniera d’oro colombiana, fino a Tahiti: «Era un crepitio incessante, nel sole; sembrava che la terra vivesse, che tutto vivesse una vita estranea all’uomo». Scritto nel 1935, ma pubblicato nel 1938, è Hôtel del ritorno alla natura. Tratto da un fatto di cronaca nera ancora insoluto, avvenuto nel 1934 proprio a Floreana, selvaggia isola delle Galapagos (Ecuador), nella quale Simenon colloca la sua trama, narra del prepotente e devastante arrivo sull’isola della viziosa, sessuomane, sregolata, egocentrica, prepotente contessa Von Kleber, col suo codazzo di amanti.
Una donna inquieta, nevrotica, in perenne agitazione («Sembrava che avesse orrore della pace, del vuoto, come una macchina che dovesse funzionare a tutta forza, e cercasse continuo alimento. Era contratta, con tutti i nervi tesi»). Il suo progetto utopistico di costruire proprio lì un rifugio chic paradisiaco per miliardari alla ricerca di un’oasi di pace lontana dalla civiltà, eppure con tutti i suoi lussi, si scontra con l’ambiente naturale difficile, ma anche con due coppie ben diverse di occidentali già giunti da tempo nell’isola: il professor Müller e la sua assistente Rita e la famiglia Hermann. Un’opera che ha molto da insegnare anche e soprattutto oggi, con la smania imperante di ambientalisti alla Greta che poco sanno della Natura e della sua spietatezza. Come si vede, si tratta di romanzi di formazione al contrario: romanzi di dissoluzione. Vorremmo concludere questa incompleta carrellata sulla letteratura “anomala” di Simenon segnalando anche due libri ambientati non ai tropici, ma sul Mar Nero: Le finestre di fronte (1933) e I clienti di Avrenos (1934).
Il primo, collocato a Batum, nella Georgia sovietica, costituisce una delle prime opere narrative di denuncia – non creduta dai comunisti europei del tempo – della Russia staliniana. Il protagonista, il nuovo console turco Adil bey, viene catapultato in una dimensione dominata dalla miseria, dal terrore, dal controllo poliziesco, dalla delazione, dal sospetto, dalla sottomissione. Persino la natura sembra impregnata dall’orrore del potere: la distesa d’acqua salmastra «non assomigliava affatto a un mare né a qualcos’altro. Era un grigiore sconfinato, un vuoto che esalava soffi umidi: non si formavano onde sulla riva, non si udiva lo sciabordio. Era piatto come uno stagno, costellato di migliaia di piccoli cerchi disegnati dalle gocce di pioggia, migliaia e migliaia, fino all’orizzonte». Circondato da tale realtà allucinatoria, ambigua, sfuggente, Adil bey teme per la propria vita. E chi è davvero Sonia, la segretaria assegnatagli dal regime, bellissima, eterea, quanto fanatica sostenitrice del bolscevismo? Un libro tra i più tristi, cupi, disperati che si possano leggere e una denuncia, senza alcuna connotazione politica di parte, del totalitarismo e della sua disumanizzazione.
Con il secondo romanzo ci spostiamo nella vicina Istanbul, ai tempi della laicizzazione imposta da Mustafa Kemal Atatürk. Toglietevi dalla mente vecchie e nuove repressioni integraliste islamiche: «In riva al mare, o su palafitte nell’acqua, si allineavano delle balere. Si vedevano musicisti con vestiti variopinti, coppie che ballavano, altre che remavano placidamente su barchette prese a nolo, e per finire una folla di nuotatori e nuotatrici, un brulichio uniforme, un’orgia di vitalità e di sole». Sul Bosforo dominano un’atmosfera molle ed eccitante, droghe, bevute e ambigui locali, e calde, infinite notti, popolate da perditempo; tra questi, un francese, Bernard de Jonsac, dai miserevoli impieghi diplomatici presso la propria ambasciata. Anch’egli si lascia irretire da una giovanissima entraîneuse ungherese, dalla quale tutti sono sedotti e manovrati.
Infatti, come quasi sempre nella narrativa di Simenon, anche nei libri di cui abbiamo parlato sono indimenticabili i personaggi femminili, donne fatali o comunque vivacissime figure umane, che sprigionano una carica vitale animalesca. In Colpo di luna Adèle, la non più giovane tenutaria del ristorante dell’hotel a Libreville dove alloggia Joseph, che ne diventa l’incerto amante; in Cargo la multiforme, immatura, anarchica Charlotte, assassina (forse) per ideale politico; ne I clienti di Avrenos l’indefinibile Nouchi. «Due occhi penetranti come punte di spillo», neanche diciottenne, seducente in modo irresistibile, pur essendo non bella, magra, dal corpo irregolare, ha dovuto abbracciare il cinismo come stile di vita perché a ogni costo non vuole ricadere nella miseria e nelle umiliazioni che hanno caratterizzato la sua infanzia viennese («Adesso capisci perché detesto la povertà? Al mondo non c’è niente di più schifoso, di più orribile!»).
È evidente come questa narrativa di Simenon si innesti nell’amplissimo genere dei romanzi d’avventura esotici e di mare. In particolare, in un suo specifico sottogenere: quello che narra le vicende di chi viene travolto da tropici tutt’altro che arcadici o edenici. All’interno di una natura selvaggia e spietata, di un clima intollerabile, di un’umanità disordinata, l’uomo occidentale va incontro alla rovina economica e morale, regredisce o impazzisce; come ne La follia di Almayer (1895) o in Un reietto delle isole (1896), il cui sfondo è costituito dal dedalo di arcipelaghi delle Indie orientali, fulminanti esordi letterari di Joseph Conrad (1857-1924). E, probabilmente, il celeberrimo Cuore di tenebra (1899) è il romanzo nel quale maggiormente lo scrittore anglopolacco descrive «L’orrore! L’orrore!» del mondo, scoperto risalendo il fiume Congo, in Africa. La stessa crudele, tremenda Africa che, pochi anni prima di quelli in cui Simenon avrebbe scritto i propri “romanzi esotici”, evocava Louis-Ferdinand Céline (1894-1961) nella sua allucinante, “maledetta”, opera prima: Viaggio al termine della notte (1932).
Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 181, gennaio 2021)