Esce il 23 ottobre 2015 il disco d’esordio della formazione romana (“How to erase a plot”, per Lady Sometimes Records), nato dal progetto solista di Paola Fecarotta
Come non parlare bene di un disco i cui suoni, misteriosi, oscuri e ricercati, in alcuni brani ci hanno ricordato certe “colonne sonore” dei film del “maledetto” David Lynch? Sonorità che accompagnano intensamente la voce solista femminile. Una voce sempre “soft” e intimista, pacata, senza gli inutili strilli e/o gorgheggi oggi di moda. Insomma, un perfetto insieme minimale e atmosferico.
Sono dieci i brani che costituiscono l’esordio discografico di armaud, ovverossia il trio romano nato dal progetto solista di Paola Fecarotta, trasformatosi appunto nella formazione costituita dalla stessa (Armò era il cognome della nonna paterna della vocalist), da Marco Bonini (chitarra e drum machine) e da Federico Leo (batteria). Il titolo del disco è How to erase a plot (“Come cancellare una trama”, intesa anche come “vicenda”, “storia”, di un film, di un romanzo). A produrlo è l’etichetta Lady Sometimes Records. Un esordio artistico fondato su armonie rarefatte, tenui, soffici, che contornano la voce di Paola, che talvolta, partendo dalla spiritualità che la permea, sembra quasi faticare a fuoriuscire, a materializzarsi, a farsi sostanza e corpo. E che – nuovi rimandi, oltre a Lynch – richiama certe esperienze “periferiche” perché collocate nella lontana, magica, misteriosa, algida, fiabesca Islanda: addirittura Björk o i múm, con le due sorelle gemelle Gyða e Kristín Anna Valtýsdóttir o Hildur Gudnadòttir.
Davvero lynchiana, con la sua apparente dolcezza, soavità, leggiadria, quasi eccessiva, intrisa da un elemento inquietante che la incornicia, è il primo brano, Him. La terza traccia, che dà il titolo all’intera opera, con l’accordo ripetuto per tutto il brano, come in certe armonie della musica minimalista – Philip Glass, Steve Reich e altri geniacci, tanto per intenderci – induce alla sospensione del tempo: l’ascoltatore vi si perde, avvinto e incantato…
Avvolgente, nel suo spiraliforme e conturbante esotismo, è la settima traccia, Common Prayer: un’ambiguità sofisticata l’accompagna, facendoci provare qualche insolito brivido. Da ricordare che il secondo brano, Patterns, ha anticipato, come singolo e videoclip, l’uscita dell’intero disco. Una bella clip, nel corso della quale la noia e la routine della vita quotidiana sembrano poter esser superate grazie al sogno, alla fantasia, alla scrittura (vedi La fuga dalla realtà nell’immaginazione, secondo armaud). In conclusione, un cd dagli eleganti turbamenti musicali, da non perdere per chi ama voci e suoni provenienti da un “altrove” chiaroscurale, del quale cogliere gli anomali prodigi, le luci radenti, i brividi delle dissolvenze, le percussioni ottiche. Con un gioco di parole, potremmo affermare che, di How to erase a plot, non cancelleremo proprio nulla.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno X, n. 118, ottobre 2015)
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