Ne parla il libro “Applausi e sputi” (Sperling & Kupfer) di Vittorio Pezzuto. Ma, da allora, che cosa è cambiato?
Lo scorso sabato 27 settembre, nella bellissima cornice dell’Oratorio San Giovanni Battista dei Fiorentini, in Corte de’ Galluzzi a Bologna, ha avuto luogo la presentazione del libro Applausi e sputi. Le due vite di Enzo Tortora (Sperling & Kupfer, pp. 544, € 15,00), scritto da Vittorio Pezzuto, esponente radicale e attualmente portavoce del ministro Renato Brunetta. Sono intervenuti alla presentazione l’autore e Francesca Scopelliti, già senatrice della Repubblica, compagna del giornalista genovese scomparso, divenuto protagonista, suo malgrado, del più celebre caso di “errore giudiziario” avvenuto nell’Italia repubblicana; ha condotto l’incontro Pierluigi Visci, direttore de il Resto del Carlino.
Al momento del caso Tortora, Vittorio Pezzuto aveva 16 anni. L’accaduto aveva evidentemente prodotto una grande impressione su di lui che in seguito ha scritto la sua tesi universitaria proprio su tale vicenda. Il libro è il frutto di qualcosa che Pezzuto si portava dentro fin dall’adolescenza: egli ha raccontato che ha dovuto scriverlo perché nessun altro lo faceva e invece per lui era un obbligo morale e sociale, visto che l’Italia è un paese che non sa tutelare la giustizia verso i suoi uomini buoni, mentre vengono ricordati solo i colpevoli. La biografia non è stata scritta per “ingessare” il personaggio ma per dare spunto a tutti coloro che hanno avuto a che fare con Tortora di arricchirne l’immagine e offrire la possibilità a ciascuno di ricordarlo per quello che era e quindi apportare il proprio contributo al processo della memoria.
Tutti si chiedono che cosa abbia rappresentato il “caso Tortora”. Probabilmente esso insegna che se le regole non cambiano, non cambieranno mai neanche i risultati. Vittorio Pezzuto ha cominciato a descrivere chi fosse l’uomo tanto conosciuto in Italia attraverso i teleschermi: “Era un personaggio complesso, molto colto, aveva fatto tanti mestieri per poi riproporsi a 360 gradi. Nella prima metà del libro ho descritto quella che è stata la sua prima vita, quella del Tortora giornalista: scriveva di sport ma non come fanno tutti, lui preferiva la scoperta dell’uomo sportivo, le sue preferenze, le gioie e i dolori di una scelta di vita. E scriveva anche di cronaca nera, di rapimenti. Era un borghese a tutto tondo. Amava leggere testi di filosofia e buona letteratura, questo lo portava a farsi riconoscere per la maniera forbita e colta che aveva di parlare. Prestava un’attenzione e un interesse particolari per il periodo e per le vicende del Sessantotto e gli strascichi che avevano avuto”. Questa è stata la sua prima vita, peraltro costellata da continue tensioni e rotture con la Rai, a causa del carattere liberale del professionista.
Il 17 giugno del 1983 alle 4 del mattino, l’arresto, con l’accusa da parte della Procura di Napoli di associazione per delinquere di stampo camorristico. In quegli anni, grazie anche alla popolare trasmissione televisiva Portobello, Tortora (già giornalista di fama e conduttore di Campanile sera, de La Domenica Sportiva e molti altri programmi) si trovava all’apice del successo. Quella data segna l’inizio dell’incubo giudiziario che costituisce la seconda vita del personaggio analizzato di cui Pezzuto racconta nell’altra parte del libro in maniera ben dettagliata e corredando il tutto con 80 pagine di note precise. Enzo Tortora viene portato via di notte e trattenuto tutto il tempo necessario, cioè fino a mezzogiorno, per consentire l’indecorosa passerella e l’arrivo della stampa a metà giornata, a un orario comodo perché l’Italia veda sui teleschermi l’uomo in manette scortato dalle forze dell’ordine. Come verrà detto più tardi, “un uomo arrestato alle quattro di mattina non può essere innocente”.
Da quel momento inizia il processo kafkiano di Tortora: grazie a una serie di “prove” ridicole, sostenute da una serie di “pentiti” psicopatici e pluriomicidi, il 17 settembre 1985 viene condannato a dieci anni di carcere. Il 31 dicembre dello stesso anno Tortora si dimette dalla carica di europarlamentare alla quale era stato eletto nel giugno dell’anno prima nelle liste del Partito radicale, per rinunciare all’immunità parlamentare e affrontare il procedimento giudiziario. Il 15 settembre 1986 viene assolto con formula piena dalla Corte d’Appello di Napoli, che riconosce l’assurdità della vicenda (sarà prosciolto definitivamente dalla Corte di Cassazione il 17 giugno 1987, proprio a quattro anni esatti dal suo arresto). Intanto il personaggio televisivo era tornato in Rai il 20 febbraio del 1987, riprendendo Portobello. Ma nulla è, né potrebbe essere, come prima. Lo stress e la drammaticità della vicenda hanno lasciato, in un uomo libero e sensibile come Tortora, un pesante segno: egli muore la mattina del 18 maggio 1988 nella sua casa di Milano, stroncato da un cancro di probabilissima origine psicosomatica. I responsabili della sua persecuzione giudiziaria, vale a dire i magistrati napoletani che hanno agito con tanta superficialità e incapacità, in seguito sono stati tutti “promossi”.
Dopo Pezzuto, ha preso la parola Francesca Scopelliti, compagna di Tortora fino alla fine; alla morte dell’uomo che amava, ha portato avanti la sua battaglia garantista. Francesca ha parlato di Enzo come uomo, di Enzo nella sua quotidianità. Ha ricordato che smarriva sempre tutto e per questo le chiavi di casa le portava sempre e solo lei. Ha raccontato sorridendo che nella loro vita insieme avevano dovuto comprare moltissime paia di occhiali che Enzo perdeva in continuazione e che venivano poi ritrovati nei posti più impensati della casa: tra le pieghe del divano, tra i libri nella libreria, nel frigorifero. “Quello che ha scritto Vittorio è un romanzo di vita e io gliene sono molto grata perché ha portato alla luce la bontà di un uomo che ha sempre seguito la sua coscienza e che è sempre stato onesto e leale. Enzo sarebbe stato felice di avere un figlio come Vittorio”. La compagna di Tortora ha ringraziato così Pezzuto per aver colmato una lacuna enorme sulla vita professionale e quotidiana del giornalista ucciso dalla malagiustizia.
Il caso di Enzo Tortora rappresenta nella realtà italiana quella cattiva coscienza che cerchiamo di nascondere. A 25 anni da quell’evento, nessuno lo ha ricordato, né la Rai, né la politica. Invece Vittorio Pezzuto e Francesca Scopelliti hanno voluto serbarne la memoria così, presentando il libro insieme, attraverso un giro d’Italia che è quasi un pellegrinaggio, con l’intento di consegnare nelle diverse città italiane un messaggio di giustizia, forse per ricordarci che anche in Italia è possibile trovare persone “pulite”. Sebbene resti la sensazione, fortissima, che da allora poco o nulla sia cambiato nelle aule giudiziarie del nostro Paese.
L’immagine: la copertina del libro di Vittorio Pezzuto su Tortora.
Erika Casali
(LucidaMente, anno III, n. 35, novembre 2008)
Comments 0