Lo affermano anche alcuni brani di Kundera e Zweig: si viveva e si vivrebbe meglio senza fretta, gustando la stabilità e l’esistenza con le sue irripetibili magie di momenti da non lasciarsi sfuggire. Non resta che ribellarsi all’ordine capitalista neoliberista
«Perché è scomparso il piacere della lentezza? […] Nel nostro mondo l’ozio è diventato inattività, che è tutt’altra cosa: chi è inattivo è frustrato, si annoia, è costantemente alla ricerca del movimento che gli manca». Sono le dolorose parole dello scrittore ceco Milan Kundera (Brno, 1929), tratte dal suo romanzo intitolato proprio La lentezza (Adelphi), anche se, in verità, il libro non ha questo tema al centro della narrazione.
Il mondo di oggi contrapposto al mondo di ieri, anzi potremmo dire al mondo di sempre (l’otium benedetto dagli antichi greci e romani), nel quale l’impazienza e la rapidità erano intese come vera e propria rozzezza o maleducazione: «La fretta, infatti, non era soltanto considerata un tratto inelegante ma era in realtà completamente inutile, poiché in quel mondo tanto ancorato ai solidi princìpi borghesi, con le sue innumerevoli cautele e piccole attenzioni, non accadeva mai nulla d’improvviso». Questo secondo brano è tratto dal celebre libro intitolato appunto Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo (Garzanti). L’autore è lo scrittore ebreo-austriaco viennese Stefan Zweig (1881-1942), alla cui opera e figura si è ispirato Wes Anderson per il suo splendido film Grand Budapest Hotel (2014). La lentezza è connessa da Zweig all’ordine e alla stabilità, da Kundera alla memoria. Scrive ancora Zweig: «Mio padre, mio nonno, che cosa hanno visto? Hanno entrambi vissuto un’unica vita, una sola esistenza dal principio alla fine, priva di ascese e cadute, senza scosse e senza pericoli. Un’esistenza che non conosceva se non preoccupazioni leggere, mutamenti impercettibili. Con ritmo regolare, quieto e pacato, lo scorrere del tempo li accompagnava dalla culla alla tomba». A dispetto dell’ideologia del nomadismo senza fine e dell’esaltazione globalista delle migrazioni di massa e del meticciato culturale!
Il chiasso, la frenesia e la compulsione odierni sono nemici della riflessione, della meditazione, del ragionamento pacato e tollerante. E quindi dell’arte, della scoperta della bellezza, della lettura, che necessitano di serenità, tempo, silenzio. Cosa facevano i giovani al tempo della Vienna di Zweig?: «Soprattutto leggevamo, leggevamo tutto quanto ci passava tra le mani e ci scambiavamo l’un l’altro quanto riuscivamo a trovare. […] La nostra passione […] era scoprire prima di tutti gli altri le ultime novità». Dal suo canto, Kundera collega giustamente la velocità, la fretta, la frenesia, il parossismo compulsivo, con un’altra tremenda insidia della nostra società e del potere economico che la domina: la volontà di accantonare il passato, la memoria, le radici, che è come dire dimenticare la propria identità.
Ecco cosa afferma lo scrittore di Brno: «Dar forma a una durata è l’esigenza della bellezza, ma è anche quella della memoria. Ciò che è informe è inafferrabile, non memorizzabile. […] C’è un legame segreto fra lentezza e memoria, velocità e oblio […]: il grado di lentezza è direttamente proporzionale all’intensità della memoria; il grado di velocità è direttamente proporzionale all’intensità dell’oblio». Quali perversioni ha raggiunto lo stile di vita prevalente nel nostro mondo ed esaltato non solo dal potere economico, ma persino dall’intellighenzia?: «La nostra epoca si abbandona al demone della velocità ed è per questo motivo che dimentica tanto facilmente se stessa. […] La nostra epoca è ossessionata dal desiderio di dimenticare, ed è per realizzare tale desiderio che si abbandona al demone della velocità; se accelera il passo è perché vuol farci capire che ormai non aspira più ad essere ricordata; che è stanca di se stessa: che vuole spegnere la formula fiammella della memoria».
Ed è proprio questo che sta accadendo al/nell’Occidente e alla sua Cultura: l’autodisprezzo, l’autorazzismo, l’oicofobia, l’apertura incondizionata a ciò che è estraneo, a scapito dell’autentico “prossimo”. Forse non è un caso che, pur diversi come letterati e distanti nel tempo, Zweig e Kundera provengano dall’area mitteleuropea, esattamente dall’ex Impero asburgico: una compagine statale sovranazionale un po’ sonnacchiosa e “demodé” che da decenni viene nostalgicamente rivalutata. Anche perché tra gli innumerevoli popoli, etnie e nazionalità collocati al suo interno regnava una pace invidiabile rispetto a quello che saranno gli orrori imperialisti, nazionalisti, totalitari e delle pulizie etniche del XX secolo e non solo.
Il nostro discorso potrebbe apparire solo nostalgico, rievocativo, una laudatio temporis acti. Al contrario, la tematica affrontata è attualissima, tant’è vero che, come, ad esempio, per il problema del progressivo analfabetismo (legato all’uso “lùdico” ma persino “didattico” degli strumenti informatici e telematici, per non parlare del conseguente disastro culturale), sono sempre di più le opere che affrontano la questione dello stress da fretta. Per citarne solo qualcuna: Elogio della lentezza (il Mulino) di Lambert Maffei; Elogio della lentezza. Rallentare per vivere meglio (Bur Rizzoli) di Carl Honoré; La scoperta della lentezza (Garzanti) di Sten Nadolny. Viviamo dunque un’epoca nella quale il pensiero unico globalista, neoliberista, turbocapitalista, con la costrizione all’interconnessione telematica perpetua quanto compulsiva (vedi Internet, nuovo totalitarismo?), sta plasmando un’umanità postumana, nella quale persino la magia dell’amore e dell’eros sono resi merce da consumare, velocemente (vedi: Il sesso sporco del neocapitalismo; Come recuperare un sano rapporto uomo-donna? Combattendo l’ideologia dominante; L’amore libertino e la sua bellezza). La fretta, l’ansia, il non avere il tempo di pensare, di poter godere dell’amicizia, dell’amore, della natura, del paesaggio, tutti assorbiti dalla precarietà del lavoro, dalla dittatura di internet con le sue innumerevoli dipendenze e nevrosi (dai selfie agli hikikomori), sono funzionali, insieme all’ideologia politically correct, al potere dominante e al suo mantenimento. Come sempre, possiamo reagire prima prendendone coscienza e poi ribellandoci. In massa.
Le immagini: a uso gratuito da pexels.com.
Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XV, n. 180, dicembre 2020)
Complimenti per il suo articolo, mi ha colpito molto, in particolare nell’incipit. Continui così.