Quinto (concept) album (etichetta Discipline Records) del poliedrico Alessandro Zannier, in arte Ottodix. Un progetto che comprende anche mostre itineranti e un cortometraggio
Un tempo, in epoche di impegno sociale e di “viaggi” al limite della psichedelica ed entro il “progressive”, erano molto numerose le produzioni discografiche costituite da brani imperniati su un tema centrale. Ovvero i concept album. Pare che il primo vinile a potersi definire concept album in ambito rock sia stato Tommy (Who, 1969), poi divenuto anche rock opera e film (diretto dal visionario Ken Russell nel 1975). Per ragioni di spazio, tralasciamo gli altri esempi angloamericani.
Anche in Italia molti furono gli album con un tema centrale o addirittura in grado, con la successione dei brani, di narrare una vicenda completa. Esemplare è la storia dei due immaginari pianeti Felona e Sorona, poeticamente raccontata nel 1973 da Le Orme, o il quasi dimenticato Orfeo 9 (1970) di Tito Schipa jr., una rivisitazione attualizzata del celebre mito, interpretata, tra gli altri, dagli allora sconosciuti Loredana Bertè e Renato Zero, con le percussioni di un altrettanto “emergente” Tullio De Piscopo. Da poco, sempre su LucidaMente, abbiamo recensito un altro recentissimo concept album italiano (Il disco imbullonato dei The Gentlemen’s Agreement). Si vede, dunque, che il genere discografico, nel drammatico contesto odierno, è tornato di attualità.
E, infatti, ecco il poliedrico artista trevigiano Alessandro Zannier, che, per il quinto album in studio (più una raccolta) del suo progetto musicale Ottodix, ci propone il suo concept album Chimera (Discipline Records). Ben quindici brani che ruotano su una tematica caldissima: la fine delle speranzose utopie e delle ideologie del Novecento, con la conseguente crisi dell’Occidente (alcuni titoli: Apocalisse, L’Ultima Chiesa, Chimera Meccanica a Vapore, Fine del Futuro, Le Città Immaginarie).
Argomento davvero attuale, se si pensa alla “tempesta perfetta” che ha colpito la nostra civiltà, accerchiata e devastata da una crisi economica che pare irreversibile, dalla propria decadenza civile e culturale e dall’arrivo incontrollato di masse di migranti portatori di altre “civiltà” e difficilmente “integrabili” o “assimilabili”. Chimera, pertanto, è una babele di pensieri e situazioni, di contrasti ideologici e di parole divenute vuote, che rispecchiano il mondo occidentale nel suo trapasso dalle aspettative e dalle illusioni del XX secolo al caos della “globalizzazione”: «Battono già / chiodi e metalli / tra le rovine laggiù / […]. Dopo la resa, / la tabula rasa, / la falsa ripresa, / la calamità» (Ucronìa).
Di continuo appaiono visioni catastrofiche: «Accadde in un momento, / il sole si era spento / sul grande formicaio / di vite in movimento. […] e i libri che bruciavano / al 451 fahrenheit» (Apocalisse). Non c’è alcun rimpianto per ciò che si dissolve: «Chimera, non avremo nostalgia / di un’era di pirati senz’anima / e dive del cinema» (Chimera Meccanica a Vapore). L’album è “erudito”, curato, raffinato, a cominciare dalla splendida, “regale”, confezione che racchiude il cd e dalle surreali illustrazioni (anche magrittiane) che arricchiscono l’involucro e il libretto interno coi testi. Molteplici, fin nei titoli dei brani, le “allusioni”, le citazioni e i riferimenti “colti” a personaggi e idee (Ucronìa, Golconda, King Kong, Gli Archivi di Tesla, Arpìa). Del resto, come molti sapranno, anche il “nome d’arte” Ottodix è un chiaro riferimento al grande pittore espressionista tedesco Otto Dix (1891-1969).
La musica di Chimera spazia dall’elettronica al pop orchestrale, dalla sperimentazione al rock, dalle armonie classicheggianti al ruvido blues di denuncia. Una rumorosa, caotica, barocca, a volte cacofonica e scombinata, fanfara, ma sempre scintillante e affascinante, che può essere interpretata anche come un amaro, arrabbiato, acido, De profundis… E il progetto “Chimera” non si esaurisce col solo disco, ma comprende anche una mostra itinerante, intitolata appunto Chimere (dieci installazioni inedite collocate di volta in volta in dieci città diverse, tra le quali Berlino e Pechino), e un cortometraggio di 15 minuti circa, che sarà pubblicato entro la fine dell’anno.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno IX, n. 108, dicembre 2014)