Perciò leggere che qualcuno prova ancora a far sognare piccoli e grandi, pur non escludendo del tutto i simboli della nostra quotidianità, ci consola e ci induce a seguire l’itinerario suggerito che appare attraversato da suggestivi filamenti di positività.
Il libro-favola di cui stiamo parlando è scritto da Rino Tripodi e il suo titolo è: Il mistero dell’Impero Azzurro (inEdition editrice/Collane di LucidaMente, 2009, pp. 76, € 12,00).
Due città contrapposte
Il fascino iniziale deriva da quel vocabolo Impero che evoca qualcosa di lontano e di maestoso com’è in tutte le belle favole che si rispettano, ma quanto diverso e attualizzato! In effetti, niente troni, né regine, né principesse, né fate, né maghi.
Si tratta di due città contrapposte: una Grigia, l’altra Azzurra, che funzionano in modo diverso, giusto seguendo la simbologia dei colori. L’Azzurra è favolosa: è una città ideale (ecco dove va a inserirsi una tipica lezione ecologica). È pulita, ordinata, ridente. I suoi abitanti vivono felici, apparentemente senza problemi. Non hanno lamentele da rivolgere ai politici, amano le arti, le scienze. Si dilettano a frequentare circoli e assemblee, leggono libri, espongono quadri molto diversi dal consueto che hanno, oltre ai colori brillanti, i profumi di ciò che rappresentano, pitture che stimolano l’olfatto ed il gusto e il tatto. I poeti e i letterati della strana città inventano una nuova lingua, giocano con le scoperte più rare, come per esempio inseguire le immagini direttamente nello spazio e catturare le onde di trasmissioni ormai remote e molto lontane.
Anche le abitazioni, pur essendo conformate in modo diverso dal consueto, hanno una stabilità e un equilibrio tali da fare invidia a quelle reali di molti nostri centri. Insomma, persino il suo nome, Solaris, parla della volontà d’essere un faro di luce ed una sede di svago e di residenza senza pari.
Un’indagine capziosa
Il governo dell’Impero Grigio non sa spiegarsi il successo e la fama diffusa della sua sorella antagonista. Allora attiva i suoi sevizi segreti, come succede nella realtà con i grandi imperi militari. Organizza un’indagine per scoprire da che cosa derivi il diverso tenore di vita dell’avversaria e soprattutto il magistero della sua amministrazione.
Viene inviato un agente-bambino, coadiuvato da altri agenti sul posto della trasferta. Questi entra in contatto con gli abitanti, li interroga, scopre la tranquillità della loro vita e crede che non ci sia nessun segreto che giustifichi la loro diversità.
Un momento: ma la loro è diversità? Sorge allora il dubbio che la diversità sia quella degli altri che stanno all’esterno e che la città Azzurra sia veramente il prototipo di quello che naturalmente dovrebbe essere una città, sede della gioia, della giustizia, del rispetto, dell’amore e degli incontri amichevoli.
La verità è che gli esseri umani hanno dimenticato cosa sia naturale, mentre al suo posto hanno introdotto l’artificio e la costrizione, la prevaricazione e la violenza e il linguaggio offensivo e brutale.
Il finito e l’infinito
Questa è la conclusione a cui arriva l’agente segreto, ma il suo riscontro si verifica non con le parole astratte che noi adulti adoperiamo per intenderci, bensì con le immagini e i suoni che la sua mente coglie di preferenza e che con un colpo di scena finale gli aprono inconsueti orizzonti d’un cosmo eterogeneo che mai avrebbe potuto immaginare stando nella zona grigia da cui proviene.
Come spiegare ai giovanissimi i concetti di tempo finito e di infinito, di limitato e precario rispetto a universale e cosmico? Veramente difficile.
Solo il linguaggio della favola può far intuire loro, certo col cuore e non razionalmente, il flusso del tempo quotidiano, lento e discontinuo rispetto a quello dello spirito che s’innalza oltre i limiti fino ad attingere l’azzurrità della dimensione eterna, l’incommensurabilità di «interminati spazi […] e sovrumani silenzi», avrebbe detto Leopardi, anche senza che la scoperta diventi professione di fede, ma anticamera d’un sentire che la famiglia umana dovrebbe adottare per non arrivare all’autodistruzione.
La missione non si compie
Missione compiuta, allora? Tutto svelato e quindi utilizzato l’esempio che adombrava quel mistero? Nient’affatto. L’ultima lezione è questa volta di ordine morale.
Se bastasse sapere per fare, molte cose diverrebbero subito chiare e consequenziali. Ma la mente umana è labirintica, tende a occultare quella che è pura verità dichiarata, anzi a combatterla e violentarla, pur di non doversi discolpare o ritrattare o cambiare stile di vita.
Gli arbitri del destino di tante comunità sanno cosa sia l’intrigo, ma non come lo si possa eliminare per il bene dei loro cittadini. Resterà nell’ombra il mistero del perché la vita continui così «inquinata alle sue radici», come disse Italo Svevo, per non dover fare la fatica di cambiar tutto. Ma le ragioni della verità sono altrove. Questa è la sensazionale scoperta.
Si tratta dunque della denuncia dell’assetto socio-politico-ecologico com’è nel presente, che ostacola il libero sentire e l’ordinato sviluppo di collettività che meriterebbero più cura ed attenzione e una vita più a misura d’uomo. Tuttavia, quello che alla ragione sembra impossibile o avveniristico appare invece evidente alla intuizione fantastica.
L’immagine: la copertina de Il mistero dell’Impero Azzurro, con un’immagine tratta dal dipinto La creazione del mondo – VII (1905-1906) del visionario pittore lituano Mikalojus Konstantinas Čiurlionis (Varėna, 22 settembre 1875 – Pustelnik, 10 aprile 1911).
Gaetanina Sicari Ruffo
(Lucidamente, anno V, n. 62, febbraio 2011)