La nettissima affermazione di Donald Trump dimostra la sovrarappresentazione mediatica delle capricciose ideologie delle élite rispetto alla realtà e alle esigenze delle persone comuni
Qualcuno si è mai chiesto (e ha fatto due conti) su quante siano in percentuale sul resto della popolazione “normale” le star del cinema, della musica di consumo, dello sport o le viziatissime “influencer”? E, al loro interno, quante di loro sono impegnate a diffondere il verbo woke, politically correct e la cancel culture? Se aprite le pagine Wikipedia riguardanti i divi hollywoodiani, trovate spesso, accanto ad «attrice», «top model» (ma non basterebbe saper recitare bene senza essere pure bellissima?), l’aggiunta «attivista per i diritti civili».
Quali sono i “diritti” difesi dalle star
Chiariamo: per «diritti civili» o «umani» i vip non intendono quelli «sociali», cioè vitali ai lavoratori e alle fasce basse della popolazione: ovvero lavoro, sicurezza, casa, scuola, sanità, trasporti, ecc. Si tratta, nel migliore dei casi, dell’ovvio diritto di non subire discriminazioni etniche. Poi, del diritto di tutti (migranti) a spostarsi liberamente da un luogo all’altro, da uno Stato all’altro.
Ma, in genere, le élite “artistiche” e dello spettacolo, peraltro ignoranti e a digiuno di cultura, arte, letteratura, musica colta, Storia, ecc., “lottano” per i desideri, a volte capricci, di omosessuali, transessuali, della cosiddetta comunità lgbtqia+, come quello di comprare neonati da donne povere (utero in affitto). Oltre al #MeToo, ovvero lo scandalo non delle donne povere costrette ad abusi sessuali dal datore di lavoro o dal “principale”, ma delle presunte violenze subite da donne famose da parte di uomini potenti economicamente.
Se volessimo proseguire nel giochino di quante sono in percentuale alcune categorie rispetto al resto della popolazione, potremmo continuare con i giornalisti, i baroni universitari progressisti, i presentatori tv, gli influencer, gli scrittorucoli, gli artistoidi ecc.
E, scendendo socialmente ancora di più verso le persone comuni, quanti sono i normalissimi omosessuali che hanno scelto la noia del matrimonio e della coppia o la fatica di accudire dei figli comprati da uteri in affitto? E quante le donne che hanno abortito o che sono in età e previsione di voler abortire? E, tra questi/e, quanti/e sono i/le militanti che ne fanno una questione ideologica?
I radical chic sovrastimati e il loro delirio di onnipotenza cadono alle elezioni
Si tratta di un’infima minoranza di privilegiati e/o di minoranza chiassosa che solo il sistema di potere massmediatico sovraespone e sovrarappresenta rispetto alle persone che lo meriterebbero (ad esempio, lavoratori che hanno perso il proprio lavoro, lavoratori infortunati, le famiglie dei deceduti sul lavoro, i danneggiati dai miracolosi “vaccini”). È la maggioranza muta e silenziosa perché nessuno le offre un microfono e neppure un trafiletto di giornale. Per questi ultimi, considerati dai vip, e dagli stessi “progressisti”, «spazzatura», solo il silenzio.
Però, al momento, e non si sa per quanto tempo ancora, ogni tanto occorre votare, altrimenti il gioco sporco diventa – forse – troppo sporco. E, allora, dappertutto, dove si vota, non vincono quelli per cui fa il tifo il 90% dei potentati occidentali capitalisti-neoliberisti-globalisti. Spesso, come in Spagna o Francia, o nella stessa Unione europea, ci si inventa espedienti per evitare che i vincitori governino (leggi anche Urne ribaltate). Altre volte, come in Italia e, pochi giorni fa, negli Stati uniti, le vittorie della «spazzatura» (secondo la terminologia radical chic) sono talmente ampie che non si può far nulla per rovesciare il risultato delle urne.
La vittoria del buonsenso, della normalità e della povera gente
Soffermiamoci sul caso Donald Trump, che è il più recente, ma anche il più clamoroso e significativo. Si è fatto di tutto per evitare che il discutibile candidato prevalesse: dagli insulti ai processi penali, dalla criminalizzazione ai veri e propri attentati.
Alla vigilia delle elezioni del 5 novembre, tutti i sondaggi davano per sicura vincente l’avversaria, Kamala Harris. Persino quando i risultati reali che stavano pervenendo fossero chiari, si parlava di “testa a testa”, forse nella speranza che, come nel 2020, qualcosa “si sistemasse” nelle schede scrutinate. Ma sono state proprio queste a decretare la sonora sconfitta dell’establishment “progressista”. Non solo della scialba Harris, ma di tutto l’apparato ideologico politically correct, coi loro estremismi woke (aggressione di chi non la pensa allo stesso modo) e cancel culture (eliminazione di tutte la Storia, le radici e le tradizioni del passato per rendere gli individui degli atomi isolati, ignoranti e quindi deboli).
Hanno vinto la normalità e il buonsenso. Dappertutto, tranne che in poche enclave territoriali popolate da privilegiati, come Los Angeles, New York, Washington città (leggi Nicola Porro, La sconfitta della “Ztl” americana. Le zone chic dove ha stravinto Kamala). Se ce ne fosse stato bisogno, la vittoria schiacciante di Donald Trump dimostra quanto alla gente comune (bianchi e neri, latinos e islamici, uomini e donne, etero e gay, imprenditori e lavoratori, vecchi e giovani) stiano sulle scatole i radical chic, la teoria gender, i capricci fatti passare per diritti (che dovrebbero essere uguali per tutti/e e non privilegi di presunte “comunità”), il classista utero in affitto, l’aborto praticato quasi al nono mese.
L’intolleranza degli autodefinitisi “buoni”
E, ancora, gli intellettuali da salotto, la criminalizzazione di chi la pensa diversamente da loro, il disprezzo per il cristianesimo se non in chiave bergogliana, l’antifa in assoluta assenza non solo di fascismo ma anche di autoritarismo, l’odio verso famiglia e procreazione naturali, le nazifemministe, l’immigrazionismo dannoso per gli stessi migranti e il terzomondismo astorico, l’odio verso le forze dell’ordine, gli ecoterroristi, i giornalisti su libro paga e altra – questa sì – “spazzatura”.
E, dunque, la maggioranza dei cittadini se ne frega delle incolte star di Hollywood e della musica di consumo, e degli artistoidi da strapazzo, che straparlano sui media asserviti, non accontentandosi di far soldi sugli idioti, ma pure volendo imporre il loro Verbo (ne fa un rapido e inevitabilmente incompleto elenco Tony Damascelli in L’orchestra dei trombettieri anti Trump). Per non dire dell’ipocrisia di chi invita a non votare la “razzista” Marine Le Pen e poi cade – forse – in qualcosa di davvero grave (Mbappé indagato per “stupro e aggressione sessuale” dopo la sua visita a Stoccolma).
I disastri della globalizzazione delle élite
Il connubio élite economico-finanziarie/sinistra progressista è riuscito a cancellare in pochi decenni secoli di progressi sociali. I partiti in difesa del lavoro e dei lavoratori sono stati occupati da radical chic che hanno barattato i diritti sociali per quelli, più fumosi, “umani” o civili.
Tutto ciò ha provocato, tra l’altro, l’impoverimento delle classi medie e medio-basse, che è palese nella trasformazione del tessuto urbano: città-mondo, non luoghi, loro gentrificazione, centri storici ridotti a bed and breakfast e mangiatoie per turisti, banlieue. E, ancora, precariato e precarietà, insicurezza, dittatura sanitaria dell’Oms, vendite a domicilio a danno dei negozi di quartiere, giovani sbandati, diffusione capillare di droghe ed eccessi di ogni tipo, scuola di pessima qualità…
Concretezza e realismo contro astratti e fumosi ideologismi
Alle persone e ai cittadini (si può ancora dire “popolo”?) interessa invece avere prospettive economiche, speranze per il futuro, occupazione, sicurezza in casa e per le strade, lotta alla criminalità diffusa… Si tratta di un’analisi politica condivisa pure dai pochi esponenti di una sinistra rimasta non solo di sinistra, ma anche lucida, come il rieletto (per la quarta volta) senatore socialista del Vermont Bernie Sanders (leggi Vincenzo Giardina, Elezioni Usa, per Sanders risultato ovvio perché “i democratici hanno abbandonato i lavoratori”).
E più i “progressisti” e le sinistre gridano a un pericolo fascismo che non esiste, a continue emergenze, che semmai vanno affrontate con pragmatismo e razionalità e non con isterismi e perseguitando i “negazionisti”, più le persone voteranno per sovranisti e populisti, magari rossobruni…
Trump sarà un toccasana? No. Ma cambierà molto rispetto al conformismo degli ultimi decenni. È sufficiente vedere chi sta nominando nel suo team. Su guerre, deep state, dittatura sanitaria, si profilano scelte coraggiose. Chi lo definisce un fascista o un autoritario o è in cattiva fede o è un cieco impregnato di ideologia trinariciuta. È piuttosto catalogabile tra i libertari populisti.
Certo, c’è chi pensa che, se l’elettorato non vota bene (per chi sappiamo), occorre truccare il gioco elettorale o proprio cambiare l’elettorato (leggi anche Viviamo davvero in regimi democratici?). Come? Con una massiccia dose di migranti. E allora? Questi, provenienti da culture tradizionaliste, non tollerano neppure l’infedeltà coniugale e l’omosessualità, figuriamoci le nozze gay e la “gestazione per altri”…
Le immagini: a uso gratuito da Pexels (autori: Charles Criscuolo; Rosemary Ketchum; Michael Anthony).
Rino Tripodi
(Pensieri divergenti. Libero blog indipendente e non allineato)