Gli scontri di Chiomonte riaprono il dibattito sulle grandi opere pubbliche
Gli incidenti accaduti il 27 giugno scorso in Val di Susa – dove il presidio permanente di Chiomonte, predisposto dagli aderenti al movimento No Tav, è stato smantellato con la forza dalla polizia – ripropongono l’annoso problema della costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione e, più in generale, riaprono il dibattito sul senso delle megaopere pubbliche.
In base al Progetto preliminare, il tracciato ferroviario totale della Tav avrà una lunghezza all’incirca di 254 chilometri e sarà diviso in tre tratte: quella italiana (43 km, da Settimo Torinese a San Didero), che sarà costruita dalla Rete ferroviaria italiana Spa; quella internazionale (72 km, da San Didero a Saint-Jean-de-Maurienne), che verrà realizzata dalla Lft Spa; quella francese (circa 139 km, da Saint-Jean-de-Maurienne a Lione), ancora da appaltare. Il percorso comprenderà al suo interno diverse gallerie – la più lunga delle quali, tra Venaus e Saint-Jean-de-Maurienne, avrà l’estensione di circa 53 km – per scavare le quali si prevede che saranno estratti circa 7,7 milioni di tonnellate di metri cubi di materiale di scarto. La durata prevista dei lavori è di sette anni, il costo totale preventivato è di 21,4 miliardi di euro (che potrebbero, però, nel tempo raddoppiare). L’Unione europea coprirà una parte delle spese per la tratta internazionale (tra il 10 e il 20 per cento dei costi), mentre il resto dei soldi verrà anticipato da alcune grandi banche, che poi saranno rimborsate (con gli interessi) dal governo italiano e da quello transalpino.
Il movimento No Tav è sorto spontaneamente tra gli abitanti della Val di Susa quasi vent’anni fa, ma si è radicato nel territorio torinese soprattutto tra il 2003 e il 2005, allorché si sono svolte numerose manifestazioni popolari nei principali centri valsusani (Borgone Susa, Bussoleno, Bruzolo, Chiomonte, Mompantero, Venaus) e sono sorti tre presidi permanenti, il più importante dei quali è proprio quello di Chiomonte, dove a breve dovrebbero iniziare i lavori per la costruzione di un tunnel geognostico, che servirà a studiare le rocce prima di dare inizio ai lavori veri e propri. Favorevoli alla realizzazione della Tav sono la Lega Nord e il Pdl, insieme all’Udc e a una parte dei partiti di centrosinistra (Pd e Idv). Decisamente contrarie le forze politiche della Sinistra radicale (Fds, Verdi, Sel), ma anche le ventuno amministrazioni comunali dei paesi della Val di Susa.
Il presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, ha espresso recentemente il suo assenso alla Tav, definendola «un’opera fondamentale per lo sviluppo dell’Europa e un’infrastruttura importante per mantenere i collegamenti italiani a livello internazionale». Dello stesso avviso sono il presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota («la Tav è un’opera assolutamente necessaria per il Piemonte e per l’intero sistema Paese») e il sindaco di Torino, Piero Fassino («un’opera da fare, un nodo non solo ferroviario, ma globale, una rete di scambi e rapporti in grado di collegare l’Europa dal Portogallo a Mosca, da cui non dobbiamo rimanere esclusi»). Più blanda l’adesione al progetto di Antonio Di Pietro, leader dell’Idv, il quale, pur sostenendo che «le infrastrutture e l’intermodalità sono fondamentali per lo sviluppo», si è dichiarato contrario all’uso della forza contro i manifestanti, schierandosi «senza se e senza ma per il rispetto dei diritti dell’uomo e delle popolazioni».
Di parere diametralmente opposto Legambiente che, nella Sintesi dei punti di criticità del progetto ferroviario alta velocità Torino-Lyon, paventa, tra le altre cose, quanto segue: «I tunnel che dovrebbero attraversare l’ammasso roccioso intersecherebbero le fratture che alimentano le sorgenti con il conseguente depauperamento della riserva idrica e l’essiccamento delle sorgenti stesse». Contrario è anche Luca Mercalli, presidente della Società meteorologica italiana, che nelle Osservazioni al secondo progetto Rfi traccia Tac/Tav Settimo-Bruzolo ha messo in guardia dalle incognite ambientali insite nei lavori previsti, evidenziando che: «La zona di localizzazione dei cantieri presenta un elevato rischio idrogeologico legato sia alla dinamica delle piene maggiori della Dora Riparia […], sia a quello dei nubifragi estivi a carattere locale». Si sono espressi contro anche ottanta medici di base della Val di Susa, perché c’è il serio pericolo che aumentino tra la popolazione locale alcune malattie gravi (come l’asbestosi, il mesotelioma, il carcinoma polmonare), a causa della presenza, nelle zone in cui dovrebbero sorgere varie gallerie, di giacimenti di amianto (in base a quanto segnalato da uno studio del Centro di Geotecnologie dell’Università di Siena) e di uranio (stando alle informazioni fornite a suo tempo dal Cnr).
Oltre ai problemi ambientali e sanitari, la controversia si è scatenata anche intorno alla convenienza economica della nuova linea Torino-Lione. Secondo i suoi patrocinatori, in particolare l’Osservatorio Torino-Lione, il nuovo percorso, riducendo notevolmente i tempi di percorrenza, attrarrà gran parte del traffico di merci e passeggeri che ora si svolge in autostrada: conseguentemente diminuiranno i costi di trasporto delle merci e l’inquinamento provocato dai Tir. Il presidente dell’Unione industriale di Torino, Gianfranco Carbonato, ha fatto notare i benefici sull’occupazione derivanti dai lavori per la Tav, affermando che «la realizzazione della Torino-Lione avrà ricadute occupazionali importanti che si possono stimare in almeno 7-8.000 occupati, all’anno, solo nell’area torinese». Invece, Marco Ponti, docente di Economia dei trasporti del Politecnico di Milano, riferisce che le previsioni sul traffico della nuova linea sono modeste: «quattordici treni al giorno su una capacità di 300». E anche il giornalista Giorgio Meletti esprime le sue perplessità, sostenendo che «non è detto che la nuova ferrovia faccia diminuire i Tir: la Torino-Milano-Napoli non ne ha tolto uno dalla strada».
In conclusione, persistono forti dubbi sulla opportunità di realizzare grandi opere dai costi esorbitanti. Al di là di alcune legittime esigenze occupazionali e di ammodernamento delle strutture esistenti, si può ritenere che dietro i progetti faraonici si nascondano gli interessi della lobby che da anni gestisce i lavori pubblici in Italia e che mira esclusivamente a lucrare sui finanziamenti statali, senza badare molto alla qualità delle opere e alla loro compatibilità ambientale. Sarebbe più giusto provvedere a rimettere in sesto il territorio, devastato da decenni di speculazione edilizia e di cementificazione selvaggia, provvedendo alla corretta manutenzione delle strade e delle linee ferroviarie, ad esempio risolvendo, una buona volta, le scandalose carenze dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, i cui lavori di ristrutturazione risultano pressoché interminabili. Sarebbe, inoltre, auspicabile che su questioni di portata così ampia fosse tenuta nel giusto conto la volontà popolare, facendo ricorso allo strumento referendario e rispettando il diritto dei cittadini di esprimere, pacificamente, il proprio dissenso rispetto alle scelte attuate da chi governa.
L’immagine: una foto dello sgombero del presidio di Chiomonte, tratta dal sito http://italy.indymedia.org/it/index.shtml.
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno VI, n. 67, luglio 2011)
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