È facile farsi ingannare dai presunti aiuti e solidarietà provenienti dal colosso asiatico. Ma il coronavirus è nato lì. E il modello di sviluppo cinese fagocita tutti i paesi coinvolti e ne distrugge ambiente e tessuto sociale
Il primo aereo cinese, con a bordo dispositivi sanitari e qualche medico per far fronte all’emergenza sanitaria italiana, è atterrato a Fiumicino lo scorso 12 marzo. Da quel momento, è scattata la condivisione della notizia tramite media e social network, presentata spesso come un atto di generosità e di solidarietà disinteressata da parte di Pechino. L’ingenuità che ha accompagnato questo tentativo di diffondere l’immagine di una presunta Cina benefattrice ha francamente dell’incredibile.
Di beneficenza, infatti, non si è trattato; fin dai giorni precedenti l’arrivo in Italia di quell’aereo era chiaro che la parte più cospicua delle forniture, ovvero i costosissimi ventilatori polmonari e i grandi stock di dispositivi di protezione, era stata regolarmente acquistata. Un normale affare commerciale, insomma, che le tentazioni propagandistiche della Farnesina e il disperato – quanto comprensibile – bisogno del nostro Paese di intravedere solidarietà dall’esterno hanno tentato di trasformare in filantropia. L’aspetto potenzialmente pericoloso di tale operazione sta innanzitutto nella poca consapevolezza degli interessi geopolitici della Cina, la quale, ormai da moltissimi anni, profonde giganteschi sforzi tesi da una parte a opprimere il diritto di autodeterminazione dei popoli (le vicende di Taiwan, Hong Kong e del Tibet lo testimoniano quotidianamente) e, dall’altra, a instillare surrettiziamente il proprio potere economico-politico in altri continenti.
Il regime di Pechino ha conquistato la fiducia delle classi politiche africane – segnate tra l’altro da una corruzione di cui il Partito comunista cinese non è certo immune – e, in misura minore di altri Paesi in via di sviluppo, come il Brasile, grazie all’elargizione di regalie e grandi promesse di prosperità. A ben guardare, per ora ciò si è però tradotto principalmente nell’esplosione dell’indebitamento di quei Paesi nei confronti della Cina, nella compromissione del benessere ambientale a causa dello sfruttamento intensivo delle risorse naturali e nell’impossibilità di intravedere una prospettiva di sviluppo mutuale della sfera economica e di quella etico-politica, in particolare in tema di diritti umani.
Quel che dovrebbe preoccuparci nell’immediato, tuttavia, è la possibilità che la mano tesa della Cina possa far dimenticare che la pandemia di coronavirus – un evento epocale i cui effetti disastrosi devono in gran parte ancora presentarsi – è evidentemente una sua responsabilità e, al contempo, la testimonianza più viva della pericolosità del suo modello di sviluppo (vedi Giulio Meotti, Coronavirus: Il grande insabbiamento della Cina). Oltre a non ignorare il legame tra la diffusione dei virus e lo scempio degli ecosistemi naturali – ricostruito punto per punto nell’articolo del nostro direttore Rino Tripodi Perché il coronavirus (e perché in futuro ce ne saranno altri) –, come dimenticare i ritardi e le omissioni messe in opera dopo i primi segnali di diffusione dell’epidemia? Come potremmo scordarci degli undici giorni trascorsi dalla prima morte accertata dovuta a Covid-19 e l’ammissione pubblica della sua esistenza? Perché dovremmo tacere sulla censura subita da Li Wenliang, il primo medico cinese a lanciare l’allarme prima di ammalarsi e morire? Oppure sulla scomparsa nel nulla del magnate Ren Zhiqiang, reo di aver sbeffeggiato il presidente cinese Xi Jinping per la gestione dell’emergenza? Come potremmo infine scordarci che questa è la terza epidemia di origine cinese che il Ventunesimo secolo si trova a fronteggiare?
Ebbene, tutto pare possibile in un mondo ancora intriso di propaganda – persino in un momento disgraziato come quello attuale – e di interessi che confliggono con la sua stessa sopravvivenza. A maggior ragione in un Paese come l’Italia, suo malgrado alle prese, oltre che con i morti e il deperimento sociale, con un’Unione europea dilaniata da interessi particolari, più abile nell’escogitare trabocchetti economici che nell’affrontare il disastro che ci attende con lo spirito di collaborazione che richiederebbe.
Ciò non ci autorizzi però, presi dallo sconforto, a scambiare interessi commerciali per beneficienza, ad abbandonare la nostra indipendenza in favore di una solidarietà di facciata, a barattare quel poco che ci resta – comunque autentico – con una carta moneta fasulla. Il prezzo da pagare potrebbe essere una sudditanza mai vista prima nei confronti di un modello politico ed economico basato sull’indistinzione, all’interno del quale non vi è differenza tra una merce e un dono, tra un oggetto e un animale, tra una persona morta e una persona viva – perché entrambe potrebbero scomparire nel silenzio se qualcuno ne trovasse vantaggio. La responsabilità delle scelte prese, prima o poi, toccherà a tutti.
Christian Corsi
(LucidaMente, anno XV, n. 172, aprile 2020 – supplemento LM EXTRA n. 37, Speciale Coronavirus2)