Da quando sono sorti i primi agglomerati urbani, la campagna ha iniziato a registrare un lento ma costante svuotamento. Gli abitanti delle zone rurali abbandonavano il lavoro contadino per trasferirsi in città in cerca di condizioni di vita migliori, lasciando per sempre campi e boschi. Ora, invece, la tendenza sembra sia quella di ritornare alla natura, portandosi la campagna tra il cemento delle metropoli. Inizialmente singoli cittadini coltivavano basilico e verdure da vaso sui propri terrazzi e balconi. Adesso sono gli stessi comuni a mettere a disposizione degli abitanti appezzamenti di terreno.
Piccoli orti urbani crescono
Bologna, tra le città italiane, è stata da esempio nella promozione degli orti sociali destinati ai pensionati, aumentando progressivamente il numero di poderi coltivati, fino a contarne oggi più di tremila, distribuiti su otto quartieri cittadini. Grazie a questa iniziativa si strappano alla vegetazione infestante terreni in disuso e, contando sulla presenza dei proprietari degli orti, si tiene sotto controllo una zona altrimenti dimenticata e in via di degrado. Per quanto riguarda i “contadini di città”, invece, i benefici che ne traggono sono molteplici: dall’impiego proficuo del tempo libero alla creazione di nuovi legami sociali, dalla coltivazione di verdure di cui si conosce l’esatta provenienza alla partecipazione attiva e cooperativa.
Inoltre, negli ultimi anni, gli orti comunali si sono tramutati in un vantaggioso strumento di integrazione razziale, poiché anche gli stranieri hanno fatto richiesta per avere il proprio orticello. Cinesi, marocchini e pakistani ora coltivano le loro spezie e verdure a stretto contatto con gli anziani del luogo, che inizialmente guardavano scettici quelle piante così diverse dalle loro. Il convergere di culture differenti in uno spazio così ristretto ha fornito la possibilità alle associazioni culturali di organizzare ulteriori occasioni di incontro e socializzazione con la comunità circostante, come è avvenuto a Crespellano lo scorso 24 maggio: l’associazione Anassim, donne native e migranti delle due sponde del Mediterraneo, ha presentato “Coltiviamo/ci Insieme”, un progetto appunto sugli orti urbani realizzato con il sostegno della provincia di Bologna.
I gruppi di acquisto solidale
Sulla scia di questa nuova iniziativa, che rappresenta l’alternativa su piccola scala alla grande agricoltura intensiva, sono nati i Gas, ovvero i Gruppi di acquisto solidale. Questi gruppi sono formati da un insieme di persone che decidono di incontrarsi per acquistare all’ingrosso prodotti alimentari o di uso comune, da ridistribuire tra loro, orientando i loro acquisti collettivi verso piccoli produttori locali rispettosi dell’uomo e dell’ambiente. In pratica azzerano la filiera agroalimentare e acquistano solo prodotti biologici di stagione.
Il funzionamento di base di un Gas è semplice: i partecipanti, che spesso devono essere iscritti all’associazione che segue il gruppo, definiscono in primo luogo una lista di prodotti su cui intendono eseguire gli acquisti collettivi; in base a questa lista, le diverse famiglie o persone compilano un ordine, il quale viene raccolto insieme ad altri per definire un ordine di gruppo da trasmettere al produttore. Quando arriva, la merce viene suddivisa tra le famiglie membri e ognuno paga la sua parte. Comodo, sano, giusto.
Gioie e dolori
Il rapporto che si stabilisce dopo decenni di duro lavoro tra il contadino e la terra è qualcosa di viscerale, è fatto di pazienza, attenzione e riconoscenza. È qualcosa che diventa necessario, è un richiamo inconscio, seppur latente e assopito. Così è stato per il signor Renato, settantenne della provincia di Bologna quando ha saputo che poteva avere un piccolo orto a sua completa disposizione. Non gli sembrava vero di poter risentire l’odore acre della terra appena zappata: «Questo è stato il lavoro di tutta la mia vita, ora diventa un passatempo… che però fa mangiare meglio me e la mia famiglia, perché poi i zuchetti e al patèd dal nùn li chiedono anche i nipoti!».
L’amarezza sorge quando una mattina d’estate, arrivando di buon’ora all’orto per sfruttare le ore fresche della giornata, ci si accorge subito che qualcosa non va: «Il cancelletto era aperto, più che altro era storto – ci racconta il signor Mario, un arzillo pensionato che da tempo coltiva il suo orto – e poi non c’era più niente. Niente pomodori, niente meloni, niente cetrioli. Avevano rubato tutto. Spero almeno che se li siano goduti». Purtroppo, episodi del genere non sono così sporadici come si pensa, ma, se non altro, creano un’alleanza e un rapporto privilegiato tra i coltivatori, i quali hanno, verso gli orti altrui, le stesse premure che dedicano ai propri.
L’immagine: “preziosi” orti comunali.
Jessica Ingrami
(LM MAGAZINE n. 9, 15 ottobre 2009, supplemento a LucidaMente, anno IV, n. 46, ottobre 2009)