Chiusa l’edizione 2011 del XVIII seminario formativo per giornalisti del Redattore Sociale sui temi del disagio e della marginalità
Dal 25 al 27 novembre si è svolto presso la Comunità di Capodarco di Fermo il seminario Bulimie. Dalle abbuffate virtuali alla sobrietà dell’informazione, organizzato dall’Agenzia giornalistica Redattore Sociale per celebrare i suoi dieci anni di attività. Il giornalismo virtuale ci nutre compulsivamente con poche notizie, cronaca frammentata, dichiarazioni e opinioni. Come difendersi e mantenere un filtro critico? Tutta questa comunicazione serve a qualcosa o è semplicemente legata a un’altra bulimia, quella del consumismo?
In apertura Ennio Remondino, giornalista Rai in pensione, ha ricordato il suo collega e amico Roberto Morrione, a pochi mesi dalla sua scomparsa, e gli anni nei quali non vi erano alla Rai individui come Augusto Minzolini, ma in cui, rischiando in prima persona, si poteva diventare da un giorno all’altro inviato di guerra. Come è accaduto a lui in seguito ai dati raccolti sulla strage di Ustica. Molti giovani giornalisti in sala non sono, però, stati d’accordo con Remondino quando ha affermato che essi non sono più disposti a muoversi dalla propria poltrona e dal proprio computer per reperire dati e informazioni. Forse ha dimenticato un particolare importante: la precarietà economica e lavorativa in cui versano i giovani operatori dell’informazione.
Ospite d’eccezione, venerdì pomeriggio, è stato Mario Dondero, maestro della fotografia italiana, famoso per i suoi ritratti a personaggi dello spettacolo, del cinema e dell’arte in generale. Pur essendo a favore del digitale, in quanto più democratico (non dovendo comprare rullini, né svilupparli obbligatoriamente), egli preferisce comunque fotografare la povertà del mondo in bianco e nero. Ama infatti la denuncia sociale, ma non l’estetica. Critica quei fotografi che cercano di incapsulare i volti e le persone, che invece vanno trattati con dovuto rispetto. Disapprova Sebastião Salgado e Henri Cartier–Bresson perché troppo artistici: dalle loro foto non traspare la miseria dei luoghi che fotografano.
Sabato mattina si sono alternati vari workshop a scelta. Noi abbiamo partecipato alle Tecniche per l’inchiesta sociale, seguendo l’intervento di Andrea Bajani, scrittore italiano trentacinquenne, il quale si è cimentato nella stesura di romanzi che raccontano la precarietà e i problemi dei suoi coetanei o di coloro che sono poco più giovani. Il suo intento è quello di sgretolare i pregiudizi tipici su quella fascia d’età e i suoi scritti scaturiscono dal fastidio che prova ogni volta che legge o ascolta in televisione notizie di tragedie, avvolte da una patina romanzesca per indorare la pillola ed evitare che il lettore o lo spettatore si trovino di fronte alla cruda realtà, perché altrimenti non sarebbero in grado di affrontare né di gestire le emozioni che suscita. Secondo Bajani, la bulimia di cui si parla sottintende un’ipnosi di fondo: infatti, catatonici, ascoltiamo le notizie, con le quali ci bombardano e ci anestetizzano a poco a poco. Questo renderebbe facile la vita ai giornalisti: pochi approfondimenti e solo attraverso soggetti collaterali ai fatti (associazioni, cittadini), poco con i protagonisti degli stessi.
Frieda Brioschi, presidente di Wikimedia, ha poi introdotto il tema dei social network, «croce e delizia dei giornalisti». In particolare ha fatto riferimento a Twitter, dove si condividono informazioni in pillole (massimo 140 caratteri) e si creano discussioni su un tema supportato da un ashtag (parola chiave). Molte notizie vengono pubblicate prima dai social network piuttosto che dagli stessi giornalisti, i quali, in ogni caso, hanno a disposizione informazioni fresche e possono instaurare un dialogo con i propri lettori. Un ex giornalista, successivamente, ha ricordato quanta intensità sia contenuta in Mi illumino d’immenso di Ungaretti, una poesia di pochi caratteri come i messaggi che passano in Twitter, di cui ha preso le difese. La bulimia è uscita vincitrice del workshop, a patto che vengano sempre verificate le fonti. Resta da chiedersi quanto poco tempo rimanga per la vita sociale reale e le relazioni face to face in questa abbuffata di social network…
Immagine simbolo delle abbuffate televisive è il video Il corpo delle donne (consultabile interamente in internet) di Lorella Zanardo. Imprenditrice italiana a lungo impiegata all’estero, al suo ritorno in patria qualche anno fa ha acceso la televisione ed è rimasta inorridita di fronte a tanta volgarità e a un uso perlopiù strumentale del corpo femminile. La Zanardo si è chiesta dove si sia nascosta la sua generazione quando si stava perpetrando lo scempio che ha condotto ai palinsesti attuali. Da questa indignazione è nato il suo documentario, che sta facendo il giro del mondo e delle scuole, allo scopo di educare e far riflettere i più giovani.
Discutibile l’intervento di Renato Soru, imprenditore sardo e politico, fondatore di Tiscali, intervistato da Marino Sinibaldi di Radio Tre. Egli ha mostrato la sua dualità, parlando dapprima di sobrietà nei consumi, di decrescita felice, riprendendo il discorso di Achille Rossi, filosofo e anch’egli relatore al seminario, e domandandosi in quali condizioni lasceremo ai nostri discendenti la Terra. La caduta di stile ha avuto inizio con l’intervento di una giornalista freelance, che ha informato dei mancati pagamenti ad alcuni collaboratori de L’Unità, di cui Soru è azionista e di un conseguente sciopero avvenuto lo scorso ottobre. L’imprenditore ha dapprima negato di essere a conoscenza dei fatti, ma poi, mentre in precedenza aveva sostenuto che il quotidiano gode di buona salute, ha fatto notare che quanto riportato dalla giornalista è indice dei problemi economici che attanagliano la carta stampata. Soru ha concluso l’intervento ammettendo che forse sarebbe meglio chiudere L’Unità per non incappare in domande scomode come questa…
Abbiamo deciso di concludere questo excursus sul seminario di Fermo tralasciando volutamente il dialogo tra don Vinicio Albanesi, fondatore della Comunità di Capodarco, e Marco Tarquinio, direttore dell’Avvenire, sul cristianesimo oggi, per soffermarci invece sull’intervento di Enzo Iacopini, presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti. Un discorso incisivo, incentrato sull’etica del lavoro dei cronisti e sui loro comportamenti civili. Iacopini li ha incoraggiati a denunciare agli ordini regionali lo sfruttamento esercitato nei loro confronti da alcuni quotidiani (tre euro lordi ad articolo, a volte anche meno), invitandoli a non sottomettersi alle leggi di mercato né a quelle dell’informazione che pretende solamente di pubblicare scandali attraverso le intercettazioni. Egli si è impegnato personalmente a evitare che giornalisti in pensione o in prepensionamento continuino a ricoprire importanti cariche, escludendo quelli più giovani dalla possibilità di far carriera o semplicemente di ricevere un contratto o un compenso dignitoso.
Le immagini: alcuni momenti del seminario tratti dal sito http://www.giornalisti.redattoresociale.it/ (foto di Roberto Sollini).
Francesca Gavio
(LucidaMente, anno VI, n. 72, dicembre 2011)