A proposito della cruciale problematica oppressione/libertà, interessante è il libro di Jan A. Hate Jor. Romanzo di non formazione (inEdition editrice/Collane di LucidaMente, pp. 128, € 13,00), decima uscita della collana di narrativa La scacchiera di Babele. Inizialmente, infatti, nel romanzo intriso di surrealismo ed estrosità stilistica, appaiono due personaggi, rappresentanti uno l’ordine, la razionalità, il conformismo, la prudenza, l’altro la creatività, l’arte, l’eccentricità, la spontaneità, la vitalità, l’istinto (freudianamente, si potrebbe parlare di Super Io ed Es?).
L’opera è preceduta da una Introduzione di Riccardo Sforza, intitolata La stupidità rende liberi? (forte è la tentazione di rispondere affermativamente), che riportiamo per intero di seguito.
Nicolaus Notabene ebbe modo di suggerire, a coloro che sono usi saltare le prefazioni, di estendere l’ampiezza del salto sino al libro stesso nella sua interezza. L’avvertimento di Kierkegaard fa buon gioco alle intenzioni di questa introduzione.
E’ dato per assodato che molti lettori sono soliti ignorare le pagine introduttive, ma forse questo avviene in ragione del timore – sin troppo spesso rivelatosi fondato – che il prefatore provi un qualche sadico piacere nell’esporre la sinossi del libro in questione e, travolto da un delirio d’onnipotenza, non lasci al lettore nemmeno il minimo dubbio circa l’esito delle vicende di lì a poco narrate.
Non ho intenzione di raccontarvi la fine.
Vi darò solo qualche breve ragguaglio sulla trama. Promesso.
Fatto salvo questo, il mio scopo sarà quello di fornirvi di uno strumento che vi permetta di apprezzare i pensieri sottotraccia dell’autore. Si tratta degli stessi pensieri di quanti non esitano a chiedersi se nel testo non si nasconda un certo…
“[…] fantasmino che si cela dietro le parole e che solo con la lettura può essere scoperto”.
Andiamo a iniziare.
Il libro ci mette a conoscenza delle peripezie di un personaggio che viene chiamato enigmaticamente Jor. Le vicende che lo vedono protagonista, lo portano a compiere un cammino che ha come scopo quello di arrecare la felicità alle persone che incontra strada facendo. Ma chi è Jor? Un personaggio, un luogo, un tempo in cui accaddero o accadranno le cose? E se si trattasse davvero di un personaggio, è portatore di un qualche messaggio sensato, oppure è solo il risultato di un divertissement letterario, il frutto generato della fantasia senza giogo dell’autore?
Nel tentativo di formulare una risposta a tali quesiti, che del resto almeno in parte penso rimarranno aperti, anticipiamo ancora qualcosa a proposito della trama. Solo l’indispensabile. Promesso.
All’interno del romanzo, Jor ha modo di confrontarsi con una sequela di personaggi che sono palesemente insoddisfatti della loro vita. Nell’intento di aiutarli, egli propone loro delle soluzioni ad hoc. Brevi e mirati consigli, capaci di risolvere le problematiche che li angustiano. Le parole di Jor sembrano calare sui personaggi dall’alto di una prospettiva di comprensione superiore. Eppure, l’invincibilità del protagonista, in cui diventa palese la piattezza dei tratti volutamente allegorici del paladino, sarà in qualche modo messa in discussione. Sarà proprio tale discussione che porterà il lettore, e lo stesso Jor, a mettere in dubbio anche la veridicità del messaggio del nostro “paladino”.
Ma qual è, ammesso che sia degna di buona fede, la verità parziale del messaggio di Jor?
Il problema è il nostro modo di intendere il mondo attraverso la sola ragione. L’autore lo dice chiaramente:
“Il perché di tutto ciò? E’ l’ultima cosa che c’interessa sapere in quanto i “perché” sono sempre le domande più sbagliate del mondo […]”.
E ancora, più avanti nel testo:
“E già qui sapeva di sbagliare perché… appunto, questa domanda del cazzo che inizia con la parola “perché” è la trappola da cui beatamente sgorgano tutti i più lugubri ragionamenti logici“.
Jor, e forse in qualche modo anche l’autore – sta a voi decidere la validità dell’accostamento – individuano il motivo del malessere dell’uomo moderno nell’utilizzo della sola ragione calcolatrice e progettante. Così facendo, riprendono una delle tematiche care a tanta parte del pensiero occidentale, sviluppatasi nell’età contemporanea a partire dall’esperienza dell’Esistenzialismo tedesco.
La ragione, che normalmente viene considerata alla base di ogni nostro atteggiamento o decisione, per Jor diventa un’inutile trappola. Una trappola, di sapore tipicamente nietzschiano, che non ci consente di stupirci dinanzi alla meraviglia della vita, è una trappola che divora le sensazioni riducendole solo a canoni e regole di una comprensione certa e oggettiva:
“E’ una sensazione e quindi lasciamo che resti tale, perché spiegandola non è più una cazzo di bellissima sensazione, ma un cazzo di cazzutissimo ragionamento del cazzo“.
Intendere il nostro modo di stare al mondo attraverso la sola ragione può portarci a perdere il mondo stesso. Il nostro pensiero diventa “pensiero di qualcosa” celandoci in questo modo tutte le altre possibilità di comprendere la nostra esistenza:
“Il mondo aveva perso importanza e la sua mente con il piccolo, piccolissimo problema che aveva, attirava tutta la sua attenzione“.
A questo punto, riprendendo idee che sono care al pensiero greco delle origini, Jor richiama in gioco la meraviglia della vita, la meraviglia del mondo che è senza giustificazione e senza direzione. Il mondo è:
“[…] l’incredibile che non ti sconvolge”.
Forse è proprio questo il misterioso “fantasmino” che si cela tra le parole, l’enigma contenuto in ogni testo e ugualmente ricercato sia dall’autore che dal lettore? L’accettazione del fatto che il mondo non abbia senso, che la sofferenza sia ineliminabile dalla condizione umana e che la ragione non sia verità, ma – come direbbe Schopenhauer – una “maschera” di cui ci serviamo per poter vivere di fronte all’insensatezza del tutto.
La soluzione proposta da Jor per liberarci dalle maglie della razionalità, potrebbe suonare strana: essa è la stupidità.
“Della stupidità che avete dentro
che non è sempre cosa brutta.
Essa,
essa è la via per capire […]”.
È la stupidità che libera dal dubbio cartesiano:
“È la mancanza dei dubbi
dei dubbi che sono il germe della logica razionale […]”.
Ed è la stupidità che, per chiare ragioni etimologiche, rintracciabili nella comune origine dal verbo stupere, ci può forse ricondurre a quello stupor che è meraviglia, stupore dinnanzi al fatto che il mondo esista pur essendo senza senso e non avendo un creatore verso cui tendere per una giustificazione finale. Si tratta di una meraviglia che è anche “spaesamento” e forse, può farci perdere ancora una volta in un mondo finalmente aperto di nuovo dinanzi ai nostri occhi.
Ma se questo è il messaggio che un lettore come me crede di intravedere nelle parole, o meglio “dietro le parole” nell’intenzione di stanare il famigerato “fantasmino”, non riesco ancora a decidere se le parole di Jor contengano davvero un messaggio, oppure siano provocatoriamente un divertissement, la cui funzione si esaurisce nel momento stesso in cui comprova la stupidità di chi si assilli a cercarne un reale significato.
La domanda è destinata a rimanere aperta.
Anzi, credo che la forza del libro stia in questo: costringe ad assumere una posizione; e questo non è poco.
Dal canto mio, ricercare un “significato reale” potrebbe intendersi come ricadere in quel baratro proprio della logica dal quale l’autore stesso vuole metterci in guardia. Jor comunica un messaggio, ma parla “oltre il senso” e ricercare un significato nelle sue parole è già ricadere in quel dominio della ragione dal quale lui cerca di sottrarci.
Iniziate davvero a chiedervi se la stupidità rende liberi?
(Riccardo Sforza, Introduzione a Jor. Romanzo di non formazione, inEdition editrice/Collane di LucidaMente)
L’immagine: la copertina dell’originale pubblicazione di Jan A. Hate.
Simone Jacca
(LucidaMente, anno IV, n. 38, febbraio 2009)