Qualche valutazione sulle recenti elezioni britanniche: per un socialismo antiglobalizzazione selvaggia
Pur mettendo in nota alcuni interrogativi, tra cui le trascorse esitazioni sull’Unione europea, Jeremy Corbyn mi è stato sempre simpatico, forse per il suo modo schietto di parlare, forse perché finalmente in Europa c’era qualcuno che “diceva qualcosa di sinistra” senza però rintanarsi nelle nostalgie rivoluzionarie ampiamente inattuali e già giudicate e condannate dalla storia.
Corbyn ha interpretato chiaramente ciò che vorrebbe la gente comune, quella che lavora o che il lavoro lo cerca invano, quella sacrificata dalla globalizzazione selvaggia, quella relegata a puro strumento cinicamente utilitaristico e funzionale alla speculazione finanziaria, quella delle masse anonime costituite da ragazze, ragazzi, anziani, diversificati dai dati anagrafici e dal genere ma accomunati dalle frustrazioni del presente e dalle preoccupazioni per il futuro. Il socialismo di Corbyn non è old style, cioè vecchia maniera, nonostante diversi commentatori, ben integrati nelle distonie del “sistema”, si siano affannati a sostenere. Corbyn intende non disperdere le conquiste sociali faticosamente ottenute. Si tratta di conquiste sociali senza tempo: sono quelle e basta.
Così come non sono desuete le indicazioni di Giuseppe Saragat (una per tutte: «Case, Scuole, Ospedali»); oppure di Sandro Pertini quando ammoniva che «La libertà senza la giustizia sociale è una conquista fragile, che si risolve per molti nella libertà di morire di fame». Corbyn è stato criticato aspramente e ingiustamente, trattato villanamente, accusato di essere fuori dalla logica dei tempi, di non avere l’età idonea per essere un leader politico. Invece ha avuto successo soprattutto grazie al sostegno dei giovani, evidentemente stanchi di una politica demagogica e bugiarda che, in Italia ma non solo, invoca la “rottamazione” per gli avversari mentre, se conviene, è assolutamente indulgente verso chi ripete gli errori.
Certamente, Corbyn non è un ragazzino. Ma proprio la sua lunga militanza politica dimostra e garantisce coerenza e fermezza. E dà fiducia, cosa che viceversa non la danno certe “new entries”, le quali fanno della promessa lo scopo della politica, prescindendo dalla realizzazione. Si tratta, ben inteso, di “new entries” necessarie all’avvicendamento generazionale; talvolta si tratta di “talenti” importanti, talaltra si tratta di giovani (uomini e donne) che affascinano per la loro genialità intuitiva, per la rapidità con cui apprendono il ruolo politico… Salvo poi deludere allorché si constata che della politica hanno imparato tutto e presto, peccato, però, che ne abbiano compreso e assimilato in primo luogo gli aspetti sbagliati. Infine, c’è un interessante lato culturale di Corbyn: non respinge, non rifiuta le intuizioni di Karl Marx.
Tra i danni apportati dalla “epopea” (si fa per dire) comunista, c’è anche quello postumo di avere aperto la porta ai propugnatori, in buona o in male fede, degli stereotipi superficiali cui non corrispondono dati oggettivi. Le critiche motivate al marxismo e alle sue derivazioni deteriori (cominciando dal leninismo), sono successive e vanno distolte dal pensiero originario di Marx. In modo sostanzialmente non dissimile all’opinione di Corbyn, da parte mia (l’ho ricordato in alcune occasioni) non mi sento né sono marxista, ma non mi sento estraneo al termine marxiano, poiché considero cheabbianotuttora importante significato il metodo d’indagine e la riflessione filosofica, politica, economica – sociale, quindi – sviluppati da Marx.
Il futuro prossimo ci dirà se il successo di Corbyn abbia aperto una nuova fase in Europa. Limitiamoci per ora a constatare, dopo tante delusioni, che in Gran Bretagna è avvenuta una imprevista inversione di tendenza. Dopo le sconfitte di vario tipo subite dalle posizioni progressiste in Francia, Spagna, Germania, e non di meno in Italia, il risultato delle elezioni nel Regno Unito è confortante sia per l’aspetto quantitativo dei voti ottenuti dai laburisti sia perché viene premiata una linea politica e sociale priva di equivoci o compromessi. Si tratta di una linea tracciata dalla democrazia, dalla libertà e dalla giustizia civile (in primis il lavoro), che vuole ripresentare da subito e in concreto il volto genuino e progressista del socialismo democratico. Senza mediazioni né arretramenti.
Franco Franchi – Partito socialista italiano – Bologna
(LucidaMente, anno XII, n. 138, giugno 2017)