Nel saggio-inchiesta “Doppio livello” (Chiarelettere), Stefania Limiti parla della “strategia della tensione” e delle trame eversive che hanno destabilizzato il nostro Paese
L’Italia è uno stato libero oppure “a sovranità limitata”? La democrazia è esistita davvero nel Belpaese dopo il 2 giugno 1946? Come si spiegano gli atti terroristici che lo hanno insanguinato, per oltre quarantacinque anni, tra il 1947 e il 1993? Per trovare le risposte a queste inquietanti domande invitiamo i lettori a leggere Doppio livello. Come si organizza la destabilizzazione in Italia (Chiarelettere, pp. 484, € 18,60), saggio-inchiesta scritto dalla giornalista romana Stefania Limiti.
Il volume passa in rassegna le trame eversive e i delitti eccellenti avvenuti nel Belpaese, a partire dall’eccidio di Portella della Ginestra (1947), passando attraverso gli anni della “strategia della tensione” (1964-1984), fino a giungere alle stragi mafiose del 1992-93. La Limiti sostiene che nell’Italia repubblicana sia esistito un “doppio livello” di gestione del potere, uno palese e l’altro occulto. Le sue tesi sono suffragate dai risultati delle indagini condotte dai magistrati, dalle dichiarazioni di mafiosi e terroristi pentiti, dalle testimonianze di politici e di agenti dei servizi segreti, sia italiani che stranieri. A ordire le stragi, i tentativi di golpe e i ricatti politici sono stati soprattutto l’Office of Strategic Services (Oss) e la Central Intelligence Agency (Cia), i servizi di sicurezza degli Usa che, dopo il 1945, hanno adottato «un piano speciale di contrasto ed emarginazione della sinistra in Italia». Non a caso, dunque, il dirigente del Partito socialista italiano Rino Formica, dopo la strage ferroviaria del Natale 1984, rilasciò dichiarazioni clamorose: «Ci hanno mandato a dire che l’Italia deve stare al suo posto sulla scena internazionale. […] Ci hanno ricordato che siamo e dobbiamo restare subalterni».
Queste ingerenze sono state esercitate principalmente negli anni della Guerra fredda, tuttavia sono continuate anche dopo la dissoluzione dell’Urss (1991). Gli strumenti con cui è stata combattuta questa «guerra non ortodossa» sono stati essenzialmente due: il terrorismo politico e i depistaggi, orchestrati al fine di inquinare le prove, disorientare gli investigatori e gettare la colpa su comodi “capri espiatori”, escogitando ad hoc delle «false bandiere». Secondo la Limiti, strumenti di tale strategia sanguinaria sono stati, in una prima fase, i gruppi eversivi neofascisti (Avanguardia nazionale, Fronte nazionale, Movimento di azione rivoluzionaria, Nuclei armati rivoluzionari, Ordine nero, Ordine nuovo, Squadre d’azione Mussolini) e alcuni settori dell’estrema sinistra (in particolare anarchici e brigatisti rossi), nei quali erano stati abilmente infiltrati provocatori e agenti dei servizi segreti. In una seconda fase, invece, sono state soprattutto la malavita organizzata (banda della Magliana, banda della Uno bianca, Cosa nostra) e misteriose entità criminali (Falange armata, Unabomber) a seminare il panico tra la popolazione italiana.
Gli esecutori materiali degli attentati alcune volte sono stati individuati, come nelle stragi di Gioia Tauro (1970), di Peteano (1972), della questura di Milano (1973), di via Fani (1978), della stazione di Bologna (1980), del rapido 904 (1984), di Capaci e di via D’Amelio (1992). Tuttavia, dietro i killer sono spesso emersi, come mandanti o complici occulti, settori deviati dei servizi segreti, logge massoniche (P2), organizzazioni paramilitari (Gladio, Nuclei per la difesa dello Stato, Rete di agenti atlantici, Rosa dei venti) e strutture eversive internazionali (Aginter Press, Hyperion). Del resto, la “strategia della tensione” non ha destabilizzato soltanto l’Italia, ma ha colpito anche altri stati europei, accanendosi contro governi e uomini politici restii a sottomettersi ai diktat di Washington. L’autrice, infatti, ritiene che siano stati, in qualche misura, “eterodiretti” da vari servizi segreti occidentali anche l’omicidio di Luis Carrero Blanco in Spagna (1973), la strage dell’Oktoberfest a Monaco di Baviera (1980), le sanguinose rapine della banda del Brabante-Vallone in Belgio (1982-1985), l’assassinio del premier svedese Olof Palme (1986), l’attentato di Lockerbie in Scozia (1988).
La regia occulta di questi efferati crimini è sempre stata la stessa: «un’efficiente e invisibile organizzazione», che ha voluto impedire agli stati sottoposti all’influenza statunitense di agire autonomamente. Il libro si chiude con alcune rivelazioni sugli omicidi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e sugli attentati mafiosi che sconvolsero nel 1993 Firenze, Milano e Roma: ad architettare questi spietati delitti sarebbero stati non solo gli uomini di Cosa nostra, ma anche personaggi legati ai servizi segreti. A tal proposito, Luca Cianferoni, avvocato di Totò Riina, ha svelato all’autrice quanto segue: «La strage di Capaci è al 90 per cento di mafia, il resto lo hanno messo gli altri. Per quella di via D’Amelio siamo 50 e 50 e per le stragi sul continente la percentuale mafiosa scende vertiginosamente». Doppio livello dimostra, in modo inoppugnabile, che l’Italia è stata sempre condizionata dai poteri occulti, i quali ne hanno ostacolato il progresso economico-sociale, relegandola in una posizione marginale nel contesto internazionale.
Le immagini: l’orologio della stazione di Bologna bloccato sull’ora dell’attentato del 2 agosto 1980; la copertina del libro di Stefania Limiti; lo stemma della Cia.
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno VIII, n. 89, maggio 2013)