La “Dichiarazione universale”, emanata dall’Onu nel 1948, non è stata accettata dagli stati musulmani, dove, pertanto, imperano l’intolleranza e le discriminazioni basate sulla “sharia”
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«Il più grande ostacolo dell’islam a qualsiasi progresso verso i diritti umani internazionali è Dio […], è la venerazione per le fonti, il Corano e la Sunna. Nella Dichiarazione islamica universale dei diritti dell’uomo (Uidhr), ci viene detto che è la rivelazione divina che ha fornito la cornice legale e morale all’interno della quale stabilire e regolare le istituzioni e i rapporti umani. Gli autori della Uidhr sminuiscono la ragione umana, che viene giudicata essere una guida inadeguata per gli affari dell’umanità, e insistono che gli insegnamenti dell’islam rappresentano la quintessenza della norma nella sua forma definitiva e perfetta» (Ibn Warraq).
La Dichiarazione universale dei diritti umani, approvata dall’Assemblea generale dell’Onu il 10 dicembre 1948 e firmata a Parigi, è senza dubbio il documento che segna la tappa fondamentale nell’affermazione dei diritti dell’uomo. Tuttavia, non si può affermare che i diritti umani siano nati nel 1948, perché ciascun diritto proclamato nella Dichiarazione è frutto di una lunga riflessione storica. Il viaggio dei diritti umani è stato un percorso lungo e accidentato, un percorso millenario, che ha visto luci splendenti e ombre avvolgenti. Dal Codice di Hammurabi, scritto in Mesopotamia intorno al 1780 a.C., che già riportava argomenti in favore dei diritti delle donne e dell’infanzia, al Cilindro di Ciro, che è riconosciuto come il primo esempio riguardante i diritti umani, con l’abolizione della schiavitù, passando per il pensiero dei filosofi greci (stoici), per le riflessioni ciceroniane e le elaborazioni teoriche di Locke, Montesquieu, Rousseau, si è giunti al Novecento con la necessità di un’universalità d’intenti che potesse fare da base, dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale, a una nuova visione del mondo e dell’uomo. La Dichiarazione è stata il traguardo di un cammino millenario, l’affermazione definitiva che esistono dei diritti basati su un concetto di dignità umana innata e universale.
L’Afghanistan del periodo talebano è stato l’emblema della violazione di qualunque diritto; i paesi del Golfo persico si caratterizzano per la tirannia dei governi, la violenza contro gli oppositori, gli arresti indiscriminati, le torture, le esecuzioni; in Turchia il popolo curdo ha subito veri e propri atti di sterminio; molti Stati dell’America latina continuano a subire le conseguenze delle passate dittature; nei paesi del Centro America, in particolare in Guatemala, Salvador, Messico e Honduras, dove la maggior parte della popolazione è di origine india, alle fasce più deboli e più povere è impedito l’accesso alle risorse minime per la sopravvivenza. Negli Stati Uniti, paladini della democrazia, dell’uguaglianza e delle libertà internazionali, i cittadini di colore continuano a essere discriminati. Intere aree del mondo come i Balcani, l’ex Unione Sovietica o l’Africa centrale sono destabilizzate da sanguinosi movimenti secessionisti, da guerre intestine, genocidi e spostamenti forzati di popolazioni. In Cina, i diritti umani vengono calpestati quotidianamente e l’opposizione è stata schiantata con il sangue, come la tristemente famosa piazza Tienanmen ci ricorda.
I diritti umani non sono legati a una prospettiva culturale, sono universali, come scrive Abraham Irvin Melden nel suo Human rights: «Essi sono diritti di cui gli esseri umani godono per il semplice fatto di essere degli esseri umani, e in maniera del tutto indipendente dalle loro variabili posizioni sociali e gradi di merito». Nell’islam non vi è mai stata una discussione critica sui diritti umani, perché qualsiasi diritto è regolamentato dalla sharia. Come afferma il già citato Ibn Warraq nel suo Perché non sono musulmano: «All’interno dell’islam niente di simile a questi concetti si è mai sviluppato. Gli esseri umani hanno dei doveri, dei doveri nei confronti di Dio; solo Dio ha dei diritti. All’interno dell’islam non esiste niente di simile all’equanime diritto di tutti gli uomini a essere liberi. In nessuna parte delle moderne discussioni musulmane esiste un chiaro resoconto di come i diritti umani possono essere derivati dai doveri descritti nella sharia».
L’islam ha adottato una prospettiva marcatamente ideologica e ha sentenziato un’assoluta incompatibilità con la laica Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, adottando una propria dichiarazione, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo nell’islam, proclamata, sempre a Parigi, il 19 settembre 1981, cui ha fatto seguito, nel 1990, la più sintetica (ma altrettanto retriva) Dichiarazione del Cairo dei diritti umani dell’islam. Ciò che ci interessa far risaltare è la differenza sul tema dei diritti umani fra i paesi musulmani e il resto del mondo. È vero che in molti stati occidentali, come abbiamo visto precedentemente, alcuni diritti non vengono rispettati, ma nell’islam la quasi totalità dei diritti accettati come universali dall’intera umanità vengono calpestati, oggi come quattordici secoli fa.
Per sottolineare l’enorme divario, in tema di diritti umani, fra gli stati occidentali e gli stati islamici, dobbiamo spostarci da un piano teorico a un piano pratico. Proviamo a considerare la più volte citata Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 e confrontiamola con le leggi e le dottrine islamiche. All’articolo 1 la Dichiarazione dice: «Tutti gli esseri umani nascono liberi e eguali in dignità e diritti». Nell’islam tutti gli esseri umani non sono uguali in dignità e diritti. Le donne, per l’islam, sono inferiori per natura. Nel Corano, sura II, Al-Baqara (della vacca), versetto 228, si afferma: «Esse agiscano coi mariti come i mariti agiscono con loro, con gentilezza; tuttavia gli uomini sono un gradino più in alto». Il Corano, inoltre, nega il diritto della donna ad avere pari eredità con gli uomini, considera le donne inferiori da un punto di vista intellettuale decretando che la loro testimonianza non è ammissibile in una corte legale a meno che non sia accompagnata da quella di un uomo. Inoltre, i movimenti delle donne sono limitati ed esse non possono sposare un uomo non-musulmano.
L’articolo 2 della Dichiarazione sancisce: «A ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione». Nei paesi islamici, i non-musulmani sono soggetti a una condizione inferiore; ad esempio, essi non possono testimoniare contro un musulmano. In Arabia Saudita ai non-musulmani viene proibito di praticare il proprio credo, edificare luoghi di culto, e anche possedere simboli religiosi può essere pericoloso. L’articolo 3 della Dichiarazione afferma: «Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona».
Nell’islam gli atei, gli apostati e gli omosessuali non hanno il diritto alla vita. Essi devono essere puniti con la morte. L’ateismo è considerato, come il peccato più grave, maggiore del furto, dell’adulterio, dell’omicidio. L’articolo 5 della Dichiarazione così recita: «Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o punizioni crudeli, inumane o degradanti». Tutti abbiamo davanti gli occhi le immagini dell’orrore provenienti dai paesi islamici: torture di ogni genere, amputazioni, impiccagioni, crocifissioni, lapidazioni, flagellazioni, attentati suicidi e omicidi di massa. Nell’articolo 6 della Dichiarazione si legge: «Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica». Nell’islam il diritto va inteso come diritto della comunità (umma), non della persona. L’islam non conosce la parola “persona”, il suo sinonimo è fard (individuo). Il fard è parte integrante e dipendente della grande società islamica. Soltanto all’interno della umma egli ha diritti e doveri. Se abbandona la religione per ateismo o apostasia, perde tutti i suoi diritti, anzi, è passibile di morte. Gli articoli 7, 8, 9, 10 e 11 della Dichiarazione parlano dei diritti giuridici dell’uomo.
Nella sharia il vendicare un’uccisione è ufficialmente e socialmente approvato. L’omicida è punito con la legge del taglione, la quale, a discrezione della famiglia della vittima, può essere sostituita dal prezzo del sangue. Il procedimento legale islamico, poi, non può essere considerato giusto e imparziale, per via delle numerose violazioni delle regole più elementari in fatto di testimonianza. Un non-musulmano, infatti, non può testimoniare contro un musulmano. L’articolo 16 della Dichiarazione così dice: «Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento».
Il matrimonio islamico non è qualcosa di paritario, le donne non sono libere di sposare chi desiderano e le possibilità di divorzio non sono eque. L’articolo 18 della Dichiarazione parla delle libertà fondamentali: «Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo». Nelle società islamiche non si può cambiare religione se si è nati musulmani. L’apostasia è punita con il carcere o addirittura con la morte. Al convertito vengono negati la maggior parte dei diritti personali: spesso gli vengono rifiutati i documenti d’identità, in modo tale che egli abbia difficoltà a lasciare il paese; il suo matrimonio viene dichiarato nullo; i suoi figli gli vengono portati via per essere cresciuti da musulmani; ed egli perde i diritti di eredità. Nell’articolo 19 della Dichiarazione viene detto: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione».
In molti paesi islamici come l’Arabia Saudita, l’Iran, il Pakistan e l’Afghanistan, il diritto alla libera opinione è un’utopia. In questi paesi i diritti dei fedeli delle altre religioni e delle proprie minoranze vengono calpestati quotidianamente e i rappresentanti di tali fedi vengono incarcerati con l’accusa di comportamento blasfemo. Come si può ben vedere, la situazione dei diritti umani nei paesi islamici è ancora a livelli primordiali. Gran parte dei più elementari diritti che tutta l’umanità ha adottato vengono costantemente negati.
Nei paesi islamici non si potrà affrontare il problema dei diritti umani prima di aver risolto il problema più spinoso della divisione dei poteri. Finché non vi sarà una netta separazione fra stato e religione, non si potrà parlare di democrazia o di rispetto dei diritti umani. Finché i paesi islamici saranno dominati dalla sharia, non si potrà avere alcun miglioramento, alcuna conquista liberale. L’unica soluzione sarebbe quella di deislamizzare gli stati, separare il mondo laico da quello religioso, seguire la ragione e cercare di creare paesi democratici al posto delle attuali teocrazie; paesi in cui la pluralità di religioni si integri con il pensiero razionalista. Solo in questo modo un quinto della popolazione mondiale potrà usufruire di quei diritti che costituiscono la stessa natura e dignità umana.
Luigi Mazza – dall’archivio di NonCredo. La cultura della ragione e del dubbio
(LucidaMente, anno X, n.118, ottobre 2015)
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