Il problema immigrazione incontrollata e l’integrazione rifiutata per motivi religiosi
Quello che segue è il primo di quattro articoli consecutivi coi quali Leonardo Maria Wagner inizia la propria collaborazione con LucidaMente. Chi andrà a curiosare in Rete, immettendo tale nome, non lo troverà. Si tratta, infatti, di uno pseudonimo dietro cui si cela un esperto di argomenti quali geopolitica, flussi migratori, rapporti culturali e scambi commerciali con l’islam. E assicuriamo i lettori sul fatto che si tratta di un valido “acquisto” da parte della nostra rivista, come, d’altra parte, si vedrà leggendo di seguito.
Siamo in guerra. La cosa non ci piace, ma, purtroppo, questa è la realtà. Possiamo consolarci con la considerazione che, per ora, è una guerra a bassa intensità, però non sappiamo per quanto ancora. Di sicuro, abbiamo già avuto morti e lacrime, e certamente ce ne saranno ancora. Abbiamo provato a vivere in pace con l’islam e non ci siamo riusciti. Per cercare d’integrare la cultura di chi arriva da quei paesi, abbiamo anche rinunciato a imporre la nostra, ma abbiamo fallito.
La laicità dello stato è stata per noi una conquista faticosa e fondamentale. In nome suo ci siamo voltati dall’altra parte per non vedere, o per ignorare, un problema d’identità religiosa che non volevamo affrontare. Anzi, per nascondere, a noi stessi, quanto spinoso fosse questo tema, gli abbiamo dato altri nomi e lo abbiamo coperto sotto altre etichette, nella speranza che, occultandolo, esso finisse per risolversi da solo o sparire magicamente. Ma non ha funzionato: è stata solo la negazione collettiva di una realtà che ci rifiutavamo di accettare. È stato messo in piedi un meccanismo di rimozione psicologica che è arrivato al punto di farci sentire “cattivi” o fuori dal tempo ogni volta che, togliendo la testa da sotto la sabbia, ci rendevamo conto del problema e delle sue conseguenze.
Adesso non ce lo possiamo più permettere e dobbiamo cominciare a rimuovere l’equivoco delle diversità di cultura o di provenienza geografica. Il razzismo non c’entra: è fondamentalmente un problema di religione. Certo: è la politica che sfrutta l’interpretazione perversa di un credo per scopi di potere, come spesso ha fatto nella storia, così come sfrutta la debolezza psichica d’individui sbandati. Tuttavia, senza la radice di quella precisa identità religiosa, tutto questo non sarebbe possibile. Finora è stato un tabù parlarne; è ora di farlo con chiarezza.
Tutte le comunità d’immigrati si trovano a dover affrontare, in vario grado, dei problemi d’integrazione, ma nessuna di esse, neanche lontanamente, rappresenta, per la convivenza pacifica, un pericolo paragonabile quello che costituiscono i mussulmani nel loro complesso e indipendentemente dai loro paesi di origine. Diritti umani, rispetto della vita umana, eguaglianza di tutti gli individui, libertà (anche di religione) e solidarietà sono valori che le nostre società danno per scontati, ma non sono condivisi dagli islamici. In nome di questi nostri valori, li abbiamo accolti, anche quando sono arrivati nel nostro paese illegalmente e abbiamo stabilito per loro diritti e doveri uguali ai nostri. Eppure, anche dopo due o tre generazioni, un muro li separa da noi. Un potenziale di disprezzo e di odio nei confronti della comunità ospite, che è pronto a esplodere se attivato dal giusto detonatore.
È particolarmente indicativo, in questo senso, costatare come tra i recenti attentatori ve ne siano diversi che sono arrivati come rifugiati politici: persone che hanno rischiato la vita e attraversato prove durissime per fuggire dai loro paesi di origine, dove il fanatismo religioso ha mostrato il suo volto peggiore. E, nonostante questo, arrivano a desiderare la distruzione di quella stessa comunità che li ha accolti per ragioni umanitarie e a massacrarne indiscriminatamente che ne fa parte.
Le cause per cui tutto questo si manifesti proprio oggi sono diverse e ampiamente dibattute, ma non possiamo negare che anche la consistenza numerica delle comunità islamiche, e il peso percentuale che queste hanno raggiunto rispetto al totale dei cittadini, nei vari paesi in cui sono insediate, rivestano, ormai, un ruolo fondamentale. Non si può ignorare che i paesi recentemente più colpiti sono gli stessi che ospitano le comunità islamiche più numerose, mentre stati come Portogallo e Finlandia, in cui la presenza dei mussulmani è particolarmente modesta, non hanno conosciuto nessuna di queste tragedie. Per quanto doloroso e scomodo, quindi, è inevitabile dover riflettere, anche, sui numeri. Perché, oltre una certa soglia critica, scattano il formarsi di comunità chiuse al proprio interno, il mantenimento di imam fondamentalisti, l’insediamento di una formazione culturale separata, la consapevolezza di rappresentare una massa in grado di condizionare l’intera società, e la pretesa di farlo.
Certamente una parte del problema consiste nel fatto che molti terroristi, fiancheggiatori e simpatizzanti siano cittadini di stati europei, ma questo non può essere un alibi per rinunciare ad agire. A fronte di essi, molti altri, infatti, sono immigrati illegali e la maggior parte di quelli che continuano ad arrivare, non hanno i requisiti per ottenere l’asilo come rifugiati politici. Il senso di umanità ci impone di soccorrere chi arriva alla nostra soglia di casa in pericolo di vita. La nostra civiltà ci richiede di continuare a garantire l’asilo politico ai perseguitati.
I fatti, però, ci mostrano che non riusciamo ad accogliere tutti e che quindi dobbiamo fare delle scelte. Un criterio di equità e, soprattutto, il buon senso, ci impongono di rimandare indietro chi non ha diritto all’asilo, per riuscire ad accogliere chi lo ha. Asilo significa protezione temporanea a chi è in pericolo, non diritto garantito di residenza a tempo indeterminato o promessa di cittadinanza. Solo per fare degli esempi, la Bosnia non è più in guerra da oltre un decennio, in Egitto non risulta che vi siano in corso catastrofi umanitarie e in Tunisia non c’è più neanche una dittatura. Proviamo, allora, a contare quanti sono gli immigrati illegali già raggiunti da un provvedimento di espulsione e mai attuato, aggiungiamo quanti sono i clandestini, cioè individui tollerati, che però risiedono illegalmente sul nostro territorio, e sommiamoli a quanti hanno regolarmente ottenuto lo status di rifugiati perché provenienti da un paese che in passato era in guerra, ma che, ormai, risulta pacificato.
Tirando le somme, troveremmo una realtà un po’ diversa da quella che dovrebbe essere e numeri molto più gestibili se fossero effettivamente applicate anche solo le norme vigenti. Per coloro che si sono naturalizzati o che hanno la doppia cittadinanza, la nostra stessa civiltà, basata sulla libertà dell’individuo e sulla laicità dello stato, non ci permette neppure di prendere in considerazione alcuna forma di discriminazione basata sul credo religioso. Tuttavia, vi sono dei limiti da tenere ben presente: ricordiamo che non è stato né Donald Trump né Matteo Salvini e non è stata nemmeno Marine Le Pen a proporre una norma per privare della cittadinanza quei soggetti con doppia nazionalità che si macchiano di reati particolarmente gravi, ma era stato l’allora presidente della Repubblica francese, Nicolas Sarkozy, all’indomani delle violenze che avevano devastato le banlieue di Parigi.
Leonardo Maria Wagner
(LucidaMente, anno XI, n. 129, settembre 2016)
Oggi in occidente sta avvenendo un scontro di civiltà paragonabile a quello che è successo nell’antica Roma dopo l’editto di Milano, cioè uno scontro fra la civiltà della vergogna che dominava il mondo antico e la civiltà della colpa che dominava nel modo cristiano ebraica. Alla fine i due concetti della civiltà sono fusi in una unica civiltà occidentale che è riuscita finalmente a secolarizzare il senso di colpa che derivava dal peccato originale, fino ad arrivare ad una civiltà della colpa che promuove l’auto-critica, e ha la capacità di auto-correzione, che si pente e si sente colpevole, per il suo “passato” colonialista, schiavista, guerrafondaio ecc, ecc, e cerca in tutti i modi di sdebitarsi, accogliendo i immigrati considerando il loro stato di bisogno come prodotto delle proprie colpe.
Oggi però dall’altra parte abbiamo l’islam, una civiltà senza sensi di colpa, anzi una civiltà del vittimismo che incolpa gli altri per tutto ciò che non va al sua interno, una civiltà che non sa cosa sia l’auto-critica, che proibisce l’auto-correzione, anzi continua seguire imperterrita la morale e l’etica arcaica imposta dal suo profeta e dalle successive interpretazioni degli ulema, una morale dove la salvezza è solo adempiendo i comandamenti di Allah.
La civiltà islamica aborrisce e respinge la libertà del individuo, i diritti civili e la democrazia, perché li considera prodotti umani e in contrasto con le leggi di Allah (la Sharia), ma i suoi adepti usano la libertà e le regole democratiche ogniqualvolta che sentono minacciate le loro pretese religiose. Se a questo gioco perverso si aggiunge anche il flusso inarrestabile e la crescita demografica, ecco rovina della civiltà occidentale.
Grazie per il consueto, interessante intervento di approfondimento.
Purtroppo l’orizzonte che l’autore gaurda è limitato. L’Islam è presente in Europa e, direi, massicciamente dalle prime decadi del X sec. d.C. e convive con il cristianesimo senza scontri e con gli stessi valori culturali del resto degli europei moderni. Nel 920 d.C. infatti il califfo al-Muqtadir su preghiera di un inviato musulmano kievano manda una missione dai Bulgari del Volga con lo scopo di consacrare l’emiro Almysh di Bulgar definitivamente nell’Umma musulmana. L’inviato arriverà nel 921 d.C. e compirà le celebrazione. Da allora l’Islam è rimasto in questa parte d’Europa, ha attraversato le vicende russe e sovietiche e continua oggi a vivere. Basta andare a Kazan nel cremlino della città per vedere la più grande moschea del mondo accanto alla cattedrale cristiana. Certo, l’Islam ha subito sconfitte in Europa in Spagna, in Sicilia, a Creta, ma ha conservato la sua identità in Crimea oltre che nelle sopra da me nominate realtà che fanno parte del Tatarstan e del Bashkortostan. Dunque, perché fare di tutte le erbe un fascio?