La Rete e le nuove tecnologie apportano progresso e migliorano la qualità delle nostre vite o sono imposizioni oppressive che provocano disoccupazione, ignoranza, solitudine, volgarità, pornografia e violenza? E che agevolano il terrorismo jihadista? La repressione della libertà d’espressione attraverso la sua disordinata saturazione: un atroce rumore di nulla
Quello che state per leggere è il primo di due consecutivi articoli polemici che il nostro direttore, Rino Tripodi, dedica all’utilizzo acritico – per non dire incosciente – degli strumenti informatici e telematici. In questo primo contributo si affronta la problematica dei riflessi negativi di Internet & C. sulla società contemporanea. Nel successivo, previsto per dicembre 2015, al centro saranno posti gli effetti su cultura, educazione e scuola in particolare.
Che bello! Grazie a Internet e ai marchingegni annessi e connessi siamo in grado di sapere che tempo farà (probabilmente) il mese prossimo, se la A14 è intasata, quali film si proiettano nelle sale della nostra città, l’orario dei treni o degli aerei (che possiamo anche prenotare on line), se la squadra del cuore sta vincendo… e possiamo scaricare infinite “app”.
Quali ineffabili comodità! Pagare bollette senza recarsi in posta, sapere quanto abbiamo in banca o fare acquisti senza uscire di casa, venire a conoscenza “in tempo reale” dei voti scolastici dei nostri figli (valutazioni inserite dai docenti con gran dispendio di tempo, a scapito delle lezioni, ma poco importa)… purché riusciamo a ricordare o abbiamo una ben organizzata agenda, magari cartacea – troglodita! – che contenga, aggiornate, le infinite password, che vanno cambiate ogni mese e che richiedono, a seconda del sito che offre il servizio, un certo numero di caratteri: alfanumerici + numerici + strani simboli… E – alta cultura – in men che non si dica, possiamo sapere date di nascita e morte di un pittore (e scaricarne i dipinti che osserveremo per un decimo di secondo l’uno), chi è il regista del film che ci è piaciuto due o tre anni fa (prima non ci interessa: è cinema già vecchio) e, anche in questo caso, potremo scaricarne una copia-pirata, che vedremo di sfuggita, mentre leggiucchiamo l’ebook di un classico che ci hanno consigliato, ma, chissà perché, non “ci prende”. E vuoi mettere le possibilità di comunicare, fare nuove conoscenze, i contatti umani?
Quante storie d’amore possono nascere… Come? Chiacchierando on line con una bella (se la foto del profilo è proprio la sua) brasiliana che non incontreremo mai. Intanto, ci sentiamo meno soli e meno frustrati sessualmente; anzi, siam proprio degli splendidi, irresistibili, dongiovanni. E che dire della libertà di espressione politica? Possiamo, infatti, chattare sull’attualità con un tipo sconosciuto che vive a Sidney e scambiarci le opinioni con un boscimano. E, ancora, costruire un blog dedicato alla strage dei balenotteri, lanciare petizioni contro gli stupri delle donne in Messico, creare una pagina su Facebook su un tema che ci sta a cuore o che riveli sconvolgenti verità che poteri occulti non vogliono farci conoscerne e che – possiamo esserne ben certi – raccoglierà almeno un migliaio di adesioni e tanti “mi piace”.
Al di là di ogni facile sarcasmo e di ogni nostalgia per i bei tempi andati, ormai sono tante le voci che si interrogano sulle ricadute negative delle nuove tecnologie, a partire dall’informatica e dalla telematica. E molti si chiedono se, dal loro avvento, la qualità della nostra vita sia migliorata o peggiorata. Decine, al riguardo, sono i saggi stranieri, pubblicati soprattutto oltremanica o oltreoceano.
Ma anche dalla penisola si leva qualche voce critica. Ad esempio, il recente libro Tecnobarocco. Tecnologie inutili e altri disastri (Einaudi) di Mario Tozzi (intervistato qualche tempo fa da Dora Anna Rocca in esclusiva per LucidaMente). Non è andato leggero neppure il nostro maggiore semiologo (vedi Giovanni Drogo, Perché Umberto Eco ha ragione su imbecilli e internet), scatenando reazioni per lo più indignate o derisorie. Sull’argomento già da tempo la nostra rivista ha assunto un ruolo decisamente critico (vedi, dopo la conclusione del presente articolo, i link a vari interventi da noi pubblicati). Non si tratta di posizioni nostalgiche o intellettualistiche. La ricaduta sociale di informatica e telematica è stata enorme e più spesso negativa che positiva. Pensiamo al tempo gettato in sciocchi videogame, che non apportano alcun miglioramento alla mente o al fisico, come potrebbero fare delle sane partite di tennis o di calcio giocate all’aria aperta. Al vacuo chattare che sostituisce e surroga veri e propri incontri umani. Alla “libera espressione” di minimalisti pensieri, opinioni, idee che, peraltro, spesso si trasformano in insulti, volgarità, oscenità varie…
Ma fin qui qualcuno potrebbe affermare che si tratta di bazzecole, che il mondo è sempre stato abitato da una maggioranza di imbecilli. Allora, procediamo con un impressionante crescendo. Vogliamo riflettere sull’enorme numero di siti per scommettere on line – dilaganti anche in tv – con milioni di persone che si fanno “spennare” inseguendo il miraggio di clamorose vincite?
E sull’assurdità di sancire i vincitori di concorsi letterari, artistici, musicali, cinematografici, mediante il numero dei clic degli utenti, ma persino di decidere allo stesso modo la destinazione di finanziamenti – insomma, tanti soldi in ballo – a progetti di varia natura o i candidati politici, con alta probabilità di essere eletti, a elezioni politiche o amministrative. Ancora più grave: vogliamo considerare gli effetti negativi delle nuove tecnologie sull’occupazione nell’intero pianeta, con la robotizzazione di intere fabbriche e l’automazione di servizi che prima richiedevano il lavoro di milioni di addetti? C’è di più. In rete – e non solo nel deep web – circolano orrori e sadismi di ogni genere su animali, bambini, donne (vedi Animaletti vivi schiacciati sotto tacchi a spillo; Vuoi una schiava asiatica? Eccola!; Silk Road, web invisibile e mercato nero). È come se si fosse scoperchiata un’enorme fogna prima contenuta e incanalata, un terribile vaso di Pandora. C’è di peggio: l’uso della rete da parte dell’Isis per diffondere video, i cui veri destinatari sono i giovani islamici da infervorare e quindi reclutare per avere nelle proprie fila nuovi assassini.
L’aspetto più grave, e che indica la pericolosità della situazione alla quale siamo pervenuti, è che è difficile criticare senza correre il rischio di esser linciati (se non fisicamente, moralmente). Informatica, telematica e, in particolare, Internet, sono considerati un must, un obbligo, una fonte di libertà e di limpido progresso, peraltro discriminatorio, secondo la teoria del digital divide (vedi Opportunità e rischi del “cyberspazio”). Fino a oggi nessuno, neanche i totalitarismi, era riuscito a imporre un libro, un mezzo, uno strumento… e senza neanche far uso della violenza fisica.
In effetti, non esiste solo la modalità tradizionale per reprimere e sopprimere la libertà di pensiero, di parola, di espressione, vale a dire imporre con la violenza e lo stato di polizia il silenzio assoluto (anche se forse si percepivano ancora i borbottii e i respiri dei pensieri ostili ai tiranni): un sistema tipico delle dittature, degli assolutismi, delle teocrazie e, con l’aggiunta della propaganda, dei regimi totalitari del XX secolo, quali fascismo, nazismo e comunismo. Tuttavia, si può raggiungere lo stesso effetto facendo parlare tutti assieme, contemporaneamente, sicché, per cercare di farsi ascoltare, tutti alzino ancora di più la voce, col risultato che aumenta solo il frastuono: nessuna voce si può allora udire, quindi nessuna idea chiara e distinta, e tantomeno di critica. Troppe informazioni, troppe opinioni, tutte frammentate e frammentarie, producono un atroce rumore di nulla. E, soprattutto, in ogni modo, nessuno ascolta (vedi Marco Minnucci, Global village e Web: un sistema più totalitario del Fascismo).
Questa è la situazione attuale, nell’era di Internet, “sesto potere”, dopo quelli tradizionali (legislativo, esecutivo, giudiziario) e quelli contemporanei (stampa e tv): l’eccesso di comunicazione, di messaggi, di ridondanza, causa un rumore e una confusione che producono lo stesso effetto del silenzio; non si può più percepire alcuna parola umana intellegibile e, comunque, nessuno è attento. Aggiungiamo altre quattro componenti tipiche della comunicazione e del “pensiero unico” attuale. Una è quella già ben descritta da George Orwell nel suo splendido 1984: la neolingua. Le parole indicanti princìpi e valori vengono stravolte e perdono il loro significato originario, forte e positivo, per assumere un senso che può anche essere l’opposto.
La seconda è quella del “politicamente corretto”, modalità ambigua, ipocrita, quanto efficace, di censurare ogni pensiero divergente entro una logica costituita apparentemente da buone intenzioni quali il no a razzismo, violenza sulle donne, omofobia, intolleranza religiosa, ai pregiudizi su disabili, migranti, “diversi” (vedi I tanti, troppi pregiudizi dei “progressisti” bigotti). In realtà, una cappa che non permette la libera espressione delle idee e che tende all’omologazione e al conformismo attraverso vari dogmi, tra i quali il multiculturalismo e l’obbligo degli eufemismi o di tortuosità linguistiche. La terza, legata in buon parte alla seconda e al dogma del multiculturalismo, è la cultura dell’indifferenziato, la logica dell’indistinto, per cui alto e basso, aristocratico e popolare, colto e rozzo pari son: tutte le religioni sono uguali, tutte le culture sono sullo stesso piano, ogni espressione artistica è dello stesso livello delle altre, ecc. ecc.
Infine, ultimo anello “popolare” della sopraddetta catena, il buonismo zuccheroso, il rincretinimento assoluto (modello tv pomeridiana o per le massaie ed estetica dello strappalacrime o del “carino”): si istupidiscono le masse, che perdono la propria dignità insieme alla capacità di ragionare scorgendo le nefandezze dalle quali sono circondate. Insomma, Internet & C., la nuova tirannide globale. Delle ricadute dell’“informatizzazione” in ambito, culturale, educativo e scolastico, parleremo sul prossimo numero di LucidaMente.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno X, n. 119, novembre 2015)
Già in passato LucidaMente ha affrontato vari lati “problematici” del web, quali: il rischio di cadere in uno sterile, se non dannoso, narcisismo (“Selfie”: moda o mania? Malattia!); le ricadute negative sulla cultura (Analfabetismo high tech); l’uso improprio a scopi personali (Giustizia, vendetta e social network); l’isolamento psicologico (Internet: una trappola disumanizzante?; La chat infuoca la rete e congela i rapporti umani); il pericolo di “brutti incontri” (Minaccia cyberbullismo); l’eros esposto o venduto (…Fino alla “cybersexual addiction”; Il “sexting” contagia anche gli italiani. Minorenni compresi; Come e perché si diventa una cam girl).Ancora più inquietanti sono gli universi “tenebrosi” della Rete: Deep web, la privacy e i cugini cattivi di Anonymous; Animaletti vivi schiacciati sotto tacchi a spillo; Vuoi una schiava asiatica? Eccola!; Silk Road, web invisibile e mercato nero; Viaggio di un hacker tra i pericoli di Internet; Opportunità e rischi del “cyberspazio”.
Come tante altre cose nuove importate o scoperte anche questa è diventata una moda di cui si è abusato non limitandola ad usi e consumi veramente utili o comunque contenenti vero progresso; evidentemente è nella nostra natura non avere la capacità di distinguere o il senso della misura, ci lasciamo abbindolare o trasportare da chi o coloro hanno interesse (di tutti i tipi) a farlo.