Le sue promesse mancate: da spazio di condivisione e libertà espressiva a strumento di marketing e censura. Come negli ultimi anni la Rete è cambiata (e ci ha ingannato)
Sono passati 10 anni. Era settembre 2009 quando mi sono iscritta a Facebook, spinta dall’entusiasmo di amici che già lo usavano e dalla curiosità di capire bene che cosa fosse e come funzionasse. Se inizialmente era lo spazio dedicato alla vita privata, ben presto si andava trasformando in uno strumento grazie al quale tutti, a costo zero e in modo relativamente facile, potevano raggiungere visibilità. Era il periodo in cui il web e i social si stavano diffondendo, il momento in cui Internet non era ancora schiavo delle regole del marketing, dove la censura era inesistente e circolava ogni tipo di informazione.
Dal 2009 a oggi la situazione è molto cambiata e con l’aumentare degli utenti è cresciuto l’interesse verso i loro comportamenti online: aziende, politici, società – di ogni livello e dimensione – competono per sapere che cosa le persone cerchino e che interessi abbiano, informazioni indispensabili per realizzare campagne pubblicitarie altamente targettizzate e vendere prodotti, servizi, idee, partiti politici. Da luogo di condivisione di notizie, Internet è diventato spazio di vendita; se prima si cercava online, adesso è l’online che intercetta le persone, bombardandole di annunci dopo ogni ricerca fatta. Facebook e i social media non fanno eccezione: il social per antonomasia è diventato un colosso, è quotato in borsa, fa girare soldi (tanti!), «non è più concepito solamente per le persone fisiche e la loro vita privata ma, attraverso un servizio dedicato (Facebook for Business), è anche uno strumento di social marketing», si legge su Wikipedia.
Negli ultimi anni ha acquisito un enorme potere. Innanzi tutto può disporre come vuole dei nostri dati (non scordiamoci lo scandalo Cambridge Analytica: ne abbiamo parlato su LucidaMente anche qui e c’è chi si chiede come Facebook influenzerà le prossime elezioni americane). Inoltre, può decidere di regolamentare le tipologie di contenuti da pubblicare, ovviamente solo per «assicurare agli utenti la miglior esperienza possibile», come Mark Zuckerberg – o Mr. Facebook – non manca di ricordare a ogni suo intervento. Esiste un vero e proprio “regolamento” con degli standard da seguire, che penalizza contenuti violenti, pornografici, discriminatori e dà la possibilità agli utenti di segnalare eventuale materiale che non rispetti questi parametri (qui un articolo de Il Sole 24 Ore su come si selezionano i contenuti).
Per chi continua a utilizzarlo solo per farsi i fatti altrui e condividere foto di gattini, la cosa può essere irrilevante; non lo è per tutti coloro che invece lo usano come mezzo per informarsi e fare informazione. Non mancano casi per cui pagine e profili sono stati bloccati: è successo a chi ha espresso solidarietà alla causa curda (per approfondire: Manifesto, Dire, Avvenire), era successo alle pagine di Forza nuova e CasaPound, ma non sono mancati episodi di rimozione di foto di mamme che allattano e di nudi d’arte. Senza entrare nel merito dei singoli casi, la riflessione che nasce è: qual è “la migliore esperienza possibile” che Facebook, e il web in generale, vogliono offrirci? Nel nome di una navigazione personalizzata, ma finalizzata esclusivamente alla vendita, è venuto meno l’elemento fondamentale di Internet: la libertà di espressione e l’accesso a ogni tipo di informazione. Su Facebook la selezione dei contenuti da mostrare ai singoli utenti sulle loro bacheche è basata sul numero e sulla frequenza di interazioni che questi hanno con certe persone/pagine, sulla popolarità del post e su altri parametri (che vengono spiegati qui e qui). È una combinazione di intelligenza artificiale e persone, unita alle segnalazioni degli utenti, che sceglie i contenuti giusti o censura quelli ritenuti inadeguati.
Questo sistema ci catapulta in una bolla, all’interno della quale ci vengono veicolate sempre le stesse informazioni, prodotte dalle medesime persone, con le quali siamo tendenzialmente d’accordo, che vengono scelte per noi da un algoritmo. Con i social media è nato il content marketing, ossia il marketing dei contenuti che vengono prodotti ad hoc per attrarre utenti e aumentare visite, visualizzazioni, like e acquisti. Tutto quello che facciamo online è registrato e controllato. La libertà iniziale è svanita, anche se molti forse non hanno percepito il cambiamento. È poi vero che rinunciare al web è impossibile, ma utilizzarlo in maniera più consapevole e critica può aiutarci a non finire sotto l’occhio del Grande Fratello di orwelliana memoria.
Già in precedenza LucidaMente aveva trattato l’argomento delle “minacce” della Rete. Ecco alcuni contributi:
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Elena Giuntoli
(LucidaMente, anno XIV, n. 167, novembre 2019)