Oggi sembra sempre più difficile seguire i propri sogni e avere una vita appagante. Un’intervista al giovane Terence Biffi, che è riuscito a realizzare la fantasia più complessa: spostarsi tutto l’anno sul pianeta Terra
Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?: il titolo del capolavoro del pittore post-impressionista Paul Gauguin descrive alla perfezione il presente, fatto di domande secche, una di fila all’altra, seguite dal silenzio. Non ci sono risposte, non ci sono direzioni, facili o difficili. Se non sappiamo dove andare, che strada va percorsa?
L’Italia si classifica maglia nera in Europa per numero di neet (not in education, employment, or training). Da un rapporto Istat del 2017, sono 2 milioni e 189mila i giovani connazionali che non studiano, non lavorano e non si formano professionalmente. Il 24,1% di tali persone si trova fra i 15 e i 34 anni. La media nell’Unione europea è, invece, del 13,1%. Siamo penultimi in Europa per numero di laureati – peggio di noi solo la Romania – e il tasso di abbandono degli studi è altissimo. Del resto, la laurea non è di per sé garanzia di un impiego qualificato – o anche solo di un impiego: 4 su 10 sono i laureati disoccupati o sottoccupati. Nella completa mancanza di certezze e di punti fermi, siamo travolti da una costante spinta all’operosità poiché ci accusano di essere pigri, dipendenti dai social, choosy, illusi. Ci crediamo speciali, unici, vogliamo a tutti i costi lasciare il segno. Dobbiamo imparare a essere flessibili, ad accontentarci, a metterci tutti subito in testa che è probabile che saremo insoddisfatti e non possiamo farla troppo lunga. La verità è che vogliamo solo spazio.
In questo panorama buio, privo di sbocchi, ho visto Terence Biffi. Lui era per me solo uno di quegli “amici” sui social che tutti hanno, uno che non conosci ma che per un periodo ha incrociato la tua strada. Eravamo entrambi matricole all’Università di Bologna, stessa facoltà, stesso binario. Poi, il cambiamento, a cui ho assistito in maniera passiva, scorrendo la home di Facebook e imbattendomi in alcune foto di quelle che all’inizio sembravano vacanze: Macedonia, Azerbaijan, Kazakistan. Corea del Nord, persino. Lontanissime dal classico villaggio turistico in Sardegna, ma pur sempre pause dalla vita di tutti i giorni.
Ci ho messo un po’ a capire che non erano affatto cesure, ma la sua quotidianità stessa. Lui era infelice e inappagato – come dice nel suo diario di viaggio sui social – e ha avuto il coraggio di cambiare. Anche se, come scrive in uno dei suoi post, «ci vuole coraggio nel rimanere in una situazione che non ci soddisfa», quindi a non partire. Voleva «inseguire tramonti a ogni angolo di mondo» e ce la sta facendo. Sembra essere riuscito a rispondere ad almeno una delle tre domande dell’esistenza: dove andiamo? Per lui la soluzione sembra essere contenuta nella domanda: lui va e andare è la meta. Da fuori sembra inarrivabile, lontanissimo dalla concretezza: come si fa a vivere viaggiando? Ho deciso di chiederglielo. Quando lo contatto è a Bahir Dar, Etiopia.
Da quanto tempo sei in viaggio?
«Consecutivamente dal 31 gennaio del 2018, tornerò per Natale. Sono invece quattro o cinque anni ormai che faccio questa vita. Ho seguito la strada indicatami dal cuore, volevo realizzare i miei sogni ed ero disposto a tutto pur di farcela».
Sembra magnifico… ma come ti mantieni?
«Ho fatto lavoretti saltuari in giro per l’Italia. Il primo itinerario è stato in Vietnam, dove ho passato un mese. Poi sono subito ripartito e sono andato in India, Sri Lanka e Indonesia. I soldi a quel punto erano finiti, ma dai miei viaggi avevo imparato che c’è sempre una soluzione. Così, nel settembre del 2016, sono andato a lavorare un anno in Australia e ho messo da parte tutto il guadagnato. Sono ancora in giro grazie a quei risparmi».
Uno degli aspetti più interessanti dei tuoi percorsi è la selezione di mete non convenzionali. Come scegli le tue destinazioni?
«Parto dai libri che leggo: da questi traggo ispirazione e cerco sempre di tenermi il più lontano possibile dal turismo di massa. Scelgo tre o quattro Paesi che mi interessano, poi compongo l’itinerario da lì. Per esempio, per quello in corso mi interessavano: Kosovo, Pakistan, Kirghizistan e Sudan. Sono stati il mio punto di partenza e in base a questi ho scelto le altre destinazioni».
Ho visto che hai una pagina Facebook dove condividi le tue esperienze e le tue magnifiche foto: Travel Revolution. Hai in programma di diventare un travel blogger e guadagnare viaggiando?
«No, per carità! Detesto il termine travel blogger, non fa per me. No, continuerò come ho fatto finora: a Natale tornerò a casa, poi partirò per la Nuova Zelanda, dove lavorerò per mettere da parte altri soldi e ricominciare. Questa sarà la mia vita per altri cinque o sei anni, poi vorrei aprire una guest house – una sorta di agriturismo – non necessariamente in Italia, e ospitare animali maltrattati. Non voglio essere ricco, non mi interessa. Per me è stato illuminante un libro di Serge Latouche, La scommessa della decrescita. Combatto l’idea di una vita spesa alla ricerca del profitto. Bastano piccoli cambiamenti: usare di più la bici, coltivare un orto o comprare a km zero, riciclare e condividere, mangiare meno carne o, meglio ancora, evitarla. Invece di crescere, guadagnando beni a discapito della serenità, decrescere felicemente. Avremmo tutti più tempo per noi stessi, per i nostri cari, e vivremmo in maniera più eco-sostenibile. Per sostentare lo stile di vita degli italiani al momento servirebbero oltre quattro Italie. È importante agire ora e dipende da noi, altrimenti a decrescere dovranno essere i nostri figli e nipoti, però drasticamente».
Per seguire i viaggi di Terence si possono visitare le sue pagine social Facebook e Instagram.
Le immagini: fotografie di Biffi tratte dalla sua pagina ufficiale, Travel Revolution, scattate in Cappadocia, Kazakistan, Sudan, e… lui stesso.
Ludovica Merletti
(LucidaMente, anno XIII, n. 156, dicembre 2018)