Il letterato marocchino Tahar Ben Jelloun, autore del saggio sul tema edito nel 2017 da La nave di Teseo, prova a fornire alcune spiegazioni sul terribile fenomeno. E per combatterlo confida soprattutto nella cultura
«Il terrorismo è anzitutto un metodo, un modo di agire, non è un pensiero, una filosofia. È l’utilizzazione della forza e della violenza contro persone o beni, al fine di obbligare il governo a soddisfare delle richieste fatte da persone di cui non sono noti né il volto né l’identità. A volte gli obiettivi del terrorismo non sono neanche chiaramente definiti: esso si manifesta allora uccidendo persone scelte a caso. Il suo scopo è seminare la paura e far sì che ciascuno si dica “potevo esserci io”. Più nessuno si sente protetto. E questo cambia il modo di vivere della gente: non si esce più la sera, si evita di ritrovarsi in locali pubblici, spesso scelti come obbiettivi. La vita ne risulta seriamente turbata».
Il brano che avete appena letto è tratto dal saggio Il terrorismo spiegato ai nostri figli (Edizioni La nave di Teseo, 2017, pp. 184, € 10,45), nel quale lo scrittore e poeta marocchino Tahar Ben Jelloun, in forma di dialogo con la figlia, cerca di analizzare le ragioni che spingono gli stragisti a uccidere. Il libro si compone di tredici brevi capitoli introdotti da una prefazione che offre una panoramica esaustiva dei molteplici volti che il fenomeno ha assunto nel corso del tempo: da quello nazionale-politico-ideologico degli anni Settanta, indirizzato contro lo Stato – la Raf, le Brigate rosse italiane e l’Action Directe francese – a quello attuale, di matrice islamica, che «si diffonde a macchia d’olio», «non si cura delle frontiere e delle convenzioni che reggono gli stati» (p. 13) e può aggredire qualsiasi Paese, inclusa l’Italia. La colpa del “Paese di crociati” (così ribattezzato dai jihadisti perché a maggioranza cristiana) sarebbe, secondo l’autore, quella di non riuscire a garantire sempre l’integrazione di quanti giungono prevalentemente dal Nordafrica, malgrado gli sforzi compiuti dalle politiche di accoglienza. Ed è in questo contesto fatto di miseria, di rabbia e di disperazione che l’estremismo attecchirebbe con maggiore forza.
Conoscere il terrorismo per esorcizzarlo, per spiegarne le cause, senza mai giustificarlo, impedendo che ciò che è accaduto non possa ripetersi di nuovo: è questo l’intento di Ben Jelloun. Un’operazione letteraria che raggiunge il suo scopo grazie soprattutto all’impiego di una scrittura semplice e lineare, priva di incrostazioni retoriche e artificiose. Se tra i compiti del racconto vi è quello di favorire lo sviluppo delle funzioni cognitive dei bambini, aiutandoli a riconoscere e dare un nome alle emozioni, la scelta del dialogo come modalità narrativa si mostra efficace nel trattare tematiche impegnative quali il ruolo del conflitto israelo-palestinese nel diffondersi della violenza e l’indottrinamento dei futuri attentatori, o “eroi sublimati”, da parte dell’Isis.
Ed è, forse, quest’ultima tematica affrontata a rendere più interessante la lettura del libro di Ben Jelloun. Dopo essersi soffermato sulle nuove forme di propaganda rivolte soprattutto ai più giovani (l’autore parla di veri e propri circuiti e metodi per creare un terrorista, dai social network ai mille video al mese propinati per influenzare la psiche dei più deboli), egli indugia sulle distorsioni interpretative della religione islamica, che suscitano timore verso i musulmani. Prima fra tutte quella che riguarda il coinvolgimento attuale di donne e bambini nella guerra santa, vietato dallo stesso profeta in occasione della battaglia di Badr il 17 marzo 624, come viene tramandato: «[…] si erano presentate delle donne per andare in guerra. Il Profeta aveva vietato in modo categorico che partecipassero […]. Per la battaglia di Badr, gli adolescenti hanno mentito sulla loro età per poter andare in guerra, ma il Profeta li ha individuati e rispediti a casa» (pp. 101-106). Così come errata viene descritta l’interpretazione della jihad da parte dei fondamentalisti islamici, prevista dal Corano solo in casi eccezionali, ovvero «quando i credenti sono aggrediti da un esercito straniero» (p. 128). Ne consegue la condanna di quanti uccidono degli innocenti, riportata nella sura 5, versetto 32: «Colui che uccide un innocente, uccide l’umanità intera» (p. 129).
L’idea che ogni arabo possa essere un possibile jihadista si è andata radicando, soprattutto in una buona parte dei francesi, come spiega Ben Jelloun. Gli attentati del 2015 che hanno colpito la sede di Charlie Hebdo e il Bataclan, intaccando la libertà di espressione e la quotidianità di tutti, con le sue abitudini e i suoi piccoli piaceri, hanno alimentato una diffidenza che di certo non giova alla convivenza multiculturale. La proclamazione dello stato d’emergenza, alla quale la Francia aveva fatto ricorso l’ultima volta durante la guerra d’Algeria, è stata una risposta che alla lunga ha mostrato i propri lati deboli, tra cui l’uso eccessivo delle perquisizioni da parte dei poliziotti.
Come difendersi, allora, da questa modalità d’azione in cui si esprime un Male assoluto, distruttivo e senza giustificazione? La vigilanza delle strade non può certo bastare, commenta l’autore, «se prima non si sradicano le motivazioni più profonde che spingono i ragazzi a cambiare vita e a battersi per una causa sbagliata». La mancata integrazione in seno alla società occidentale alimenta la necessità di trovare un rifugio, di assicurarsi uno status, di far parte di un destino “grande e nobile” che la morte in combattimento può regalare. L’autore non ha dubbi nel riconoscere il ruolo determinante che la cultura è chiamata ad assolvere oggi più che mai: «Scommettiamo sull’educazione e sulla cultura» è il suo monito finale, «e potremo sperare di vedere emergere una generazione di giovani liberati da queste illusioni, una generazione in cui la religione, deviata dal suo senso e la sua vocazione originari, non è più l’alibi per accettare qualsiasi cosa» (p. 178). E tale scommessa deve cominciare dall’infanzia, spiegando ai bambini la verità, facendo attenzione alla scelta delle parole giuste, perché i piccini più di tutti gli altri «vanno aiutati ad accettare il reale, con tutto ciò che questo ha di imprevisto, di insopportabile» (p.19).
Le immagini: la copertina del saggio Il terrorismo spiegato ai nostri figli.
Marilena Genovese
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 188, agosto 2021)