Una raccolta di saggi curata da Guido Crainz ed edita da Donzelli Editore fa rivivere il movimento inascoltato del vecchio continente comunista
Che cosa ci resta del Sessantotto, cinquant’anni più tardi? Che cosa evoca quella data, quale significato ha per la storia europea e mondiale? Così vicino, attuale, nelle sue lotte e visioni, immagini e simboli. Eppure così lontano, guardato con religiosa nostalgia, anche da chi è nato nei decenni successivi. La mitopoiesi più riuscita del secolo, tanto da fratturare la storia e creare un prima e un dopo. Alcune risposte sull’argomento si trovano nel libro Il Sessantotto sequestrato. Cecoslovacchia, Polonia, Jugoslavia e dintorni (Donzelli Editore, pp. 196, € 19,50), a cura di Guido Crainz e altri saggisti che citeremo tra breve.
Woodstock, i “capelloni”, la nonviolenza, le lotte per i diritti civili, la libertà sessuale, il pacifismo. La guerra in Vietnam, la rivoluzione culturale cinese, Cuba, le rivendicazioni afroamericane. Riferimenti scontati, chiari a tutti. Eppure, è esistito un altro Sessantotto, che più di tutti ha plasmato la nostra Europa, visto come eterodosso ieri, quasi cancellato oggi. A indagarlo, oltre a Crainz, già docente di Storia contemporanea all’Università di Teramo e commentatore su la Repubblica, compaiono le firme di: Pavel Kolář, nato a Praga, insegnante di Storia comparata e transnazionale presso l’Istituto universitario europeo di Firenze; Wlodek Goldkorn, scrittore e giornalista nato in Polonia e trasferitosi in Italia proprio nel 1968, collaboratore per la Repubblica e l’Espresso; Nicole Janigro, nata a Zagabria, psicoanalista e saggista, insegnante a Philo di Pratiche filosofiche; Anna Bravo, docente associata di Storia sociale all’Università di Torino, autrice di un altro testo sul fatidico anno, A colpi di cuore (Laterza, 2008).
Un percorso circolare, che inizia e finisce con uno sguardo d’insieme, rivolto da Crainz prima, Bravo poi, alla questione principale: perché lasciammo Praga – ma anche Varsavia e Belgrado – sola. Al centro, nel cuore della raccolta, c’è un ritorno al fatto, a che cosa è successo in Cecoslovacchia, in Polonia e nella vicinissima Jugoslavia. I saggi di Kolář, Goldkorn e Janigro sono accompagnati dalle fonti dell’epoca: articoli, manifesti, ma anche diari. L’occhio lucido del presente è seguito in successione da quello in fermento di allora, entrambi funzionali all’indagine: giovani che riempirono le piazze per battaglie vicine e lontanissime; carri armati nelle strade di Praga…
«La libertà non è pane», scriveva nel suo Diario Giuseppe Cesare Abba [1838-1910, scrittore ligure e patriota garibaldino, ndr], eppure per gli studenti e gli intellettuali di quei Sessantotto traditi non c’è pane senza libertà. Si concludeva così un volantino studentesco polacco: «La lotta per la libertà è anche una lotta per il pane. Se il popolo non farà valere il proprio diritto alla compartecipazione al governo della cosa pubblica […] ci troveremo sulle soglie di una crisi economica». Rivendicare la partecipazione e la scelta dei rappresentanti, la necessità di riforma, quindi. Una rivoluzione copernicana del pensiero che fu inconcepibile per i giovani occidentali, stregati dal socialismo ideale. Per loro non si trattava altro che di «vittime di fatali fraintendimenti e di una sopravvalutazione della libertà in Occidente». Non furono in grado di capire – o finsero di non vedere – che il socialismo reale si avvaleva di mezzi fascisti. Il testo rende quindi giustizia postuma a un movimento fertile e dai più conosciuto solo superficialmente. La tragedia di Praga – ma anche quella precedente di Budapest – è ancora una vergogna europea e tutti dovrebbero ricordarlo, non solo per curiosità storica.
Oggi in tutti quei Paesi, nessuno escluso, esiste pericoloso un sentimento di subalternità e rivalsa nazionalistica che l’Occidente ha causato e continua ad alimentare. La nostra ignoranza e indifferenza, se non addirittura una “paradossale” emulazione, lo nutrono e lo rafforzano quotidianamente. Non possiamo più volgere lo sguardo altrove: è nostro dovere capire da dove proviene e ascoltare che cosa rivendica. Un giorno di tre anni fa chiesi a un giovane ungherese che cosa ne pensasse della terribile – così la definii – politica migratoria del suo Stato. Lui mi rispose semplicemente che io non sapevo niente dei Paesi dell’Est. Oggi so che aveva ragione.
Le immagini: la copertina del libro; una foto di una dimostrazione a Helsinki contro l’intervento sovietico a Praga; Jan Palach (1948-1969), martire civile ceco per la libertà dalla censura.
Ludovica Merletti
(LucidaMente, anno XIII, n. 153, settembre 2018)